Il cameriere e lo Slavia

Jindřich Trpišovsky è uno degli allenatori di culto di questi anni, grazie ai risultati del suo Slavia Praga. Calcio proletario e di periferia, all’inseguimento del centro.

La vita di Jindřich Trpišovský segue uno schema ben preciso: sveglia alle 7, per le 8 è davanti al pub, apre le porte e inizia a servire i clienti del mattino, che siccome siamo in un quartiere molto lontano dalla Praga che tutti conoscono sono sempre gli stessi; alle dieci arriva la collega a dargli il cambio e lui corre al campo sportivo per dirigere l’allenamento; poi c’è la pausa pranzo, che significa che deve tornare al locale a guadagnarsi la giornata; alle cinque di nuovo al campo, per l’allenamento del pomeriggio, quindi terza puntata al pub per il turno della sera. A casa stravolto, a letto, e la mattina si ricomincia.

È una vita che gli piace? Dipende dai giorni. A volte è così stanco che pensa di mandare tutto all’aria e lasciar perdere questa faccenda dell’allenare, che gli dona solo stress e se lo fa pagare in sudore e ore di sonno. Ha 30 anni, nessuna istruzione particolare e un modesto lavoro da cameriere e barista in periferia; a calcio non ci ha mai giocato, e queste sono cose che pesano, se vuoi fare l’allenatore.

Era adolescente quando il Barcellona di Cruijff e il Milan di Sacchi sconquassavano il calcio; era un ventenne pieno di ambizione quando la Repubblica Ceca sfiorava il titolo europeo, inaugurando la storia nuova di una nazione appena nata. C’erano diversi ragazzi poco più grandi di lui, in quella squadra, gente che poteva veder giocare ogni domenica: Pavel Nedvěd dello Sparta, Karel Poborský e Vladimír Šmicer dello Slavia. Una generazione di promesse non mantenute in cui Jindřich non ha nessuna intenzione di immedesimarsi. Così ha deciso di diventare allenatore.

Vive e lavora a Horní Počernice, estrema periferia orientale di Praga: quartiere residenziale come ce ne sono tanti, fuori dalle rotte turistiche e senza nulla della mitologia romantica che ha reso famosa la città. Andando verso sud e inoltrandosi poco poco nella campagna, si arriva a una località agricola chiamata Xaverov, che incredibilmente ha una squadra di calcio che gioca in un campo un paio di chilometri più all’interno. È lì che, all’inizio degli anni Duemila, Jindřich si ritrova tecnico della formazione giovanile di un club di seconda divisione.

L’ingresso dello stadio del SC Xaverov è l’immagine plastica del campo di periferia.

Passa un decennio su quella panchina, ai margini di un mondo di cui avrebbe tanta voglia di far parte, mentre là fuori vengono fuori Guardiola e Klopp: il calcio cambia, e lui resta al palo. Nel 2011 gli offrono un posto da allenatore capo in quarta serie: accetta, anche se non ha un vero stipendio e deve continuare a fare il barista, e ora per raggiungere il campo da gioco deve fare un po’ più di strada, fino a un’altra periferia, quella di Horní Měcholupy.

Ottiene la promozione in terza divisione, i suoi giocano bene e in città il suo nome incomincia a circolare. Non solo il nome, anche il cognome: non è più solo Jindřich, quello del pub; adesso è Jindřich Trpišovský. Riceve un ingaggio importante, per andare ad allenare il Viktoria Žižkov in seconda divisione; un grande salto, non solo a livello sportivo ma anche geopolitico: oltre 10 km verso l’interno di Praga, Žižkov guarda in faccia i decadenti musi gotici del centro, a un passo dal corso della Moldava.

L’anabasi di Trpišovský, però, ha un suo lato negativo: il club si scopre in piena crisi economica (se no, non si sarebbero certo rivolti al cameriere di periferia che non ha mai giocato in vita sua, bisbiglia qualcuno malignamente) e non può garantire un regolare stipendio né a lui né ai giocatori. Lo attendono altri anni da allenatore proletario. Sul subito, gli verrebbe voglia di mollare tutto e tornare alla sua piatta marginalità suburbana, rassegnarsi a essere anche lui figlio di una generazione di sognatori incompiuti.

E invece al Viktoria Žižkov fa i miracoli, e riceve l’offerta della vita: lo vuole lo Slovan Liberec. Deve lasciare Praga, dove ha trascorso letteralmente tutta la sua vita, per trasferirsi ai confini settentrionali del Paese. Ma è la prima divisione, il calcio che conta con uno stipendio che conta: arriva terzo in campionato, si gioca per due anni i gironi di Europa League, e come compenso gli viene notificata la fine del suo esilio nel Nord. Nel 2017 può tornare a Praga per allenare lo Slavia, i campioni nazionali in carica, il miglior ingaggio che un allenatore ceco possa desiderare, esclusa la Nazionale.

Trpišovský nel suo primo anno allo Slavia Praga, stagione 2017/2018.

Da qui, la storia di Jindřich Trpišovský è senza dubbio più nota. Lo Slavia Praga assimila il suo gioco verticale e offensivo, che gli vale oggi il nomignolo di Klopp ceco, e lentamente si afferma. La prima è un’annata interlocutoria, in cui i bianco-rossi arrivano secondi in campionato, mentre in Europa League bloccano sul pareggio il Villarreal ed espugnano il campo del Maccabi Tel-Aviv. La seconda è già spettacolo: campioni nazionali e quarti di finale di Europa League, eliminando Bordeaux, Copenaghen, Genk e addirittura la regina della competizione, il Siviglia. Nella sua terza stagione, lo Slavia disputa i gironi di Champions League e tiene in scacco Inter e Barcellona; il nome di Trpišovský viene stampato sui giornali di tutta Europa e i suoi pupilli Tomáš Souček e Vladimír Coufal sono tra le nuove promesse del calcio ceco, trasferendosi in Premier League.

Oggi, il cameriere di periferia prepara ancora una volta un quarto di finale europeo, continuando la sua anabasi: non più verso il cuore della Repubblica Ceca, ma verso quello dell’Europa. Una strada conquistata metro per metro, pallone per pallone.

Fonti

DE FELICE Alessandro, L’uomo che ha reinventato lo Slavia Praga, QuattroTreTre

Il bello dell’Europa League 2019 vol. 12, L’Ultimo Uomo

KAHN Michael, MULLER Robert, ‘Czech Klopp’ Trpisovsky making big impression with Slavia, Reuters

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