“Si vivesse solo di inizi, di eccitazioni da prima volta…” – Niccolò Fabi
La parola che, con sprezzo di ogni logica superficiale, andrebbe accostata ad Antonio Cassano è “consapevolezza”. La consapevolezza dei propri mezzi e del proprio talento che solo le promesse mancate riescono ad avere: non ha mai nascosto che, con un carattere diverso, avrebbe potuto lasciare un segno nella storia del calcio. Il carattere di un bambino capriccioso, secondo molti, o di un’indisciplinata prima donna del rettangolo di gioco, secondo altrettanti; e invece forse Cassano ha sempre avuto un altro problema: la paura di diventare un campione.
Dicembre 1999: A 17 anni, Cassano gioca la sua seconda partita in Serie A, con la maglia del Bari ed Eugenio Fascetti in panchina. La gioca contro l’Inter e segna il gol del definitivo 2-1 per i pugliesi. Due anni dopo, la Roma lo paga 60 miliardi di lire; Fabio Capello in panchina, Totti, Montella, Delvecchio e Batistuta a fargli da chioccia. Nell’estate del 2004 viene convocato nell’Italia per gli Europei a furor di popolo, Giovanni Trapattoni in panchina, ed è l’unico a salvarsi di tutta squadra. La sua carriera è in rampa di lancio. Nel 2006 manda tutto all’aria: litiga con la dirigenza, si rifiutà di rinnovare il contratto, e si fa cedere al Real Madrid. Il suo valore di mercato è sceso a 5 milioni di euro; a Madrid esordisce con un gol – ovviamente decisivo – ma diventa lo zimbello dei tifosi per via del suo stile svogliato e della forma fisica tutt’altro che da atleta. Il Real si (gli) regala un nuovo allenatore, Capello – l’unico con cui, a dire proprio di Cassano, sia sempre andato d’accordo – ma i due finiranno presto per litigare. Stagione 2006 – 2007: 7 partite giocate, 1 gol segnato. Sipario.

La storia di Antonio Cassano si ripete così, di volta in volta, in continui cicli di nascita e morte che sembrano mimare il Samsara indiano, solo che a ogni ciclo il tempo passa, inesorabile. Cassano arriva alla sua nuova avventura, parte alla grande, stavolta è la volta buona; poi litiga con qualcuno d’importante, e si assicura di litigarci per bene, in un modo tale che non possa essere risolto con una notte di sonno, e tutto finisce e lui si ritrova a dover ricominciare altrove. Particolare non da poco: l’universo sembra aver voluto fare di tutto per metterlo a suo agio e dargli meno alibi possibili: gli ha fatto trovare Capello a Madrid, gli ha fatto trovare l’amore a Genova; dopo il flop di Roma, gli ha dato il Real come “occasione di ripiego”, e dopo il flop di Genova gli ha dato il Milan come ripiego, e dopo il flop con il Milan gli ha dato l’Inter.
Ma Cassano si è sempre portato appresso un suo demone personale, un’assurda e indicibile paranoia. Perché il calcio non ti dà punti di arrivo, non ti dà traguardi ma solo intertappe. Non importa ciò che hai vinto, perché ogni stagione sembra resettarsi da zero, come se a ogni cima corrispondesse la base di un’altra identica scalata. Pensate a Kakà: nel 2009 aveva 27 anni ed era il calciatore più forte del mondo, e da lì la sua carriera sostanzialmente finì, e oggi possiamo intuire che il suo nome sarà solo una parentesi di poco conto nella grande storia del calcio. È un pensiero che fa riflettere.

Allora perché sforzarsi tanto per essere i migliori, per affermare il proprio talento, giorno dopo giorno, in un’infinita gara a far rotolare un masso su per il pendio d’una montagna? Ti cresce una convinzione, dentro: non sarai mai abbastanza, e pagherai ogni errore; è questa la condanna del successo. È una cosa seria: gli psicologi la chiamano nikefobia, per molti altri è più superficialmente l’istinto autodistruttivo. Sabotarti da solo, ogni volta, diventa l’unica sfida che ti riesce di portare a termine. Nessuno chiederà mai a Cassano di rendere conto di errori che hanno segnato una stagione o una finale di coppa, sarà ricordato in eterno come un simpatico birbante, e quando qualcuno gli dirà che avrebbe potuto essere un fenomeno, lui alzerà le spalle e risponderà “E che ci vuoi fare?”. Perché “consapevolezza” non significa essere in grado di ammettere le proprie paure.
Fonti
–FERRETTI Mimmo, Cassano, il più grande talento sprecato di sempre, Il Messaggero
–LIPPI Gabriele, Antonio Cassano, una storia di tradimenti, Lettera43
–MADERA Andrea, Cassano a Roma: il principe dell’effimero nella Città Eterna, Zona Cesarini
–O’MALLEY Jack, Forse Cassano lascia il calcio per davvero. Non ci mancherà, Il Foglio
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