È iniziata la 17a edizione della Coppa d’Asia, il torneo continentale più oscuro – escluso quello dell’Oceania, che però parte proprio da un altro livello, molto più in basso, tanto che ormai l’Australia fa stabilmente parte della divisione asiatica – e più geograficamente esteso del mondo. I calciatori asiatici sono per lo più un mistero per chi segue il calcio da Europa o Sudamerica: al di fuori dei giapponesi e dei sudcoreani, poco si sa delle stelle della Asian Football Confederation, che per la quasi totalità giocano nei campionati locali e raramente conquistano la ribalta europea. Questa è una veloce guida al torneo, prendendo un giocatore da ognuna delle squadre partecipanti all’edizione del 2019, la prima a 24 squadre e la seconda negli Emirati Arabi, dopo quella del 1996.
Fahad Al-Muwallad (Arabia Saudita)
Fahad Al-Muwallad è l’esempio perfetto di ciò che il calcio saudita sta cercando di inseguire, sotto il profilo dei talenti locali: cresciuto all’Al-Ittihad e impostosi a soli diciotto anni come bomber nel campionato arabo, nel gennaio del 2018 è divenuto uno degli otto calciatori sauditi a trasferirsi in prestito in club spagnoli in virtù di un accordo commerciale che ha garantito denaro alla Liga e possibilità di sviluppo per i giovani sauditi. La sua esperienza al Levante non ha lasciato il segno sul club spagnolo, ma ha rappresentato una decisiva crescita per questo attaccante di ventiquattro anni, che in nazionale vanta 11 reti e fa della rapidità la sua arma principale. Su un altro fronte, sulla panchina siede proprio uno spagnolo, Juan Antonio Pizzi, reduce dall’anonima prestazione dei Mondiali di Russia, ma che in curriculum vanta il grande successo continentale con il Cile nel 2016.
Mathew Leckie (Australia)
È uno che viene dal basso: cresciuto nei sobborghi occidentali di Melbourne, si è affacciato allo sport da ragazzino praticando il football australiano, e solo successivamente passando al calcio, quando la famiglia si trasferì in un altro quartiere, dalla composizione più multiculturale. Lì, partendo come attaccante esterno sinistro, si è pian piano trasformato in un valido realizzatore e, a soli vent’anni, ha firmato per il Borussia Moenchengladbach, e da allora ha sempre militato in Germania (attualmente è all’Herta Berlino); gioca come attaccante di supporto, mescolando tecnica e atletismo, e componendo la coppia offensiva della nazionale con Robbie Kruse, punta del Bochum con cui condivide ruolo e caratteristiche tattiche. Il suo compito non è dei più semplici: in Europa non si è mai imposto come un bomber di razza, e l’Australia sembra molto più versata sul lato fisico e sul fronte difensivo (Matthew Ryan del Birghton in porta, Mark Milligan dell’Hibernian e Trent Sainsbury del Psv Einhoven in difesa, Massimo Luongo del Queen’s Park Rangers e Tom Rogic del Celtic a centrocampo), ma deve anche difendere il titolo conquistato quattro anni fa.
Abdulla Yusuf Helal (Bahrain)
Senza dubbio ci dev’essere lo zampino di Miroslav Soukup – allenatore artefice del terzo posto della Repubblica Ceca agli Europei Under-19 del 2006 e al secondo ai Mondiali Under-20 del 2007, e dal 2016 sulla panchina del Bahrain – nel trasferimento del venticinquenne centravanti Abdulla Yusuf Helal al Bohemians 1905, uno dei club minori di Praga. Helal è senza dubbio l’unico giocatore di talento vero della nazionale del Golfo Persico, e la sua avventura europea rappresenta un punto importante della sua carriera, che lo ha già portato nel mirino dello Slavia Praga.
Gao Lin (Cina)
La Cina sta da tempo investendo tantissimo sul calcio, sia in patria che all’estero, cercando anche di piazzare i suoi talenti più promettenti a maturare in club europei. Eppure, quando si guarda alla nazionale di Marcello Lippi, non saltano agli occhi tanto Zheng Zhi, il capitano con un passato al Charlton Athletic e al Celtic, Hao Junmin, ex-Schalke 04, o Yu Dabao, che è stato nelle giovanili del Benfica, ma una punta che l’Europa non l’hai neppure sfiorata: Gao Lin, a 32 anni, è una punta completa e il principale terminale offensivo del Guangzhou di Fabio Cannavaro, che in patria viene paragonato a un emulo di Robert Lewandowski per la capacità di segnare in molteplici modi.
Han Kwang-song (Corea del Nord)
È stato la rivelazione della scorsa stagione di Serie B con la maglia del Perugia (anche se di proprietà del Cagliari) e, nonostante quest’anno non abbia ancora ingranato, resta uno dei più interessanti talenti del calcio asiatico, con i suoi 20 anni e l’accoppiata dribbling-velocità, e il principale candidato a ereditare il ruolo, non solo calcistico ma anche popolare e in un certo senso politico, di Jong Tae-se, punta protagonista dei Mondiali del 2010 e passato con successo dal Bochum. Se Jong è stato il primo nordcoreano a trasferirsi a giocare in Europa, Han segue il suo esempio e dimostra che, almeno sul fronte calcistico, la Corea del Nord sembra essere più aperta e “internazionale” che non su quello geopolitico.
Son Heung-min (Corea del Sud)
In Europa non si è mai visto un calciatore continuo e determinante come lui: nasce ala sinistra, ma impara a calciare con entrambi i piedi, svariare sulle fasce e su tutto il fronte d’attacco, si specializza nel dribbling e nel gioco in profondità; dopo gli ottimi anni in Germania, si afferma al Tottenham come il giocatore che meglio di tutti incarna lo spirito del gioco di Mauricio Pochettino. Ad appena 26 anni, Son è di gran lunga il più forte calciatore asiatico in circolazione e l’alfiere di una nazionale esperta e dal grande tasso tecnico – citiamo, per esempio, Lee Chung-yong, Koo Ja-cheol e Ki Sung-yueng – che sotto la guida di Paulo Bento, ex-tecnico dello Sporting Lisbona e della nazionale portoghese terza agli Europei del 2012, sta proseguendo un’evoluzione tattica che gli ha permesso, agli ultimi Mondiali, di sconfiggere i campioni in carica della Germania.
Omar Abdulrahman (Emirati Arabi Uniti)
Padroni di casa, allenati da Alberto Zaccheroni – vincitore della Coppa d’Asia nel 2011 col Giappone – e con in squadra due degli ultimi quattro Palloni d’Oro asiatici, le eterne promesse Ahmed Khalil e Omar Abdulrahman. Abdulrahman, detto Amoory, è nato e cresciuto in Arabia Saudita, ma è stato naturalizzato emiratino quando aveva solo 14 anni, trasferendosi all’Al-Ain. Un trequartista classico, con visione di gioco e specialista dei calci da fermo, che fino a qualche anno fa era considerato un talento cristallino e aveva il proprio nome sui taccuini di vari club inglesi e tedeschi, tanto da aver passato un periodo in prova al Manchester City. Gli infortuni al ginocchi lo hanno fermato, e oggi, a 27 anni, è tornato in prestito all’Al-Hilal, club saudita dove ha mosso i primi passi, ma resta un punto di riferimento assoluto del calcio emiratino.
Phil Younghusband (Filippine)
Per la loro prima Coppa d’Asia, le Filippine hanno deciso di sognare il più in grande possibile, affidando la panchina a Sven-Goran Erkisson, uno degli allenatori più esperti e vincenti al mondo. E ovviamente affidandosi anche a una piccola campagna di naturalizzazioni per elevare il livello tecnico della squadra, portando in squadra il tedesco John Patrick Strauss e il danese Kevin Ray Hansen Mendoza. D’altronde, da oltre un decennio la stella delle Filippine è Phil Younghusband, trequartista e capitano 32enne nativo del Surrey ma di madre filippina, cresciuto nelle giovanili del Chelsea ma divenuto noto solo dopo il suo ritorno nella patria materna.
Gaku Shibasaki (Giappone)
Al Giappone non sono mai mancati i giocatori di talento, per quanto raramente completi, e di esperienza internazionale – al momento sono Hiroki Sakai del Marsiglia, Maya Yoshida del Southampton, Yuto Nagatomo del Galatasaray, Takashi Inui del Real Betis e Yoshinori Muto del Newcastle – ma con Gaku Shibasaki le cose sembrano essere un po’ diverse. È un centrocampista estremamente duttile, capace di destreggiarsi sia come regista puro che come mezzala o trequartista, un raffinato organizzatore di gioco che ha avuto il suo exploit nel 2016 al Mondiale per Club, quando condusse il Kashima Antlers alla finale, costringendo il Real Madrid ai supplementari. Da allora ha giocato con successo con le maglie del Tenerife e del Getafe, e in nazionale ha raccolto l’eredità di una leggenda del calcio nipponico Yasuhito Endo.
Musa Al-Taamari (Giordania)
Nell’assoluto anonimato del calcio giordano, attualmente affidato alle mani del belga Vital Borkelmans, ex-vice di Wilmots nei Diavoli Rossi, Musa Al-Taamari spicca notevolmente per le proprie capacità tecniche e atletiche, che lo rendono un’ala pericolosissima e hanno consentito lusinghiri paragoni con Mohamed Salah. Al-Taamari ha appena 21 anni, ma è già l’unico giordano impiegato in un campionato europeo – seppur di scarso prestigio: gioca coi ciprioti dell’Apoel Nicosia, di cui è uno dei giocatori di maggior valore – e una dei principali prospetti arabi in circolazione, tanto da aver attirato di recente l’interesse del Cagliari.
Sunil Chletri (India)
Nel 2014 Alessandro Del Piero andò a chiudere la carriera al Dehli Dynamos, però l’India è e resta ancora ai margini del calcio mondiale. Sono più unici che rari i casi di calciatori indiani che hanno testato il calcio europeo – il portiere Gurpreet Singh Sandhu, tre partite con i norvegesi dello Stabaek tra il 2014 e il 2017; l’attaccante Ashique Kuruniyan, in prestito alle giovanili del Villarreal per una stagione nel 2016 – e l’unico giocatore rilevante è Sunil Chletri: ala sinistra progredita fino a diventare seconda punta, recordman assoluto in nazionale con 104 presenze e 65 reti, 34 anni e fascia di capitano al braccio. Niente di tutto questo è, però, bastato per estendere la propria fama al di fuori dei (vastissimi) confini nazionali: nel 2010 ha tentato l’avventura negli Stati Uniti con i Kansas City Wizards, dove però ha giocato solo nel ruolo di comparsa, mentre due anni più tardi è approdato in Europa con la maglia dello Sporting Lisbona, ma scendendo in campo solo in tre occasioni con la squadra riserve.
Alireza Jahanbakhsh (Iran)
L’ultimo Mondiale di Russia è stato uno dei migliori momenti del calcio iraniano di sempre. I tempi d’oro di Ali Daei e Mehdi Mahadavikia sono alle spalle, ma le nuove generazioni promettono bene: Saman Ghoddos dell’Amiens, Karim Ansarifard del Nottingham Forest – eroe dell’ultimo Mondiale e, qualche anno fa, considerato tra i più interessanti talenti a livello internazionale – il veterano Ashkan Dejagah, l’astro nascente Sardar Azmoun del Rubin Kazan’, e ovviamente Alireza Jahanbakhsh, che un anno fa era stato accostato al Napoli come erede di José Callejon. Ha 25 anni e si destreggia come mezzala, regista o trequartista, e si parla di lui dal 2014, quando Don Balon lo inserì nella sua lista dei migliori talenti mondiali; in Olanda, in particolare nel periodo all’AZ Alkmaar, si è avvicinato all’area di rigore fino a diventare un prolifico bomber, prima di trasferirsi al Brighton per 17 milioni di sterline. L’ultima stagione non è stata delle migliori, ma resta un giocatore di assoluto valore, e tra i migliori d’Asia.
Mohammed Dawood (Iraq)
Nel 2007, l’Iraq vinceva a sorpresa la sua prima Coppa d’Asia, con l’ossatura della nazionale giovanile che, solo tre anni prima, aveva sfiorato la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene. Oggi, di quella squadra e delle successive promesse che fece germogliare è rimasto poco: la stella di allora, Younis Mahmoud, non si è mai confermato; la stella del giorno dopo, Humam Tariq, oggi ha 22 anni ma staziona nel campionato iraniano e non se ne parla quasi più. Srecko Katanec, già allenatore della Slovenia, ha deciso comunque di puntare sui giovani come Ali Adnan, esterno destro dell’Atalanta, e sulla promessa Mohammed Dawood: 18 anni, ala destra o sinistra in forza al club locale dell’Al-Naft, divenuto immediatamente una star in Iraq dopo la conquista della Coppa d’Asia Under-16 nel 2006, dove fu premiato come capocannoniere e miglior giocatore del torneo.
Vitalij Lux (Kyrgyzstan)
Alla sua prima partecipazione, il Kyrgizstan si presenta come la più classica delle nazionali ex-sovietiche, asiatiche solo per collocazione geografica che non per tratti somatici e tradizione sportiva. In quest’ottica, Vitalij Lux è chiaramente il giocatore più rappresentativo: 29 anni, di origine tedesca – proprio come il capitano Edgar Bernhardt – è un attaccante più fisico che tecnico che si è fatto le ossa nelle leghe minori tedesche, accettando nel 2015 la convocazione di Aleksandr Krestinin nella nazionali kirgisa. Attualmente milita nel SSV Ulm, nella quarta serie del campionato tedesco.
Felix e Alexander Michel (Libano)
Probabilmente la vera stella del Libano è Hassan Matouk, la punta 31enne che veste la fascia da capitano, ma i fratelli Felix e Alexander Michel, rispettivamente centrocampista e difensore, poco più che neofiti della nazionale, rappresentano bene la vocazione multiculturale della squadra e del paese che rappresenta. Sono nati entrambi in Svezia da padre assiro-svedese e madre scandinava; la famiglia paterna aveva lasciato il Libano a causa della guerra e si era stabilita nella cittadina di Sodertalje, vicino Stoccolma; lì, i fratelli Michel hanno iniziato a giocare nel club locale, il Syrianska FC, fondato nel 1977 dagli immigrati assiri e armeni in Svezia e divenuto in breve uno dei simboli del multiculturalismo della nazione scandinava. Nel 2017 si sono trasferiti entrambi nel più blasonato Eskilstuna, di cui sono due dei pilastri.
Ali Al-Habsi (Oman)
Non c’è dubbio su quale sia il più grabde calciatore che l’Oman abbia mai espresso: Ali Al-Habsi, portiere dai piedi buoni con una lunga esperienza in terra inglese (Bolton, Wigan, Reading) e che a 37 anni è ancora un punto di riferimento imprescindibile per la nazionale araba. Ma l’infortunio a fine dicembre ha costretto Pim Verbeek, ex-allenatore di Corea del Sud e Australia, ad escluderlo da quello che poteva essere il suo ultimo grande torneo con la nazionale. Il giocatore più rappresentativo degli omaniti, a questo punto, non può che essere l’unico con un po’ di esperienza europea, il terzino destro Raed Ibrahim Saleh, reduce da una stagione al Valletta FC, nel campionato maltese.
Yashir Islame (Palestina)
Un calciatore csmopolita per la squadra più cosmopolita della Coppa d’Asia: a causa della sua tragicamente lunga e ben nota instabilità politica, la Palestina ha vissuto un massiccio esodo verso paesi stranieri come gli Stati Uniti (da cui proviene il centrocampista Namzi Albadawi), la Jugoslavia (da cui arriva il centrocampista Jaka Ihbeisheh), la Svezia (terra del portiere Amr Kaddoura), l’Argentina (da cui proviene il difensore Daniel Mustafà) e soprattutto Cile, dove esiste addirittura un club fondato dagli immigrati mediorientali, il Club Deportivo Palestino di Santiago. Sono quattro i cileni della nazionale palestinese, con il veterano Alexis Norambuena – cinque anni passati a curare la retroguardia dei polacchi dello Jagiellonia – e la talentuosa ala destra 27enne Yashir Armando Islame Pinto, attualmente in forza al Coquimbo Unido ed elemento più tecnico nella nazionale allenata da Noureddine Ould Ali.
Abdelkarim Hassan (Qatar)
Come trasformare un piccolo paese senza alcuna tradizione sportiva in una squadra competitiva, con cui non fare figure troppo oscene ai Mondiali casalinghi del 2022? Il Qatar l’ha risolta a suo modo: con il denaro. Negli ultimi anni, diversi giocatori stranieri – anche se certo non di primo piano – sono stati convinti a prendere la cittadinanza qatariota, come l’attaccante algerino Boualem Khouki, mentre i fondi d’investimento del paese hanno preso possesso di club minori del calcio europeo – come il Cultural Leonesa in Spagna, e l’Eupen in Belgio – per usarli come parcheggio di lusso per i giovani talenti sfornati dalle accademie in patria. È quello che è successo con il diciottenne Khaled Mohammed, ma anche con il più esperto e noto Abdelkarim Hassan, terzino sinistro detentore del Pallone d’Oro asiatico e di diversi record locali: ha esordito a soli 17 anni nella Champions League asiatica nel 2011, nominato come miglior promessa dell’anno nel campionato qatariota nel 2013, ha trascinato la sua nazionale a vincere la Coppa d’Asia Under-19 e l’Arabian Gulf Cup nel 2014, e la scorsa stagione l’ha trascorsa in prestito dall’Al-Sadd proprio all’Eupen.
Omar Kharbin (Siria)
C’è un solo siriano, tra i convocati da Bernd Stange, che attualmente giochi in Europa, e si tratta del 24enne trequartista dell’Heracles Almelo Mohammed Osman. Tuttavia, il fulcro del gioco della Siria è indubbiamente l’attaccante Omar Kharbin dell’Al-Hilal, bomber di razza e Pallone d’Oro asiatico nel 2017 e capocannoniere, nello stesso anno, della Champions League AFC.
Teerasil Dangda (Thailandia)
Quando, nel 2007, il miliardario tailandese Thaksin Sinawatra acquistò il Manchester City, Dangda fu uno dei tre giovani telenti che approdarono in Inghilterra con il nuovo proprietario. Dangda è quello di cui ci si ricorda di più, anche perché, nel successivo prestito agli svizzeri del Grasshopper, scese in campo per alcuni match on la formazione giovanile e segnò anche due gol. Poi, a Manchester arrivarono gli arabi e dei tailandesi non importava più nulla a nessuno; Teerasil Dangda è tornato a casa, ha segnato caterve di gol con il Muangthong United, e si è guadagnato altri brevi scamopoli di calcio internazionale, prima all’Almeria e poi al Sanfrecce Hiroshima, dove gioca tutt’oggi. A 30 anni, è capitano della Thailandia e suo principale realizzatore, con 42 gol all’attivo in incontri ufficiali.
Ruslan Mingazow (Turkmenistan)
Mingazow si è imposto da subito come un ottimo laterale ambidestro di centrocampo fin da quando aveva 16 anni, ottenendo varie proposte da vari club dell’area ex-sovietica e firmando infine per lo Skonto Riga di Aleksandrs Stavros nel 2009, appena maggiorenne. Successivamente si è trasferito in Repubblica Ceca allo Jablonec, e con ottime prestazioni ha ottenuto la fiducia dello Slavia Praga nel 2016, ma nel trasferimento nella capitale ha perso un po’ di continuità, finendo in prestito in club minori. Non è più un prospetto per il futuro, ma la sua duttilità tattica lo rende utile in varie fasi di gioco, e ne fa un elemento importantissimo della nazionale di Yazgulj Hojageldyew.
Odil Ahmedov (Uzbekistan)
Una squadra orfana della leggenda Servet Djeparov e affidata alla sagacia tecnica di Hector Cuper, l’uomo che solo pochi mesi fa riportava l’Egitto ai Mondiali; l’Uzbekistan si affida in tutto e per tutto al suo nuovo capitano e uomo immagine Odil Ahmedov, un mediano che, in giovane età, era stato anche vicino all’Arsenal, per poi accasarsi nel campionato russo prima all’allora ricchissima Anzhi di Zhirkov ed Eto’o, e poi al Krasnodar. È stato tra i giocatori più decisivi del campionato russo per diversi anni, calciatore dell’anno sia all’Anzhi che al Krasnodar, e per ben cinque volte calciatore uzbeko dell’anno (l’ultima nel 2016); nel 2011 ha portato la sua nazionale fino a uno storico quarto posto nella Coppa d’Asia, e l’anno scorso ha conquistato da protagonista il campionato cinese con lo Shanghai SIPG, accanto ai brasiliani Oscar e Hulk.
Nguyen Trong Hoang (Vietnam)
Il Vietnam sta iniziando a costruirsi una reputazione nel mondo del calcio solo di recente, e Hoang è il volto di questa crescita, essendo divenuto un calciatore determinante nel campionato locale fin dalla giovanissima età, prima con la maglia del Song Lam Nghe An e poi con quella del Becamex Binh Duong, giocando sia da prima punta che da centrocampista offensivo. Ma è soprattutto con la nazionale, di cui oggi è capitano a soli 29 anni, che si è guadagnato un buona fama in Asia: nel 2009, è arrivato secondo con la nazionale giovanile ai Giochi del Sud-Est Asiatico, mentre l’anno scorso ha conquistato il titolo all’AFF Championship, un torneo di calcio sub-continentale del Sud-Est Asiatico.
Ala Al-Sasi (Yemen)
Da anni, lo Yemen è in guerra civile, a cui nel 2018 si è sovrapposto un nuovo conflitto con l’Arabia Saudita; i morti sono decine di migliaia, moltissimi bambini, e milioni di persone vivono in condizioni di vita che definire precarie sarebbe superficiale. Come possa essere arrivata fin qui, alla sua prima Coppa d’Asia, una nazionale proveniente da un paese in queste condizioni, che già non aveva alle spalle una tradizione nel football e dove il campionato locale è sospeso dal 2014, è uno dei miracoli di questo continente. I due nomi simbolo sono Jan Kocian e Ala Al-Sasi: il primo è il tecnico, ex della nazionale slovacca, che è riuscito a tenere compatta la squadra e a gestirla in una delle situazioni più difficili che si possano immaginare in carriera; il secondo è il capitano, centravanti da 87 presenze e 14 gol, che allo scoppio della guerra ha lasciato il paese rifugiandosi in Qatar, dove ha trovato un ingaggio nel piccolo club dell’Al-Sailiya.
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