La maledetta Premier League

Il 28 aprile 1990, Ian Rush e John Barnes rispondevano al gol iniziale di Roy Wegerle e liquidavano anche il Queens Park Rangers: con due giornate d’anticipo, il Liverpool vinceva il suo diciottesimo titolo di First Division, più di chiunque altro. Era il quinto campionato vinto nel giro di dieci anni, e nessuno poteva presagire nemmeno lontamente che sarebbe stato l’ultimo. Due anni più tardi sarebbe nata la Premier League, e il Liverpool – il club inglese più vincente di sempre – non avrebbe mai più vinto il titolo nazionale.

I club della First Division erano sempre più scontenti della gestione federale dei diritti televisivi e degli sponsor, che venivano equamente ripartiti tra le squadre delle varie categorie professionistiche, indipendentemente dal fatto che fosse la massima divisione ad attirare i maggiori introiti. Volevano più soldi e meno limitazioni, a partire soprattutto dal mercato internazionale, così da poter meglio competere con le altre squadre europee: erano sette anni che gli inglesi non raggiungevano la finale di Coppa dei Campioni, otto che non la vincevano (in entrambi i casi era stato il Liverpool, vittorioso sulla Roma e sconfitto dalla Juventus), e in quel lasso di tempo l’unica squadra che aveva vinto un titolo continentale era stato il Manchester United, che l’anno prima si era aggiudicato la Coppa delle Coppe. Così, la First Division si separò dalla Football League e si rinominò Premier League, iniziando un percorso che, nel giro di pochi anni, avrebbe reso i club inglesi i più ricchi al mondo.

Il Liverpool ricco lo era già, anche se non aveva poi tanto bisogno di denaro. Il suo modello manageriale si fondava su una forte cura del settore giovanile e la grande solidità dell’ambiente: l’allenatore che aveva condotto i Reds in vetta al campionato nel 1990 era lo scozzese Kenny Dalglish, approdato sulle rive del Mersey a ventisei anni dal Celtic; da allora non se n’era mai andato via e, nel 1985, aveva assunto la carica di allenatore-giocatore, sostituendo il leggendario Joe Fagan. Diciotto giocatori su venticinque che componevano la rosa erano arrivati in squadra entro i 23 anni di età; solo quattro non erano di nazionalità britannica: il portiere zimbabwese Bruce Grobbelaar, il difensore svedese Glenn Hysén, il centrocampista danese Ian Molby, e l’attaccante israeliano Ronny Rosenthal.

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Con il Liverpool, Kenny Dalglish ha vinto otto campionati, sette Charity Shield, quattro Coppe di Lega, tre Coppe dei Campioni, due Coppe d’Inghilterra e una Supercoppa europea.

L’avvento della Premier League cambiò molto di più di un nome e della ripartizione degli introiti del torneo: ad emergere su tutti fu il Manchester United di Alex Ferguson, vincitore delle prime due edizioni del nuovo campionato inglese e complessivamente di tredici titoli di Premier, fino al ritiro del tecnico scozzese nel 2013. Il trofeo di campione d’Inghilterra fino a quel momento era stato appannaggio di ventitré squadre in 103 anni di storia; dopo, solo sei club si sono aggiudicati i successivi ventisei tornei. Come se non bastasse, nella stagione 1992-1993, il Liverpool restò senza alcun titolo vinto per la prima volta dal 1985, quando arrivò secondo praticamente ovunque (in First Division, Coppa dei Campioni, Charity Shield, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale).

Si trattava, però, di un periodo di adattamento: dopo l’ultimo scudetto, Dalglish aveva lasciato il calcio giocato e, una stagione dopo, anche la panchina dei Reds; la dirigenza era impegnata nel rinnovamento, tanto che nel 1994 erano rimasti in rosa appena tre dei giocatori campioni d’Inghilterra, e proprio al termine di quella stagione il Liverpool sarebbe tornato a sollevare un trofeo, la sua quinta Coppa di Lega. Il contemporaneo approdo in panchina dell’ex-difensore degli anni Sessanta e Settanta Roy Evans coincise con il ritorno dei Reds nella lotta per l’alta classifica, e con l’ascesa di alcuni dei nomi più iconici del Liverpool degli anni Novanta: David James, Dominic Matteo, Jamie Redknapp, Steve McManaman, Patrik Berger e Robbie Fowler. Evans ebbe anche il merito di far esordire in rosso due future leggende come Jamie Carragher e Michael Owen, entrambi nella stagione 1996-1997.

Nel 2001, il Liverpool visse il suo miglior anno dall’istituzione della Premier League: terzo posto in campionato e conquista della Coppa di Lega, della FA Cup e della Coppa UEFA, un trofeo europeo che mancava da quindici anni. Merito innanzitutto di Gérard Houllier, ex-allenatore del Paris Saint-Germain e delle giovanili francesi, e primo tecnico non britannico della storia dei Reds. Nel frattempo, la rosa del club era divenuta una delle più cosmopolite al mondo: dodici britannici su trentasette, quattro francesi, tre tedeschi, due norvegesi, due finlandesi, due cechi, un croato, un danese, uno svizzero e un olandese. A dicembre 2001, Michael Owen vinceva il Pallone d’Oro a soli ventidue anni, primo giocatore del Liverpool a ottenere il premio come miglior calciatore in Europa. Sembrava l’inizio di una nuova era.

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La vittoria della Coppa UEFA 2001, vinta per 5-4 dopo i tempi supplementari contro il Deportivo Alvés.

Invece, sulla Premier League era calata una maledizione. Houllier non riuscì mai ad andare più vicino di così alla conquista del campionato e, nell’estate del 2004, lasciò l’Inghilterra. Al suo posto, il due volte vincitore della Liga Rafa Benitez; nel frattempo, però, della rosa del 2001 erano rimasti appena nove giocatori. Owen, tra infortuni e prestazione altalenanti, veniva ceduto al Real Madrid, dove la sua carriera si sarebbe definitivamente arenata. I componenti inglesi della rosa erano scesi a nove, mentre era salita improvvisamente a cinque la presenza spagnola. Eppure, contro ogni pronostico e applicando un calcio povero e ultra-difensivista, Benitez riuscì nell’impresa di riportare il Liverpool sul tetto d’Europa, vincendo la Champions League a diciannove anni dall’ultima affermazione. Per contro, i Reds arrivavano solo quinti in Premier League e costringevano la UEFA a modificare i regolamenti, consentendo alla detentrice del titolo continentale di partecipare alla successiva edizione della Champions pur senza aver ottenuto la qualificazione nel proprio campionato.

L’epoca Benitez, pur senza mai offrire momenti di gran calcio, seppe riportare il nome del Liverpool tra i più noti d’Europa, scrollandosi di dosso la terribile fama di nobile decaduta, grazie anche a una seconda finale di Champions persa nel 2007 contro il Milan, quando il club era passato per la prima volta in mani straniere, in seguito all’acquisto da parte degli imprenditori statunitensi George Gillett e Tom Hicks. Benitez, però, non riuscì mai ad andare oltre il secondo posto in Premier League ottenuto nel 2009, alle spalle del Manchester United: la maledizione continuava, implacabile.

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Steven Gerrard solleva la Champions League nel 2005, vinta ai calci di rigore dopo aver clamorosamente rimontato tre gol al Milan.

Dopo l’addio del tecnico spagnolo, il Liverpool visse un periodo d’incertezza, passando infuottuosamente tra le mani di due veterani come Roy Hodgson e Kenny Dalglish, tornato a casa nella speranza generale di replicare lo scudetto del 1990. Nel 2012, la dirigenza decise di scommettere sull’emergente tecnico dello Swansea Brendan Rodgers e, nella sua seconda stagione in rosso, l’allenatore nordirlandese arrivò a un passo dal Paradiso: dopo una serie impressionante di dieci vittorie consecutive, i Reds si trovavano primi in classifica a tre giornate dalla fine con tre punti di vantaggio sul Manchester City. La giornata successiva, un uomo che non sbagliava mai, il capitano Steven Gerrard, scivolava e regalava al Chelsea il gol del vantaggio ad Anfield Road; il City vinceva e andava a pari punti. A due dalla fine, il Liverpool massacrava nei primi 45 minuti il Crystal Palace 3-0, ma nel secondo tempo subiva un’assurda rimonta  e se ne tornava a casa con un solo punto; il City vinceva contro l’altra squadra di Liverpool, l’Everton, e passava al comando della Premier, vinceva anche l’ultima partita e conquistava il titolo. Il trauma del 2014 si ripercuotè sulla stagione successiva, conclusa lontano da tutto e con la fine dell’avventura di Rodgers.

Il Liverpool non è e non sarà mai una nobile decaduta. In questi tragicomici ventisette anni, la regina del calcio inglese ha aggiunto alla propria bacheca dodici trofei diversi, vincendo almeno una volta praticamente ogni competizione a cui ha partecipato: a ben vedere, è stato uno dei club più vincenti degli ultimi trent’anni. Eppure, in tutta la sua storia non era mai rimasto così a lungo senza vincere il campionato.

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