Il calcio e il Sessantotto

Il 13 maggio 1968, un milione di persone aveva invaso le strade di Parigi: studenti e operai protestavano contro la violenta repressione degli universitari che avevano occupato la Sorbona una decina di giorni prima, e chiedevano più libertà civili e una migliore qualità dello studio, del lavoro e della vita delle persone. Lo sciopero ebbe un successo inaspettato, trovando il supporto anche del resto della popolazione cittadina, e venne prolungato anche nei giorni successivi, coinvolgendo sempre più persone e allargandosi ad altre città, finendo infine per paralizzare la Francia. In quelle condizioni, neppure il campionato di calcio poteva avere luogo: impossibilitate a spostarsi con treni e aerei, le squadre professionistiche ottennero dalla Ligue de Football Professionnel la sospensione temporeanea delle partite. Ma anche tra i calciatori si stava diffondendo l’idea che tutto il sistema dovesse cambiare.

Il titolo nazionale era in realtà già stato conquistato dal solito Saint-Étienne allenato da Albert Batteaux, vincitore di tre campionati nelle ultime cinque stagioni e alla seconda affermazione consecutiva. In campo, poteva contare su veterani come Rachid Mekhloufi e Vladimir Durković, grandi giocatori come Robert Herbin e Aimé Jacquet, e giovani punte come Hervé Revelli e Salif Keïta. Il 12 maggio, il giorno prima del grande sciopero, il Saint-Étienne aveva pure conquistato la Coppa di Francia allo Stade de Colombes di Parigi, sconfiggendo 2-1 in finale il Bordeaux. Ma lo scoppio delle proteste popolari aveva interrotto il campionato mentre mancavano ancora quattro giornate alla fine del torneo, e dovevano essere decise le posizioni alle spalle dei Verts e, soprattutto, gli ultimi posti della classifica, che stabilivano le retrocesse in seconda divisione e le qualificate allo spareggio retrocessione-promozione. Non solo i match, ma anche gli allenamenti erano stati sospesi, perché lo sciopero a oltranza aveva bloccato anche le amministrazioni comunali, e quindi nessuno andava più a tagliare l’erba negli stadi e nei campi d’allenamento di proprietà pubblica.

Il 22 maggio, il numero dei manifestanti in tutta la Francia aveva raggiunto quota 10 milioni. Quello stesso giorno, alle 8.00 della mattina, un gruppo di persone fece irruzione negli uffici della Fédération Française de Football in Avenue d’Iéna 60b, nel XVI Arrondissement, occupandoli. Di essi facevano parte soprattutto giocatori delle serie dilettantistiche, ma anche due professionisti – André Mérelle e Michel Oriot, ala destra e mediano, rispettivamente di 24 e 29 anni, del Red Star di Saint-Ouen, all’epoca in seconda divisione – e quattro giornalisti sportivi: François Thébaud, Francis Le Goulven, Maurice Ragonneau e Jean Norval del Miroir du Football, un mensile calcistico legato al Partito Comunista francese. Arrivati alle finestre degli uffici della FFF, le aprirono e stesero all’esterno delle bandiere rosse e due striscioni: “Il calcio ai calciatori” e “La Federazione, proprietà di 600.000 calciatori”. Il Sessantotto era arrivato al cuore del potere del calcio, un po’ come se gli scioperanti di Parigi fossero riusciti a occupare l’Eliseo.

Gli impiegati della Federazione furono tutti rimandati a casa, mentre il segretario generale Pierre Delaunay e l’instructeur national (una sorta di coordinatore tecnico del calcio transalpino) George Boulogne furono “presi in ostaggio” per alcune ore. I manifestanti, autorinominatisi Comité d’Action des Footballeurs, scesero poi in strada per distribuire volantini in cui rivendicavano l’occupazione e invitano altre persone a unirsi e a venire a discutere del futuro del calcio come sport del nuovo mondo che stava nascendo, proprio come ormai da giorni la gente accorreva al grande teatro Odéon per ascoltare i dibattiti politici e le ragioni dei giovani contestatori. Il Comitato emise un comunicato per spiegare le sue azioni, accusando la Federazione di avere “espropriato il calcio” ai calciatori, utilizzandolo solo per il proprio profitto e per quello di un ridotto numero di club, e di aver “operato contro il calcio e accelerato il suo declino”. Nel corso del pomeriggio, Delaunay e Boulogne vennero liberati, e quest’ultimo attaccò furiosamente i contestatori, definendo i loro metodi “anti-democratici”. Ma si era appena all’inizio.

Gli uffici della FFF occupati, nel maggio 1968.

La maggior parte dei manifestanti erano calciatori dei club dilettantistici delle periferie parigine, come Aubervilliers, Pavillons-sous-bois e Neuilly-sur-Marne. Molti si aggiungero all’occupazione anche nel corso della giornata del 22 maggio o in quelle successive, dato che non pochi di loro erano già impegnati nelle altre proteste in giro per la città: questi calciatori si guadagnavano infatti da vivere per lo più come operai o con altri lavori umili, anche se qualcuno poteva anche essere uno studente universitario. Appartevano, in poche parole, a quello che era il nocciolo della rivolta del maggio francese, avevano una forte consapevolezza sociale ed erano fortemente politicizzati verso l’estrema sinistra. Benché fossero amatori, le loro rivendicazioni riguardavano principalmente il mondo del calcio professionistico, e in particolare il discusso sistema del vincolo, che legava a vita ogni calciatore al suo club, senza alcuna libertà di contrattazione e lavorativa. Già nel 1963 Raymond Kopa, una leggenda del calcio transalpino, aveva definito il vincolo come una forma di schiavitù, e la sua abolizione era una delle battaglie principali dell’Union Nationale des Footballeurs Professionnels, il sindacato dei calciatori fondato nel 1961 e presieduto all’epoca da Michel Hidalgo.

Nonostante la visita iniziale di Bruno Bollini, vice-presidente del sindacato, l’UNFP prese ufficialmente le distanze dall’occupazione di Avenue d’Iéna, con Hidalgo – all’epoca allenatore della seconda squadra del Monaco, due anni dopo il suo ritiro dal calcio giocato – che denunciò la deriva “anarchica” e il “disordine” causato dell’iniziativa. L’idea di insediarsi negli uffici della Federazione, d’altronde, era venuta ai quattro giornalisti e ad alcuni giocatori dell’APSAP Bretonneau, un piccolo club parigino in cui militavano diversi lettori e sostenitori del Miroir du Football, oltre che alcuni suoi autori. La protesta sessantottina creò dunque una spaccatura tra i calciatori francesi, il cui sindacato preferì mantenere un profilo istituzionale, a differenze dei suoi omologhi di altre categorie sociali e lavorative. Ciò non toglie che Just Fontaine, uno dei più importanti calciatori della storia del paese e primo segretario dell’UNFP, espresse la propria solidarietà agli occupanti di Avenue d’Iéna, pur senza partecipare in prima persona alla protesta. L’idea di una radicale riforma del calcio francese, sostenuta dai manifestanti, trovò l’esplicito consenso anche di Jean-Baptiste Doumeng, un ricco imprenditore e simpatizzante comunista, ex-membro della Resistenza francese e fino all’anno precedente presidente del Toulouse.

I toni e molte richieste dei contestatori erano chiaramente troppo radicali per essere appoggiate da una larga fetta del mondo del calcio. L’idea di azzerare i vertici del pallone era estrema, anche se decisamente motivata: Delaunay veniva accusato di essere l’emblema di un nepotismo non meritocratico (suo padre era Henry Delaunay, primo segretario della FFF e della UEFA) e chiamato “un volgare Luigi XVI”, mentre Boulogne veniva incolpato di essere il promotore un gioco noioso e difensivista che stava affossando il calcio francese, e veniva apostrofato come “il capo della mafia degli allenatori”. Destrutturare l’intero sistema capitalista del pallone e abbattere lo strapotere dei ricchi presidenti dei club era un’ambizione che difficilmente poteva trovare pieno sostegno istituzionale. Ma la battaglia per un rinnovamento dei quadri dirigenziali, per una riforma tecnica e strutturale della Federazione e per migliori condizioni contrattuali per i calciatori professionisti trovarono un consenso piuttosto ampio. Ciò fece sì che gli aspetti più pratici contenuti nel documento del Comitato furono effettivamente discussi, e Pierre Delaunay, fortemente contestato anche fuori dall’ambito dell’occupazione, dovette annunciare le proprie dimissioni da segretario generale della FFF.

Il comunicato del Comité d’Action des Footballeurs.

Il 27 maggio, in concomitanza con l’ammorbidimento delle proteste parigine in seguito agli accordi di Grenelle, gli occupanti di Avenue d’Iéna si ritirarono ordinatamente. In realtà, la Francia era ancora in subbuglio: i sindacati avevano accettato gli accordi, ma la base dei manifestanti era fortemente contraria e decisa invece a proseguire lo sciopero. Il 30 maggio a Nantes – una delle città in cui le contestazioni erano state più radicali, al punto che i manifestanti avevano anche preso il controllo del municipio – lo Stade Marcel Saupin ospitò un’amichevole eccezionale tra la squadra locale, una delle più forti del paese, e lo Stade Rennais, pensata come gesto d’appoggio ai manifestanti del maggio francese. Le due squadre si affrontarono davanti a 13.000 persone, e l’incasso del match venne devoluto alle famiglie dei lavoratori in sciopero. Alla fine, nel 1969 il sistema dei contratti a vita venne abolito, e sostituito con quello dei contratti a tempo variabile e determinato tra le parti.

Il maggio francese del calcio, però, non riuscì a essere un pieno successo: solo un ridotto numero di calciatori prese parte alla protesta, quasi tutti non-professionisti, e di fatto solo a Parigi. A differenza delle altre proteste sociali, quella del pallone non si estese mai al resto della Francia. Se le dimissioni di Delaunay erano state ottenute, Boulogne rimase al suo posto, e anzi nel 1969 venne addirittura nominato ct della Nazionale. Michel Hidalgo fu scelto come suo assistente, e nel 1976 nominato ct a sua volta. Per contro, i calciatori che avevano preso parte all’occupazione degli uffici della FFF subirono l’ostracismo dei club: André Mérelle avrebbe confessato in seguito le difficoltà nel trovare un nuovo club, quando l’anno successivo lasciò il Red Star, perché ormai era divenuto noto come un estremista di sinistra e un agitatore politico. Anche la protesta extra-sportiva, però, non ebbe grande fortuna: il 30 maggio, mentre si giocava l’amichevole di Nantes, il Presidente della Repubblica De Gaulle annunciava lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, e nelle nuove elezioni legislative tenutesi un mese dopo il suo partito conquistò oltre il 46% dei voti (aveva il 42,6%, in precedenza). Il trionfo dei conservatori segnò di fatto la sconfitta dei manifestanti.

Il ritorno alla normalità, per il calcio, si concretizzò tra giugno e luglio 1968, quando vennero giocate le restanti partite del campionato. Il Comitato provò a rinnovarsi, trasformandosi in un’organizzazione ufficialmente riconosciuta, l’Association Française des Footballeurs, con Just Fontaine presidente e con il supporto di Raymond Kopa, Yvon Douis e Rachid Mekhloufi. Questa esperienza, però, ebbe breve durata e non ottenne grandi risultati. La rivoluzione del calcio francese era fallita perché fondamentalmente il suo punto di forza – i calciatori professionisti – l’avevano ignorata. Non aveva sollevato nessun serio interesse popolare, a causa della concomitanza delle ben più pressanti questioni sociali sollevate nelle altre manifestazioni, e non aveva neppure ottenuto il pieno supporto del Partito Comunista. All’inizio degli anni Settanta, la rivoluzione tentò infine un ultimo romantico assalto ai palazzi del potere, con la nascita del Movimento Football Progrès, il cui epicentro saranno il calcio dilettantistico bretone e parigino.

Fonti

BILLARD Sébastien, “Le football aux footballeurs” : l’étonnant Mai-68 des joueurs de foot français, Le Nouvel Obs

DEY-HELLE Yann, 22 mai 1968: Occupation du siège de la FFF par les « Enragés du football », Dialectik Football

VAN MUIJDEN Olaf, French Footballers and the May 1968 protests, Football Makes History

WAHL Alfred, Le mai 68 des footballeurs français, Vingtième Siècle

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