Il saluto di Mark Bosnich

Ci sono occasioni che non ci si può lasciar sfuggire. Diventare un giocatore del Manchester United, fresco vincitore della Champions League, è una di queste, e il prestigio di questa chiamata è accresciuto dal fatto che i Red Devils ti vogliono per ereditare la storica maglia di Peter Schmeichel. Il danese, a 36 anni, ha deciso di trasferirsi in Portogallo allo Sporting Lisbona, e il suo trono è rimasto vacante. Mark Bosnich, 27 anni, è l’uomo scelto per prenderne il posto: un evento storico non solo per lui ma anche per tutto il misconosciuto calcio australiano. Viene da sette stagioni di buon livello all’Aston Villa, dopo che proprio lo United lo aveva portato in Inghilterra, ma il suo acquisto suscita alcuni malumori nella tifoseria. Su Bosnich, infatti, grava il sospetto di simpatie naziste.

L’episodio risale all’ottobre del 1996, durante una gara contro il Tottenham, un club conosciuto soprattutto per il suo storico legame con la comunità ebraica londinese. Durante la partita, i fan degli Spurs iniziano a urlare “Klinsmann, Klinsmann” per provocare Bosnich. Altro tuffo nella storia: un anno e mezzo prima, quando le due squadre si eranno affrontate in un’altra partita, il portiere australiano era stato protagonista di un’avventurosa e scomposta uscita sull’attaccante tedesco Jürgen Klinsmann, a cui causò un trauma cranico. Bosnich si sente offeso dai cori dei tifosi del Tottenham, e per tutta risposta si volta verso di loro e gli mostra il braccio teso e, con un dito dell’altra mano posto sotto il naso, mima i baffetti alla Hitler. L’arbitro Peter Jones sta seguendo il pallone e non si accorge di nulla, ma sente l’improvviso boato di protesta dei tifosi degli Spurs. Così è il guardalinee Mike Tingey a segnalargli l’accaduto: è cartellino giallo, ma soprattutto l’episodio viene registrato sul referto della partita, e quindi messo agli atti. Nel Regno Unito, per una cosa del genere, scattano le indagini penali.

Bosnich è un personaggio molto discusso, anche a Birmingham. Eccentrico e spregiudicato negli interventi in campo, per quanto indubbiamente talentuoso, fuori dal calcio conduce una vita molto poco da atleta, mangiando male, facendo spesso le ore piccole e, si scoprirà in seguito, anche facendo uso di cocaina. Ma questa è tutt’altra cosa, e Bosnich se ne rende conto solo quando, dopo la partita, la polizia scende negli spogliatoi per interrogare sia lui che l’allenatore Brian Little. La stampa britannica si scatena contro il portiere nazista dell’Aston Villa, e tutti si aspettano dure condanne e pensanti sanzioni, sia a livello sportivo che penale. D’altronde, questo è pur sempre il paese che vede in forte crisi i Tories di John Major e in grande ascesa il Labour di Tony Blair, che promette di riportare la sinistra al potere alle elezioni del prossimo maggio dopo 18 anni. Si respira aria di cambiamento, e un calciatore che fa il “Sieg Heil” pare trovarsi proprio nel contesto politico più sbagliato possibile.

Il club decide che Bosnich deve scusarsi pubblicamente, e la sera stessa il portiere interviene telefonicamente a Radio 5, dicendosi “sconvolto” per ciò che è successo. “Vorrei solo dire che è stato un gesto fatto per ignoranza. – spiega – Per me era solo uno scherzo, ma è stato considerato male e sono molto dispiaciuto. So che tanti tifosi degli Spurs hanno perso qualcuno durante la guerra, ma la stessa cosa è successa anche a me”. Dice che non sapeva del rapporto tra il Tottenham e la comunità ebraica, ma francamente in pochi gli credono, perché dopo oltre quattro anni nel Regno Unito appare difficile non abbia sentito mai nominare questa storia. Per stemperare gli animi, alla fine interviene anche Brian Little: “Non è stata la cosa più saggia da fare, ma Mark prova davvero rimorso. Si è già scusato su una radio nazionale, ma davvero non so cos’altro possa fare. Questa storia, comunque, non influenzerà il suo futuro all’Aston Villa”. L’assoluzione da parte del suo club, quindi, è già arrivata.

La pericolosa uscita di Bosnich su Klinsmann, nel gennaio 1995.

È difficile raccontare questa storia senza fare un altro salto indietro, stavolta agli anni Settanta, quelli durante i quali Mark Bosnich è cresciuto a Fairfield, un sobborgo multiculturale alla periferia di Sydney. Il quartiere è andato sviluppandosi soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, a causa di una forte immigrazione europea, in particolare dalla Jugoslavia. Suo padre è arrivato in Australia a 15 anni da Blato, una cittadina sull’isola di Korčula, al largo della Dalmazia, ed è cresciuto con la sorella maggiore, anche lei emigrata. La comunità croato-australiana contava già all’epoca una importante fetta di nazionalisti in fuga dal regime comunista, che spesso si riunivano attorno al calcio. Il Sydney Croatia, costola del Melbourne Croatia, era un punto di riferimento per tutta la comunità locale, e usava sia per la maglia che per il logo i simboli e i colori della Croazia. Il calcio ha consentito di rinsaldare l’identità nazionale degli esuli, legandola spesso a posizioni politiche di estrema destra. Non è un caso se, ancora nel Nuovo Millennio, la tifoseria del Sydney United (attuale denominazione del Sydney Croatia) faccia discutere per episodi di razzismo o per gli inni agli ustascia.

È in questo contesto che è cresciuto Mark Bosnich, formatosi come calciatore nel settore giovanile del Sydney Croatia. Qui, nel 1989, venne scovato dagli osservatori del Manchester United e portato a giocare in Inghilterra, ma già nel 1991 venne rimandato nella sua vecchia squadra, a causa di un problema con il suo permesso di lavoro. Mentre accadeva questo, la Jugoslavia precipitava nella guerra civile, e la famiglia Bosnich, che in Croazia aveva ancora dei parenti, seguiva con preoccupazione lo sviluppo del conflitto. Il giovane portiere australiano riuscì a tornare in Inghilterra già nel 1992 (vicenda controversa: ottenne la cittadinanza britannica per matrimonio, ma dopo tre mesi divorziò, alimentando le voci che fosse solo un’unione di convenienza, per avere i documenti), e fece il possibile per inviare aiuti in Croazia. In un’intervista successiva, ha detto di essere orgoglioso di come il suo popolo si comportò nel conflitto: “Ci sono molte persone dall’altra parte che hanno cercato di infangare quella che è stata un’operazione fantastica: 10.000 chilometri in 3-4 giorni, assolutamente fenomenale. Abbiamo vinto la guerra, e l’abbiamo vinta bene”. Quanto rientrino in questo “bene” le operazioni di pulizia etnica condotte dai nazionalisti di Franjo Tuđman, non è dato saperlo.

Torniamo allora a quell’ottobre 1996. Bosnich cerca ancora di giustificarsi davanti al pubblico britannico, e arriva a dire che il suo gesto, in realtà, era una citazione di un episodio del 1975 della serie tv della BBC Fawlty Tower, generalmente noto come Don’t mention the War, in cui John Cleese snocciola alcuni stereotipi sui tedeschi. Anche questa scusa desta non poche perplessità. Eppure, l’Aston Villa conferma che non ci saranno sanzioni per il giocatore e presto anche Scotland Yard decide che l’organo più adatto a trattare la vicenda è la Football Association. Niente processo penale, dunque, ma solo sportivo: in pochi giorni, la Federcalcio inglese stabilisce che il gesto di Mark Bosnich dev’essere sanzionato con una multa di 1.000 sterline. Storia chiusa.

E così, tre anni dopo il caso è ormai acqua passata, e il portiere può finalmente tornare a vestire la maglia del Manchester United, che nell’estate del 1999 lo ha preso dall’Aston Villa. Per Bosnich, all’apice della carriera e in questo momento il più importante calciatore australiano in circolazione, è l’occasione della vita, ma le cose non andranno affatto bene. Il modo in cui si è presentato a Manchester non è stato dei migliori, a dire il vero: in estate si è risposato, e la notizia ha fatto scalpore perché la mattina del matrimonio il portiere è stato arrestato per dei disordini in uno strip club, e rilasciato giusto in tempo per le nozze. In campo le cose non vanno meglio, e già a settembre Ferguson decide di prelevare dal Milan Massimo Taibi. Anche il rendimento del portiere italiano non sarà soddisfacente, così Bosnich tornerà titolare, ma senza mai convincere e vedendosi spesso preferire la riserva Raimond van der Gouw. L’acquisto, nell’estate del 2000, di Fabien Barthez segnerà la fine della sua seconda esperienza coi Red Devils.

Mark Bosnich ha vestito la maglia del Manchester United in 38 occasioni ufficiali: 3 tra il 1989 e il 1991, e poi altre 35 nella stagione 1999/2000.

Nella sua autobiografia, uscita nel 2013, Ferguson scriverà che il problema con Bosnich era dovuto al fatto che era un pessimo professionista, per via della sua vita sregolata. Il portiere australiano ha invece un’altra teoria, riguardo la sua cessione da parte del Manchester United: a suo avviso, il tecnico scozzese lo fece fuori per via delle sue idee politiche. Ferguson è un noto sostenitore laburista, mentre Bosnich sarebbe stato più vicino ai Tories. Tra i conservatori britannici di fine anni Novanta e il Nazismo c’è una bella differenza, ovviamente, ma se non altro lui stesso è arrivato anni dopo a confermare di essere comunque un uomo di destra. E che evidentemente all’epoca del Manchester United, solo tre anni dopo l’episodio del saluto nazista a White Hart Lane, Mark Bosnich aveva già una coscienza politica abbastanza formata da poter creare, a suo avviso, dei contrasti con il proprio allenatore.

Un dettaglio non secondario, perché rende ancora più difficile credere che nel 1996 Bosnich non avesse idea di cosa significasse quel gesto rivolto ai tifosi del Tottenham. Nel 2013, partecipando a un evento pubblico, l’ormai ex-calciatore australiano è tornato a parlare di quell’episodio, raccontandolo come una storia buffa e continuando a negare ogni connotazione politica o volontà di offendere qualcuno. Quello che pensa veramente Mark Bosnich lo sa solo Mark Bosnich, questo è chiaro. È però un fatto che, nell’autunno del 1996, il calcio e le autorità del Regno Unito scelsero di chiudere un occhio su un calciatore che aveva indiscutibilmente fatto un saluto nazista in uno stadio, e di fare il possibile per dimenticare quella vicenda. Dopo il suo ritiro dal calcio giocato, Bosnich ha intrapreso una proficua carriera di opinionista sportivo in tv, lavorando per emittenti come SBS, Fox Sports e Stan Sport, e nessuno gli ha mai più chiesto seriamente conto di quel saluto nazista.

Fonti

FA to probe Nazi salute by Bosnich, The Irish Times

MAGEE Will, Trying To Get Out Heads Around Mark Bosnich’s Nazi Salute At White Hart Lane, Vice

ROGULJ Daniela, TCN Down Under: Interview with Golakeeping Legend Mark Bosnich in Sydney, Total Croatia News

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3 pensieri riguardo “Il saluto di Mark Bosnich”

  1. C’è un particolare che mi incuriosisce in questa storia, ed è la vita assai sregolata che faceva Bosnich, che sembra fare a pugni col “mito dell’ordine” proprio dei nazisti. Comunque grazie, come sempre fenomenale la tua ricostruzione.

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