Il ritorno di Benzema

Alla fine, c’era anche il suo nome. Dopo sei lunghissimi anni, che peraltro erano stati tra i migliori della sua carriera, soprattutto dopo che Ronaldo aveva lasciato le sorti dell’attacco del Real Madrid nei suoi piedi. Karim Benzema tornava a vestire la maglia della Nazionale, in tempo per arrivare pronto agli Europei che la Francia affrontava da detentrice del titolo mondiale, vinto senza di lui e con il molto meno clamoroso Olivier Giroud in avanti. Tripudio? Sì, ma non per tutti. Perché in quei sei anni Benzema era diventato, forse pure senza volerlo e senza accorgersene, un argomento politico. “Benzema rappresenta un’immagine nefasta per la maglia bleu“: non lo diceva uno qualsiasi, ma Robert Ménard, uno che nel 1985 è stato co-fondatore di Reporters Sans Frontières e poi, nel 2014, era stato eletto sindaco di Béziers, in Occitania, con l’estrema destra.

Un passo indietro: perché Benzema non giocava più in Nazionale? Qualcuno diceva che, a ben vedere, le sue prestazioni con la Francia non erano mai state convincenti come quelle a Madrid, ma il vero motivo era un altro, e aveva poco a che fare con il calcio. Nel novembre 2015, un suo collega, Mathieu Valbuena, lo aveva denunciato per il ruolo avuto in un ricatto ai propri danni, legato alla diffusione di un sextape che coinvolgeva appunto Valbuena. Una roba grossa, con addirittura un audio, diffuso dalla radio Europe 1, in cui Benzema confessava il proprio coinvolgimento a un amico. Era intervenuto addirittura il Primo Ministro Manuel Valls: “Un grande sportivo dev’essere esemplare. Se non lo è, non c’è posto per lui in Nazionale”. Quando il capo del governo dice cose del genere, il tuo destino è probabilmente segnato, e lo sai.

Ma da tempo attorno a Benzema era sorto un affaire politico vero e proprio, sebbene il centravanti lionese non si occupasse pubblicamente di nulla che non riguardasse il pallone; era però divenuto il simbolo perfetto di tutto ciò che la destra reazionaria francese non poteva tollerare. Anche ammettendo che non fosse colpevole, ma avesse realmente agito come intermediario tra Valbuena e il ricattatore (un vecchio amico d’infanzia di Benzema, Karim Zenati), questo non faceva che confermare che le periferie delle grandi città erano piene di immigrati africani dediti a null’altro che alla criminalità. Il Front National, che criticava il multiculturalismo della Nazionale di calcio fin dalla metà degli anni Novanta, aveva fatto di Benzema un bersaglio fin da quando, nel 2006, aveva detto in un’intervista a RMC che, anche se l’Algeria era nel suo cuore, avrebbe rappresentato la Francia a livello sportivo: quella frase venne distorta dalla destra, e trasformata in una confessione in cui il giocatore ammetteva di sentirsi francese solo per questioni sportive, di possibilitàdi vittoria, ma in realtà di ritenersi algerino.

Così, quando le sue prestazioni non erano all’altezza delle aspettative, voilà la motivazione: perché non è un vero francese! Una teoria che trovava conferma anche nel suo continuo restare in silenzio durante l’inno nazionale, mentre i suoi compagni cantavano. Da anni la propaganda dell’estrema destra gli aveva cucito addosso, un pezzetino alla volta, l’immagine dell’arabo parassita, dando un nome e un volto al bersaglio archetipico delle sue campagne elettorali. E così, quando nel dicembre 2015 si era ormai in prossimità del voto delle regionali, Valls aveva deciso di avallare la posizione della destra, nella speranza di evitare una contrapposizione tra un governo pro-Benzema e un’opposizione anti-Benzema. Il Front National prese oltre 6 milioni di voti, contro i cinque dei socialisti al governo, e divenne il primo partito del paese.

Il 2007 è stato l’anno dell’avvento di Benzema nel grande calcio, con la conquista della titolarità nell’Olympique Lione e l’avvio di una stagione da 31 gol in 52 partite a soli 20 anni. Ad aprile, Nicolas Sarkozy vinceva le elezioni presidenziali con una campagna costruita sull’eco della repressione delle rivolte delle banlieue di due anni prima.

Il ct Deschamps aveva assicurato che le sue convocazioni sarebbero state dettate solo da motivazioni sportive, ma dopo le parole del Primo Ministro Benzema non ebbe più la possibilità di indossare la maglia blu. Nell’estate del 2016, fu ufficialmente escluso dagli Europei, organizzati proprio sul suolo francese, sebbene avesse chiuso una stagione da 28 gol in 36 partite col Real Madrid (la sua migliore media in Spagna, fino a quel momento). Ad accendere la miccia fu Éric Cantona, che accusò Deschamps di aver operato delle convocazioni razziste. Marca andò a chiedere a Benzema se fosse d’accordo, e lui rispose di no, “Però si è piegato alle pressioni della parte razzista della Francia. Devi sapere che in Francia c’è un partito estremista che è arrivato al secondo turno delle scorse elezioni”. Boom.

“Quanto detto da Benzema non è accettabile” rispose immediatamente Patrick Kanner, il Ministro dello Sport del governo socialista, negando categoricamente che ci fossero motivazioni politiche dietro le scelte di Deschamps (che, nel frattempo, aveva querelato Cantona). Ovviamente, con una polemica simile la leader del FN Marine Le Pen non poteva che andarci a nozze, a meno di un anno dalle presidenziali in cui puntava a ribaltare la maggioranza di centrosinistra: “Trovo queste dichiarazioni scandalose – commentò – Non mi sorprende che il signor Benzema scelga di nascondere la sua villania dietro un’accusa tanto grave rivolta ai francesi”. La sua sorellina Marion, che alle regionali dell’anno prima aveva sfiorato a soli 26 anni la vittoria nella circoscrizione Alpi-Provenza-Costa Azzurra, si aggiunse alla mischia: “Che vada a giocare al suo paese, se non è felice” disse, citando ancora le frasi distorte di dieci anni prima.

Finì che la Francia perse gli Europei, in finale contro un Portogallo a cui nessuno avrebbe dato un soldo (specialmente dopo l’uscita per infortunio di Cristiano Ronaldo) e nell’aprile 2017 i socialisti precipitarono fino a essere il quinto partito, addirittura dietro l’estrema sinistra di Mélenchon. Solo l’emergere di un nome nuovo dello schieramento centrista come Emmanuel Macron impedì a Marine Le Pen di portare la destra radicale alla guida del paese per la prima volta nella storia. Ma un anno dopo c’erano i Mondiali, e ancora una volta ci si tornò a chiedere se Benzema avrebbe avuto una maglia blu. A domandarglielo, questa volta, ci pensò l’edizione spagnola di Vanity Fair: “Quando un Primo Ministro parla di te – rispose lui, riferendosi a Valls – allora la questione non riguarda più lo sport. Io sono stato punito per ragioni politiche”. Ah, un’altra cosa: avete presente quella faccenda dell’inno che non ha mai cantato? “Se l’ascoltiamo bene, La Marseillaise incita alla guerra. E a me questo non piace”.

Polemiche meno roboanti, questa volta: l’onda di Macron aveva, per il momento, pacificato la Francia, e il Front National stava affrontando un rimescolamento di potere interno, con il cambio di nome in Rassemblement National che doveva servire a ripulirsi la faccia dalle scorie apertamente neofasciste ereditate dal vecchio Jean-Marie Le Pen. E in questa situazione di pace apparente, con un Benzema che comunque alla fine diceva di stare bene così, anche senza un posto in Nazionale, la Francia vinceva il Mondiale a vent’anni esatti dalla sua prima storica affermazione, e il Presidente celebrava il trionfo della multiculturalità del paese. Una parentesi momentanea, perché nel maggio 2019 il RN tornava primo partito nelle elezioni europee, scavalcando di oltre 200.000 voti il partito di governo.

Ma in mezzo c’è stato anche il Covid, l’Europeo del 2020 che è stato ritardato di un anno, e un Karim Benzema che, superati i 30 anni, ha raggiunto un livello di maturazione addirittura superiore a quello degli anni passati, quando già era ritenuto tra i migliori centravanti al mondo. E la tentazione di vederlo là davanti assieme a Griezmann e Mbappé era troppo forte, così nella primavera del 2021 Didier Deschamps mise fine al suo esilio dai Bleus, riaccendendo però le polemiche mai sopite sul giocatore che più di tutti divide, se non la Francia, i suoi politici. A celebrare il ritorno del ragazzo di Lione c’era un articolo quasi elegiaco dell’Express scritto simbolicamente da Manuel Valls; per contro, il RN rispondeva con le parole di Stéphane Ravier, che ancora una volta rinfacciava al giocatore il suo presunto “cuore algerino”.

Attorno alla carriera in Nazionale di Benzema si scatenava di nuovo una battaglia politica. A Ravier rispose l’ex-Ministro dell’Interno Christophe Castaner: “Le rare volte che Ravier si segnala per qualcosa, è sempre contro la Francia”; e a fargli eco arrivarono il leader socialista Olivier Faure, la Ministra dello Sport Roxana Maracineanu, il deputato di maggioranza Sacha Houlié e l’ex-Ministra della Giustizia di centrodestra Rachida Dati. Per contro, l’eurodeputato di RN Jordan Bardella replicava la retorica di Ravier, aggiungendo che Benzema “ha avuto un atteggiamento disonorevole, per quanto riguarda la sport”. Dal canto suo, Marine Le Pen interveniva infine nella sua nuova veste conciliatrice per placare gli animi, dicendo che “Spero che il comportamento futuro del signor Benzema possa corrispondere ai valori dello sport”, ma al tempo stesso negava che Bardella avesse fatto commenti critici sul ritorno in Nazionale dell’attaccante del Real Madrid.

Non è solo sterile polemica, è politica in senso stretto. Tanto per la destra, che sull’immagine del mauvais arabe ha costruito la propria identità, sia per il movimento rinnovatore di Macron: celebrare la Francia del calcio, con la sua Coppa del Mondo, come immagine del paese che deve essere, significava anche chiudere i conti con l’affaire Benzema. È proprio il contesto sociale, a essere cambiato, perché a livello sportivo il lionese restava un fenomeno assoluto come lo era prima dello scandalo, mentre la questione legale andava avanti (e, a novembre 2021, si sarebbe arrivati alla condanna del giocatore): richiamarlo in Nazionale era espressamente una decisione politica. Anzi, per dirla con le parole di Nicolas Ksiss-Martov, “uno dei gesti politici più importanti del 2021”. I Bleus si avviavano così alla caccia di un titolo europeo che doveva vendicare la sconfitta del 2016 e replicare la storica accoppiata 1998-2000 della Nazionale di Jacques Chirac, così da dare lo slancio a Macron per le nuove presidenziali della primavera successiva.

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