Chi non ha visto Iran – Portogallo a Saransk, il 25 giugno 2018, non potrà ai capire quanto menta quel risultato, e quanto i persiani siano stati effettivamente a un passo dalla prima qualificazione agli ottavi di finale della loro storia ai Mondiali di calcio. Una speranza nata nel match d’esordio contro il Marocco, con l’inattesa autorete del nordafricano Bouhaddouz, che ha consegnato all’Iran la sua seconda vittoria mondiale, e il suo terzo grande risultato.
Risultati che arrivano a cadenza regolare, quasi ciclici, ogni vent’anni. Nel 1978, l’Iran si tolse la soddisfazione di fermare sull’1-1 la Scozia di Dalglish, Souness, Jordan e soprattutto Archie Gemmill, che nel match successivo avrebbe sconfitto la grande Olanda e fatto impazzire i protagonisti di Trainspotting. Il gol del pareggio fu segnato da Iraj Danaeifard, un centrocampista capelli fluenti e barba curata che pareva quasi la composta versione persiana di Paul Breitner. Un anno dopo, la rivoluzione di Khomeini abbatteva il regime dello Shah e il calcio smetteva per un po’ di essere materia d’interesse; Danaeifard lasciò il paese e finì a giocare nei Tulsa Roughnecks, negli Stati Uniti. La stessa strada prese anche il suo compagno di squadra Andranik Eskandarian, unico cristiano della compagine iraniana (per via delle chiare origini armene), che trovò posto nella difesa dei New York Cosmos, accanto a Franz Beckembauer e Carlos Alberto.

Stati Uniti e Iran finirono per trovarsi affacciati sui due lati di una barricata: 52 persone furono catturate nell’ambasciata americana a Teheran, in quel 1979, trasformate nel simbolo della forza di una nazione che non intendeva più essere succube degli Stati Uniti. All’epoca, l’Iran di Khomeini era descritto come una brutta eccezione nel mondo musulmano, ma finì per diventare la regola: il radicalismo islamico andava crescendo di pari passo con l’odio verso gli USA e i loro alleati (Israele su tutti), in un’escalation che avrebbe portato, nel corso degli anni Novanta, a una serie di attentati terroristici in varie parti del mondo, fino a quelli dell’11 settembre 2001.
Quando lo Shah Reza Khan, negli anni Venti, iniziò a occidentalizzare il paese e requisire i terreni delle moschee per farne campi sportivi, il calcio divenne il grimaldello con cui scassinare la serratura dell’opinione pubblica e conquistarne il consenso. Nel 1968, dieci prima dell’esordio mondiale, la nazionale persiana conquistò la prima di tre Coppe d’Asia consecutive. Ma, a differenza di tutti gli altri simboli della “corruzione straniera” che il regime degli Ayatollah individuò e abbattè dopo il 1979, il calcio sopravvisse. Si dice che lo stesso Khomeini, da ragazzo, giocasse a calcio nelle strade polverose della provincia di Markazi. Addirittura, nel 1987 dovette concedere alle donne, che la teocrazia aveva col tempo segregato ai margini della società, di poter seguire le partite della nazionale; proprio le tifose donne, dieci anni dopo, furono al centro di una mezza rivolta contro la polizia, quando fu loro impedito di entrare allo stadio di Teheran per festeggiare la nazionale di ritorno dall’Australia, dove aveva ottenuto una clamorosa qualificazione ai Mondiali di Francia.

A febbraio 1998, Emilio Piervincenzi, su Repubblica, si augurava la vittoria in Iran del fronte moderato, che spingesse verso il disgelo nelle relazioni con gli Stati Uniti, la cui bandiera veniva periodicamente calpestata, se non bruciata, nelle piazze di Teheran in ricordo della rivoluzione del 1979. Inutile aggiungere che quel disgelo non ci fu, che fu la linea di Khamenei a prevalere, e che pochi anni dopo Bush avrebbe portato la guerra attorno all’Iran (Afghanistan prima, Iraq poi), e l’elezione di Ahmadinejad avrebbe riportato le tensioni ai loro massimi livelli. Ma prima di scorrere gli anni, lo fecero i mesi, e i Mondiali francesi misero Iran e Stati Uniti l’uno contro l’altro.
Alan Rothenberg – che allora era al suo ottavo anno da presidente della Federcalcio statunitense, e che ancora oggi rappresenta il più importante dirigente della storia del calcio a stelle e strisce, l’uomo che ha organizzato i Mondiali del 1994 e istituito la Major League Soccer – descrisse quel match, con non poca ironia nordamericana, come “la madre di tutte le partite”, benché nessuna delle due squadre ambisse seriamente a passare il girone (le avversarie erano Jugoslavia e Germania). Generalmente, è considerata la partita con maggiore carica politica della storia della Coppa del Mondo. E la vinse l’Iran.

Gli eroi di quel giorno, firmatari della prima vittoria iraniana ai Mondiali di calcio, si chiamano Hamid Reza Estili e Mehdi Mahdavikia, che all’epoca era un esterno destro di soli 21 anni e giocava nel Persepolis, ma che al termine del torneo si sarebbe trasferito al Bochum, giocando in Germania per dodici anni e sollevando, nel 2003, il Pallone d’Oro asiatico. Faceva parte, Mahdavikia, della generazione d’oro del calcio iraniano, che si affermò nelle tre partite del torneo 1998 ed esportò in Germania un certo numero di giocatori (oltre a quelli che già ci giocavano, come il mediano Karim Bagheri e le punte Khodada Azizi e Ali Daei, che dopo il Mondiale firmò per il Bayern Monaco ed è oggi universalmente considerato il più grande calciatore iraniano di sempre).
Ci si può vedere tutta l’assurda forza del calcio meriorientale, nelle modeste eppure eccezionali imprese dell’Iran: presenza sostanzialmente occasionale della Coppa del Mondo (appena cinque volte qualificato alla fase finale, quest’anno per la prima volta alla seconda qualificazione consecutiva della sua storia), estremamente marginale nello scacchiere del calcio internazionale, eppure pervaso da tensioni ed emozioni sportive che trasformano ogni gol in un momento storico. Il calcio, come forse lo viviamo solo durante le nostre prime pedate al pallone.

Nella foto di copertina: Karim Ansarifard, 28 anni, attaccante dell’Olympiakos ed ex-grande promessa del calcio iraniano, dopo il rigore allo scadere con cui l’Iran raggiunge il pareggio contro il Portogallo a Russia 2018.
Fonti
–AA VV, Cenerentola ai Mondiali: Iran 1978, Football is NOT Ballet
–BENZONI Damiano, La rivoluzione del pallone, Storie di Calcio
–PUCCI Nicola, Iran -USA ai Mondiali di Francia del 1998: Un match ad alta tensione, SportHistoria
–QADRAKU Gezim, La madre di tutte le partite, Rivista Contrasti
–ZUCCONI Vittorio, USA – Iran, 90 minuti per dimenticare 444 giorni, La Repubblica
Se volete sul mio blog ho parlato di Ali Daei e della sua storia, se v’interessa metto il link ma il commento serve a ringraziarvi, non conoscevo questo pezzo di storia 👍🏽
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Grazie a te! Metti pure il link, sarò felice di leggerlo (e magari citarlo come fonte, in futuro, se scriverò anche di Ali Daei).
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https://mediorientedintorni.wordpress.com/2018/06/21/ali-daei-lultima-leggenda-da-battere-per-cr7/ vabbè troppo gentile, grazie mille ancora, se cercate sport (sopratutto calcio) e Medio Oriente sapete chi cercare 😉
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