“Si gioca dove si vive”: Evo Morales contro la FIFA

evo morales futbol

“Il segreto del calcio è l’unità, e in molti casi ci permette di dimenticare per un po’ i problemi sociali e politici.”

Evo Morales

Da un lato la FIFA, dall’altro la Bolivia. Era il 2007, ed era la terza volta nel giro di undici anni che la confederazione internazionale cercava di approvare un divieto per evitare che si giocassero match ufficiali oltre i 2.500 metri sul livello del mare: significava che la Bolivia, che si sviluppa quasi del tutto sulle Ande, non avrebbe più potuto ospitare partite di calcio, non avrebbe potuto avere un proprio campionato nazionale e sarebbe stata costretta a giocare sempre in trasferta le qualificazioni ai Mondiali e alla Copa América. Una follia, in un paese in cui il calcio rappresenta un fattore socio-culturale importantissimo per le popolazioni indigene, che rappresentano la grande maggioranza degli abitanti ma allo stesso tempo anche gli strati più bassi della società. Ed ecco perché, a guidare la protesta contro la FIFA, c’era in prima fila il presidente Evo Morales.

Nato nel 1959 nel dipartimento di Oruro, a oltre 3.700 metri l’altezza, Morales è cresciuto sotto la dittatura militare di Hugo Banzer, negli anni Settanta; proviene da una famiglia di minatori che successivamente si è trasferita nei bassopiani per lavorare nell’agricoltura, il lavoro in cui sono principalmente impiegati gli indigeni come lui. Cocaleros, o più generalmente campesinos: aymara, quechua, orinoca, popolazioni andine sfruttate da secoli e mantenute in stato di povertà estrema da un’élite bianca di origine per lo più spagnola. Fin dagli inizi del Novecento, i nativi boliviani hanno preso a utilizzare il calcio come strumento di aggregazione delle proprie comunità, facendone un elemento identitario: già negli anni Cinquanta, i sindacati dei cocaleros e dei mineros organizzavano tornei di calcio tra le squadre delle varie sezioni, e potevano addirittura vantare un campionato femminile, mentre nella maggior parte del mondo il calcio era bene o male precluso alle donne.

È in questo ambito, dove calcio e lotta sindacale e anticoloniale si amalgamano insieme, che si è formato Evo Morales: alla fine degli anni Settanta organizzò la squadra di calcio della sua sezione del sindacato cocaleros, nel 1981 venne nominato a capo del settore sportivo, e di lì a qualche anno fu eletto segretario dell’intera associazione. Calcio e politica sono andati di pari passo nella sua vita: nella sua biografia di Morales, il giornalista argentino Martín Sivak dice che la prima parola dell’Evo neonato fu tamta, ovvero “pallone” in lingua aymara. Verità o invenzione letteraria che sia, questo particolare delinea bene il legame venutosi a creare tra il sindacalista e politico boliviano con il suo sport preferito, in cui si sarebbe destreggiato durante la gioventù come un ottimo attaccante, almeno secondo quanto riferito nei numerosi aneddoti contenuti nei libri di Alejandra Claros, una trilogia di racconti della vita di Morales a metà strada tra la letteratura per ragazzi e la propaganda politica.

Evo Morales in azione con la maglia verde della selezione boliviana.

La difesa del diritto dei boliviani di giocare in altura, e cioè dove nascono e vivono, è chiaramente qualcosa che va la di là del campo di calcio e abbraccia direttamente ciò che Morales incarna: nel 2005, la sua incredibile vittoria elettorale è stata il risultato naturale di un movimento nato nel 1998, durante il ritorno al potere – stavolta per via elettorale – dell’ex-dittatore Banzer, che ha convogliato attorno alla sua figura le istanze delle fasce più povere ed emarginate del paese. Morales è diventato il primo presidente indigeno della storia della Bolivia e ha fatto della difesa dei diritti dei nativi un punto focale della sua politica, caratterizzata dall’opposizione ai tentativi neo-colonialisti degli Stati Uniti e delle altre organizzazioni internazionali culturalmente occidentali, come appunto è anche la FIFA.

E d’altronde la questione dell’altura è qualcosa che il governo del calcio non ha mai visto di buon occhio, in quanto causa di “squilibri” che portano grandi squadre a rischiare la sconfitta contro formazioni più deboli ma più abituate a giocare in condizioni di ossigeno rarefatto. Non è un caso che l’unico trofeo della storia boliviana sia arrivato nel Campeonato Sudamericano del 1963, giocato in casa e segnato dalle incredibili vittorie della Verde contro l’Argentina e il Brasile bi-campione del mondo in carica. Una circostanza, questa della vittoria sui verdeoro, che si ripeté nel 1993 alle qualificazioni mondiali, consentendo alla Nazionale di Erwin Sánchez, Jaime Moreno e Marco Etcheverry di tornare a giocare la fase finale della Coppa del Mondo a 44 anni di distanza dall’ultima volta. Fu da quel momento che la FIFA iniziò, infatti, a ragionare seriamente di un divieto delle partite in altura, presentando discussi studi medici che volevano dimostrare le ripercussioni sulla salute dei giocatori dello sforzo fisico a elevate altitudini.

Già i predecessori di Morales alla presidenza boliviana avevano osteggiato il piano della confederazione internazionale, ma nessuno aveva fatto della questione un aspetto centrale della propria azione politica. Immediatamente, due noti politici della sinistra latinoamericana come Fidel Castro e Hugo Chávez appoggiarono la battaglia contro la FIFA, e presto a essa si aggiunse anche Diego Armando Maradona, da sempre in conflitto con il governo del calcio globale. Quella che era stata a lungo una questione sportiva locale divenne una battaglia politica internazionale, attirando numerose attenzioni da tutto il mondo sulla partita che Morales organizzò a La Paz nell’estate del 2007: una banalissima amichevole di scarsissimo livello tecnico si ritrovò a essere seguita e raccontata dai grandi media, anche e soprattutto quelli che non si occupavano principalmente di sport, come ad esempio Reuters. “Oggi abbiamo dimostrato alla FIFA che si può giocare in altura” commentò a fine partita Morales, che nonostante i suoi 47 anni era stato uno dei giocatori scesi in campo.

Divenuto abbastanza celebre come uno dei tanti nuovi leader della sinistra del Sudamerica emersi negli anni Duemila (Chávez, Lula, Néstor Kirchner, Rafael Correa), la battaglia contro la FIFA aveva dato a Morales una fama globale, spingendolo a usare sempre più la sua passione per il calcio come strumento di politica internazionale. Il rilancio dell’economia aveva posto le basi per il miglioramento delle condizioni di vita degli indigeni, a cui si legava anche per una intensa politica di sostegno allo sport, che ha visto la costruzione di numerosi impianti e l’istituzione di un apposito ministero, affidato nel 2014 a Tito Montaño, ex-difensore della Nazionale tra gli anni Ottanta e Novanta, prima di diventare economista. A una di queste inaugurazioni, Morales invitò El Pibe Valderrama, indimenticabile fuoriclasse colombiano degli anni Ottanta e Novanta, mentre in un’altra occasione fece venire a La Paz il brasiliano Ronaldinho per consegnargli la Medaglia al Merito Sportivo.

Valderrama accanto a Morales nel 2016, all’inaugurazione di un campo sintetico nello stadio Félix Capriles di Cochabamba, una delle sedi dei Giochi Sudamericani del 2018. In quell’occasione, l’ex-campione colombiano invitò la gente a votare la riforma costituzionale del presidente della Bolivia.

Nella sua carriera politica, Morales non è stato esente dalla strumentalizzazione del calcio a fini propagandistici, ricorrendo anche a trovate abbastanza bizzarre, come quando nel 2014 fu annunciato il suo ingaggio con lo Sport Boys Warnes, una squadra di prima divisione. Il presidente del club, Mario Cronenbold, disse che l’operazione era legata a uno sponsor che aveva promesso di sovvenzionare la squadra in caso di accordo col Presidente, ma era chiaro a tutti che, con le elezioni di lì a pochi mesi, il reale motivo fosse diverso. Anche perché il club proveniva dal dipartimento di Santa Cruz, dove il suo partito, il Movimiento al Socialismo, aveva sempre incontrato maggiori difficoltà rispetto alle altre zone del paese.

Le amichevoli internazionali della Bolivia, che da anni vive una crisi di talenti molto forte (il miglior risultato durante la presidenza Morales sono stati i quarti di finale della Copa América del 2015), sono diventate per Evo Morales un’occasione politica irrinunciabile per stringere alleanze con leader stranieri. Ma la sua passione per il calcio è divenuta anche una scusa per viaggiare con delegazioni governative in Sudafrica nel 2010, in Brasile nel 2014 e in Russia nel 2018, al punto che tra i suoi oppositori si diffusa una battuta che è stato più volte lui alla Coppa del Mondo che non la Nazionale. Nel 2015 destò un po’ di perplessità la sua decisione di partecipare a una partita di calcio assieme al neo-eletto presidente argentino Mauricio Macri, ex-presidente del Boca Juniors ed esponente conservatore; ma solo quattro anni dopo Morales si ritrovò a fare lo stesso con Matías Lammens, Ministro dello Sport del nuovo governo peronista di Alberto Fernández.

In quei giorni, Morales si trovava in esilio, dopo una rivolta scoppiata in Bolivia a seguito delle elezioni che lo avevano visto trionfare per la quarta volta consecutiva, ma accompagnate da accuse di brogli. Contro di lui non si era schierato solo l’esercito, ma anche buona parte dei calciatori boliviani, che a dispetto della passione del presidente per il fútbol non si erano mai sentiti convinti dalle sue politiche. La crisi politica, alla fine, si è risolta con delle nuove elezioni, vinte dall’ex-Ministro dell’Economia Luis Arce, che a fine 2020 ha consentito a Morales di rientrare in Bolivia.

Fonti

Evo Morales y el futbol: un motor de cambio social, Apuntes de Rabona

MESA GISBERT Carlos, Fútbol y altura. La dramática historia de La Paz y el fútbol boliviano, Nueva Sociedad

TRIGO Maria Silvia, Evo Morales: 12 años de poder y fútbol, El Deber

VILLENA FIENGO Sergio, ¿DES-gol-ONIZACIÓN? Fútbol y política en los movimientos indígenas de Bolivia, Revista Crítica de Ciências Sociais

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