Quando il calcio ha escluso la Russia

Infantino e Putin ai Mondiali 2018 in Russia

L’esclusione della Russia dal calcio internazionale, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, ha rappresentato un caso molto particolare e discusso (anche se non l’unico: era già avvenuto nel 1976 col Sudafrica, e nel 1992 con la Jugoslavia). Oggi, se ne parla soprattutto in relazione alla mancata azione della FIFA e della UEFA contro Israele, sotto accusa per il genocidio in Palestina ma non ancora sospeso dalle competizioni internazionali, nonostante le molte proteste. Così, il caso della Russia viene spesso citato come simbolo del doppio standard delle istituzioni del calcio verso Israele, anche se spesso sembra che pochi ricordino come si arrivò alla decisione di estromettere le squadre russe dai tornei. A un’analisi più attenta di quei giorni, si scopre infatti che il percorso che condusse a quella soluzione fu ben più tortuoso rispetto a quanto molti ricordano, e furono le pressioni di importanti federazioni europee a forzare la mano alla FIFA e alla UEFA.

Tutto iniziò giovedì 24 febbraio 2022, quando l’esercito russo invase il territorio dell’Ucraina. In realtà, la Russia era già impegnata nel Donbass fin dal 2014, sebbene in maniera indiretta, finanziando le milizie separatiste della regione, in guerra contro l’esercito ucraino. In quegli otto anni, in cui il sostegno russo ai separatisti del Donbass era sempre stato noto e riconosciuto da tutti, le istituzioni dello sport non avevano mai deciso di agire contro la federcalcio russa RFU, che anzi era un ottimo alleato sia della UEFA (Gazprom, il colosso energetico statale con sede a San Pietroburgo, era lo sponsor principale della Champions League) che della FIFA (nel 2018 i Mondiali si tennero tranquillamente in Russia, e Gianni Infantino non ebbe nessun problema nell’esprimere la propria amicizia con Vladimir Putin). Il calcio non fu solo in questa alleanza commerciale con la Russia, però: fino all’invasione dell’Ucraina, il clima politico internazionale verso Mosca era sempre stato piuttosto rilassato (con l’eccezione degli Stati Uniti).

Poche ore dopo l’invasione dell’Ucraina, la UEFA pubblicava un comunicato di condanna nei confronti dell’attacco russo, e annunciava che il giorno seguente il Comitato Esecutivo dell’associazione si sarebbe riunito per prendere una decisione sul da farsi. Subito dopo, però, vari media britannici anticipavano che nella riunione sarebbe stata ufficializzata la revoca alla Russia la finale della Champions League, che si sarebbe dovuta giocare a San Pietroburgo il 28 maggio successivo. L’assegnazione della finale era avvenuta nel 2019, ma originariamente avrebbe dovuto riguardare l’edizione dell’anno precedente: era infine slittata al 2022 a causa della pandemia del Covid-19. Si sarebbe trattato della seconda finale di Champions League in Russia, dopo quella di Mosca del 2008, ed era stata ottenuta soprattutto grazie all’influenza di Alexander Dyukov, dirigente di primo piano di Gazprom, ex-presidente dello Zenit e dal 2019 a capo della RFU, oltre che membro del Comitato Esecutivo della UEFA.

Nel frattempo, anche la FIFA aveva immediatamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, ma non si era ancora espressa sul tema più scottante: esattamente di lì a un mese, il 24 marzo, la Russia avrebbe dovuto affrontare la Polonia nella prima gara degli spareggi per qualificarsi ai Mondiali del 2022. In caso di vittoria sui polacchi, i giocatori russi avrebbero affrontato la vincente dello spareggio tra Svezia e Repubblica Ceca, nella sfida decisiva per la qualificazione. La questione era particolarmente seria, perché tutte e tre le squadre che avrebbe potuto affrontare la Russia provenivano da paesi solidamente schierati a favore dell’Ucraina. Le partite potevano dunque rappresentare un problema di ordine pubblico, se non proprio di conflitto con le federazioni polacca, svedese e ceca. Intervistato da Reuters, il presidente della federcalcio svedese Karl-Erik Nilsson disse che era “quasi impensabile” giocare in Russia poche settimane dopo. Nella giornata del 24 febbraio, la federcalcio ucraina chiedeva alla FIFA e alla UEFA di escludere la Russia dal calcio internazionale, e subito dopo Svezia, Polonia e Repubblica Ceca domandavano alla FIFA di spostare in campo neutro le partite della Russia per gli spareggi.

Alexander Dyukov
Alexander Dyukov, l’uomo più potente del calcio russo. Nell’aprile 2022, il governo britannico ha imposto delle sanzioni nei suoi confronti, a causa del suo ruolo come presidente di Gazprom Neft.

Nel primo giorno della crisi ucraina, si erano quindi registrate solo due condanne formali verso la Russia da parte di UEFA e FIFA; la decisione di spostare la finale di Champions League da San Pietroburgo (resa ufficiale il 25 febbraio); e la richiesta di Polonia, Svezia e Repubblica Ceca di non giocare in Russia negli spareggi mondiali. In Germania, lo Schalke 04 aveva rotto la sua storica partnership commerciale con Gazprom, mentre in Inghilterra, in seguito alle sanzioni del governo contro le aziende russe, il Manchester United aveva interrotto la sua collaborazione con Aeroflot, la compagnia aerea statale russa. Se la FIFA aveva il problema degli spareggi per la Coppa del Mondo, che si sarebbe svolta a fine anno in Qatar, la UEFA era pressata per prendere una decisione anche in merito alla partecipazione della Russia agli Europei femminili, che si sarebbero svolti in Inghilterra in estate, e per i quali la squadra aveva già ottenuto la qualificazione. L’aumento di visibilità del calcio femminile dopo i Mondiali del 2019 aveva fatto sì che questo aspetto diventasse abbastanza dibattuto, nel febbraio 2022.

Dopo alcuni giorni di discussioni, domenica 27 febbraio la FIFA rese pubblica la sua decisione: la Russia non sarebbe stata esclusa dal calcio internazionale. La selezione avrebbe partecipato agli spareggi di marzo sotto il nome di RFU, cioè in rappresentanza della sua federcalcio (e non del paese), e non avrebbe potuto sfoggiare la bandiera nazionale né sarebbe stato possibile eseguire l’inno russo prima delle partite. Inoltre, la squadra avrebbe dovuto giocare le gare casalinghe in campo neutro e a porte chiuse. La FIFA, in ultimo, non escludeva ulteriori sanzioni in futuro, se la guerra in Ucraina fosse proseguita. Ma la decisione del 27 febbraio generò subito molte polemiche: il calcio aveva adottato le stesse misure del TAS di Losanna del 2020 contro la Russia, accusata in quel caso di doping di stato. La FIFA non aveva alcuna intenzione di bloccare la partecipazione della Russia ai Mondiali, anche per il rischio di creare un precedente, e aveva dunque cercato un compromesso. Dal canto suo, la UEFA aveva deciso di prendere tempo e di non esprimersi, lasciando a Infantino l’onere di esporsi per primo.

Le sanzioni della FIFA trovarono subito l’opposizione di Cezary Kulesza, il presidente della federcalcio polacca, che le definì “inaccettabili”, aggiungendo che la Polonia si rifiutava di affrontare la Russia in qualsiasi condizione e su qualsiasi terreno. Questo avrebbe comportato la sconfitta a tavolino della squadra polacca, e la qualificazione automatica di quella russa al turno successivo degli spareggi. Ma anche la Svezia e la Repubblica Ceca si erano allineate alla posizione della Polonia, minacciando a loro volta di non giocare contro la Russia. Di conseguenza, la selezione di Mosca poteva considerarsi già qualificata ai Mondiali, a norma di regolamento. A quel punto, intervenne il Regno Unito, il cui governo aveva iniziato a emanare delle sanzioni contro gli affari degli oligarchi russi nel paese. Queste misure colpivano direttamente il mondo del calcio, dato il rilevante numero di club professionistici inglesi controllati da imprenditori russi, a partire dal Chelsea, di proprietà di Roman Abramovich.

La federcalcio inglese diffuse un breve comunicato in cui si univa al boicottaggio della Russia, rifiutandosi di giocare contro le sue squadre. Questo poteva diventare un problema serio per la FIFA, nel caso in cui Russia e Inghilterra si fossero ritrovate come avversarie al Mondiale, ma pure per l’UEFA, dato che i prossimi Europei femminili avrebbero visto la Russia giocare proprio su territorio inglese. Nelle ore successive, anche Galles e Scozia, le cui squadre dovevano disputare gli spareggi, si unirono all’Inghilterra nel rifiuto di affrontare la Russia. A questo punto, il boicottaggio non era più una questione che potesse essere sottovalutata: sei federazioni europee (tra cui una molto importante come quella inglese) minacciavano di non giocare contro la Russia, con il rischio di compromettere i Mondiali in Qatar, evento di fondamentale importanza per Infantino. A ruota arrivò anche la presa di posizione di Noël Le Graët, il presidente della federcalcio francese, che parlando a Le Parisien appoggiò per primo la richiesta dell’Ucraina di escludere del tutto la Russia dal calcio internazionale.

Andriy Pavelko Ucraina
Andriy Pavelko, presidente della federcalcio ucraina al momento dell’invasione russa. Pavelko è stato anche deputato due partiti filo-europeisti, prima con il Batkivshchyna di Yulia Tymoshenko (2012-2013) e poi con il Blocco Petro Poroshenko (2014-2019).

Davanti a queste pressioni, lunedì 28 febbraio, appena quattro giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, la FIFA e la UEFA diffondevano un comunicato congiunto in cui annunciavano che tutte le squadre russe, sia nazionali che club, erano sospese dalla partecipazione agli eventi internazionali. Questa decisione non sarebbe però mai stata presa se alcune importanti federazioni non fossero arrivate a minacciare di ritirarsi dalle partite contro le squadre russe, mettendo a rischio la legittimità stessa delle competizioni e, cosa ancora più importante, i guadagni della FIFA e della UEFA. Quando si guarda alle differenze tra il caso russo e quello israeliano, il punto sta essenzialmente tutto qui: dall’ottobre 2023 a oggi, nessuna federazione di nessun paese ha mai pensato di rifiutarsi di giocare contro Israele, mettendo la FIFA e la UEFA nella scomoda posizione in cui si ritrovarono alla fine del febbraio del 2022. Questo aspetto è stato sottolineato più di recente anche dal presidente della UEFA Čeferin, che a Politico ha spiegato la differenza tra i due casi: “Con la situazione in Russia e Ucraina, ci fu una fortissima pressione politica, una reazione politica quasi isterica. Ora è più una pressione della società civile che dei politici”.

Tuttavia, l’esclusione della Russia dal calcio internazionale è stata in realtà più che altro una mossa di facciata delle istituzioni del calcio. Per esempio, la Bielorussia, che pure aveva partecipato direttamente all’invasione dell’Ucraina, non ha mai subito alcuna sanzione, e già nel giugno 2022 era tornata regolarmente in campo nella Nations League. Alexander Dyukov, probabilmente la figura del calcio russo maggiormente legata a Putin, è rimasto tranquillamente nel Comitato Esecutivo della UEFA fino all’aprile 2025, quando si sono svolte nuove elezioni, alle quali non si è candidato. Infine, l’esclusione della Russia non ha affatto significato la sua marginalizzazione dal calcio internazionale: già nel settembre 2022, la selezione tornava a giocare in amichevole contro il Kirghizistan. Dal giorno della sospensione, la Russia ha disputato in tutto 18 partite non ufficiali, affrontando Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Iran, Iraq, Camerun, Kenya, Cuba, Serbia, Bielorussia (due volte), Vietnam, Brunei, Siria, Grenada, Zambia, Nigeria e Giordania.

Nel 2025, il calendario della Russia prevede il maggior numero di match da quando ha invaso l’Ucraina, e quest’anno affronterà anche uno storico alleato della FIFA come il Qatar, oltre a tre squadre sudamericane: Bolivia, Perù e Cile. Nessuna di queste federazioni che hanno rotto l’isolamento russo nel calcio ha subito alcuna sanzione, e a oltre tre anni dall’inizio della guerra Mosca sembra sulla strada per una prossima reintegrazione nel sistema del calcio internazionale. Un mese fa, il Guardian ha rivelato che dal 2022 a oggi la UEFA ha versato quasi 11 milioni di euro di contributi di solidarietà ai club russi, nonostante la sospensione. Da un lato, è innegabile che la FIFA e la UEFA abbiano fatto il possibile per evitare di infliggere sanzioni concrete alla Russia e, quando sono state costrette, hanno comunque chiuso spesso gli occhi sulle possibili infrazioni. Da un altro lato, l’atteggiamento del resto del calcio internazionale è stato ambivalente: la maggior parte delle federazioni non si è mai espressa sul caso della Russia (alcune hanno tranquillamente organizzato partite contro le sue selezioni), e nessuno ha contestato il doppio standard nei confronti della Bielorussia né la permanenza di Dyukov ai vertici della UEFA. A ben vedere, l’atteggiamento delle istituzioni calcistiche è praticamente stato lo stesso visto poi con Israele: a fare la differenza, sono state una manciata di federazioni che hanno minacciato il boicottaggio.

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1 commento su “Quando il calcio ha escluso la Russia”

  1. Che poi è la politica abituale delle grandi forze del capitalismo (e non si può negare che FIFA e UEFA gestiscano la macchina forse più remunerativa del capitalismo dell’intrattenimento): cercare finché possibile di mantenere il “business as usual”. Grazie della disamina.

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