“Passerà un millenio senza che nessuno / possa ripetere le tue prodezze / il colpo di tacco e di testa / tutto fatto con l’eleganza del ballerino.” – Cátulo Castillo
Nell’accampamento militare rotola un pallone, un ragazzo lo prende e inizia a palleggiare. Ha 17 anni appena, ma è già soldato: il suo paese, il Paraguay, sta affrontando uno dei momenti più drammatici della sua storia, la guerra contro la Bolivia. È una nazione giovane, piccola e povera, specialmente se confrontato con il nemico, che ha una popolazione tre volte maggiore e un esercito meglio armato. Ma i paraguayani hanno scelto la via della guerriglia, avvantaggiandosi della fitta vegetazione del paese che rendeva praticamente inutili i carrarmati boliviani.
È il 1932, e la guerra è scoppiata quasi per caso. Durante gli scavi sulle vicine Ande, è stato trovato il petrolio, per cui le grandi compagnie nordamericane hanno stabilito che ce ne dev’essere anche nell’arida e desertica regione del Gran Chaco, che sta al confine tra la Bolivia e il Paraguay. I primi si sono accordati con la Standard Oil, mentre i secondi con la Shell, ma nessuna delle due nazioni ha il pieno controllo della regione, anche se entrambi la rivendicano. Certo, di mezzo ci sarebbero anche gli indigeni guaraní, legittimi abitanti dell’area, ma del loro parere non è mai importato nulla a nessuno. Un bel giorno, la Bolivia ha rotto gli indugi e ha attaccato il Paraguay, che è stato costretto a chiamare a combattere chiunque fosse in grado di reggere un fucile.

Un ufficiale viene attirato dal ragazzo che palleggia, e gli si avvicina. Lo riconosce subito: è alto e longilineo, e una classe che si nota a occhio nudo; il suo nome è Arsenio Erico, e gioca nel Club Nacional. La sua famiglia è di Asunción – anche se i nonni erano immigrati italiani – suo padre, gli zii e qualche fratello sono tutti calciatori, e lui è l’ultimo della cucciolata, il più promettente. È un peccato debba trovarsi lì, nella giungla, a spararsi con i boliviani: è la guerra, e in guerra si muore, se non per un proiettile per la malaria. Ma c’è una soluzione: la Croce Rossa paraguayana sta allestendo una sua squadra di calcio, con l’obiettivo di disputare alcune partite in Argentina – che appoggia il Paraguay nel conflitto tramite l’invio di aiuti – per raccogliere fondi. L’ufficiale ci mette una buona parola, e il ragazzo prende le sue cose e lascia il fronte.
L’Argentina è la patria del calcio, assieme all’Uruguay, o almeno così appare agli occhi dei sudamericani. La Selección aveva giocato la finale olimpica del 1928 e quella mondiale del 1930, perdendole entrambe contro l’Uruguay, ma in compenso aveva vinto le ultime due edizioni del Campeonato Sudamericano, nel 1927 e nel 1929. Annoverava fenomenali calciatori come Luis Monti, Manuel Ferreira, Guillermo Stabile e Francisco Varallo. Niente a che vedere con il più modesto calcio paraguayano, che dopo anni di anonimato proprio al campionato del 1929 aveva colto un bel secondo posto grazie alle reti dell’attaccante dell’Olimpia Aurelio González.
Nella tournée argentina, Erico lascia il segno più di qualsiasi altro compagno di squadra: per l’età che ha, dimostra doti tecniche e atltiche fuori dal comune, con un innato senso del gol e una capacità straordinaria in elevazione, che lo rende un fenomenale colpitore di testa. Tra la gente che viene a vederlo, inizia a circolare il nomignolo di El Diablo Saltarín. Su di lui si fionda il River Plate, con una proposta d’ingaggio da far girare la testa: si tratta della squadra che sta dominando la Primera División, e che in campo schiera fenomeni come Carlos Peucelle, Ángel Bossio, Bernabé Ferreyra e Pablo Dorado.
Ma un altro club argentino di presenta dal ragazzo, con un’offerta economicamente ancora più allettante: 200 pesos al mese, più altri 5.000 alla firma. Si tratta dell’Independiente di Avellaneda, il grande avversario del River in campionato, la squadra del fuoriclasse Manuel Seoane e Juan Carlos Corazzo, nonché di altri giovani talenti come Roberto Porta e Antonio Sastre. Arsenio Erico cede alle lusinghe dell’Independiente e ottiene un permesso scritto dal Ministero della Difesa paraguayano che ne consente il congedo dall’esercito e il trasferimento in Argentina. Per lui, la guerra era finita lì.

Nel giro di pochi anni divenne il giocatore simbolo dell’Independiente, con cui giocò fino al 1946, mettendo a segno 293 reti in 325 partite, stabilendo il record del club e del campionato argentino. Vinse tre volte la classifica marcatori, tra il 1937 e il 1939, e due campionati, nello stesso periodo.
La guerra del Chaco, invece, si fermò molto prima, nel 1935. Per la Bolivia era stato un disastro, il Paraguay era riuscito a resistere e portare sotto il suo controllo quasi l’intera regione. In tutto, erano morte circa 100mila persone. Ed erano morte per niente: a conflitto finito, gli ingegneri della Shell scoprirono che sotto il Gran Chaco non c’era nulla che avesse valore. O almeno, sotto la parte del Gran Chaco che era stata conquistata dal Paraguay, perché nella restante parte rimasta sotto controllo boliviano vennero rinvenuti giacimenti di gas naturale e petrolio, che salvarono l’economia nazionale dalla crisi post-bellica. L’unico tesoro del Paraguay rimase Arsenio Erico.
Fonti
–Arsenio Erico, il più grande goleador del campionato argentino, Contra-Ataque
–GRAZIANI Francesco, Lo scorpione di Arsenio Erico, Numeri Primi, Rai Radio 1