Quaresma, sangue antifascista

“Non mi occupavo di politica, ma quelle cose fasciste mi facevano arrabbiare. Avevo tanti amici comunisti e dissidenti, ma il mio fu un gesto naturale, non premeditato.”

Artur Quaresma

Il 28 novembre 1937, a Vigo, si giocava una partita amichevole di livello tecnico relativamente basso, ma dal contenuto politico enorme: Spagna-Portogallo, la mutua celebrazione e riconoscimento di due regimi fascisti vicini geograficamente quanto appunto politicamente. Quello lusitano, l’Estado Novo di António Salazar, era al potere formalmente dal 1933 (prima c’era stata una dittatura militare, ma non guidata da Salazar); quello spagnolo era invece ancora in divenire, ma da quando il generale Francisco Franco aveva fatto scoppiare la guerra civile contro la Repubblica le sue armate avevano guadagnato sempre più terreno, e la loro vittoria sembrava ormai cosa scontata.

Per quanto concerne all’ambito più strettamente calcistico, il Portogallo era quella che possiamo tranquillamente definire una squadretta: non c’era un campionato professionistico, la Nazionale giocava solo amichevoli e per giunta di rado, e l’ultima volta che aveva fatto un trasferta in Spagna, tre anni prima, aveva perso 9-0. La selezione franchista, invece, al di là del nome era solo una lontanissima parente della squadrone visto ai Mondiali del 1934: la maggior parte dei grandi calciatori spagnoli erano baschi e catalani, rimasti fedeli alla Repubblica e impegnati in gran parte nella Nazionale che stava girando l’Europa per raccogliere fondi e sostegno per la causa antifascista. Vigo, lo scenario della partita, era parte della regione di confine della Galizia, culturalmente molto legata al Portogallo nonché una delle culle del sentimento repubblicano, la prima a cadere: quasi un anno prima, i franchisti avevano preso La Coruña dopo una lunga battaglia, in cui si era distinto anche il 22enne difensore del Deportivo Bebel García, catturato e infine fucilato il 29 luglio 1936.

A sottolineare la sacralità politica del match, nella tribuna d’onore dell’Estadio Balaídos, la casa del Celta Vigo, furono posizionate due effigi di Salazar e Franco, che non avevano potuto assistere all’evento, il primo perché disinteressato al calcio e il secondo perché impegnato al fronte. L’antipasto del fischio d’inizio fu un necessario tributo ai due regimi, con i ventidue giocatori in riga l’uno accanto all’altro, braccio teso e mano aperta nell’ormai iconico saluto istituzionalizzato nel decennio precedente da Mussolini e dai suoi, mentre con fragore risuonava tre volte il grido: “Salazar! Franco! Portugal! Espanha!”. Il Portogallo vinse a sorpresa 2-1, e per il gennaio seguente venne organizzata una rivincita a Lisbona, replicando per filo e per segno lo stesso copione propagandistico. Ma stavolta quattro ragazzi in maglia lusitana si rifiutarono di fare il saluto: i loro nomi erano João Mendonça Azevedo, José Ribeiro Simões, Mariano Rodrigues Amaro e Artur da Silva Quaresma.

Evidenziati da un cerchio, i pugni chiusi di Amaro e Simões , mentre il terzo da destra, a braccia basse, è Quaresma.

Avevano tra i 20 e i 24 anni: Azevedo faceva il portiere nello Sporting Lisbona, gli altri tre giocavano nel Belenenses, la terza squadra della capitale portoghese. Di loro, Quaresma era il più giovane e, come Azevedo, proveniva dalla cittadina di Barreiro, vicino Setúbal, un luogo che negli ultimi anni si era trasformato rapidamente in un polo industriale dominato dall’industria chimica statale Companhia União Fabril, attirando numerosi immigrati dalle zone rurali, povere e arretrate. Ciò aveva fatto sì che a Barreiro si diffusero con altrettanta celerità, nonostanta la repressione salazarista, anche gli ideali comunisti e antifascisti.

Azevedo si limitò a stendere il braccio, ma tenendo la mano chiusa, Quaresma restò con le braccia basse lungo il corpo, mentre Amaro e Simões addirittura alzarono il pugno chiuso. Un silenzioso imbarazzo attraversò lo stadio Das Salésias, che poi era proprio la casa del Belenenses, club per cui giocavano tre dei quattro ribelli portoghesi. La partita si giocò regolarmente, e nel giorno seguente la stampa per lo più ignorò la cosa; il giornale Stadium pubblicò una foto del saluto, ritoccato in modo da nascondere il gesto di Azevedo, Amaro, Simões e Quaresma. Ma tutti avevano visto, a partire dagli ufficiali della PVDE – la polizia politica che Salazar aveva creato su modello della Gestapo nazista – che dopo la partita arrestarono i quattro calciatori per interrogarli. Non ci erano volute molte indagini per scoprire che Artur Quaresma era profondamente legato a persone di Barreiro in odore di comunismo.

Alla polizia, Quaresma disse che si era solo dimenticato di alzare il braccio; Amaro e Simões ebbero qualche problema in più, ma alla fine arrivò un chiamata dall’alto che disse agli agenti di lasciar perdere: la dirigenza del Belenenses aveva contatti con le alte sfere del regime, come João Luís de Moura, militare che aveva appoggiato il golpe del 1926 e successivamente l’Estado Novo; fino all’anno prima era stato governatore del Distretto di Lisbona e, dal 1925 al 1932, presidente del club calcistico. Inoltre, quei tre ragazzi servivano al Belenenses, che in quegli anni ambiva a vincere il campionato, dopo essere arrivato secondo nel torneo del 1937. Quaresma, attaccante rapido e dal buon dribbling, era una validissima promessa della squadra, mentre Amaro ne era addirittura il capitano. A Salazar, del calcio non importava, ma il resto dei dirigenti dell’Estado Novo la pensavano diversamente.

La censura del regime e una lavata di capo dei dirigenti societari bastarono a sedare la ribellione in campo del terzetto antifascista, e a garantire la continua crescita sportiva del Belenenses negli anni successivi: nel 1940 e nel 1941, la squadra raggiunse la finale della Taça de Portugal arrendendosi la prima volta davanti al Benfica dell’angolano Guilherme Espiríto Santo, e la seconda contro lo Sporting Lisbona di Azevedo, che in attacco schierava i famosi Cinco Violinos guidati da Fernando Peyroteo. Poi, nel 1942 gli Azuis conquistarono finalmente la coppa, in finale contro il Vitória Guimarães e con rete d’apertura proprio di Artur Quaresma. Nel 1946 arrivò la vittoria del campionato, primo e unico della storia del club, e due anni dopo, nell’ultima stagione della carriera dell’ormai trentunenne Quaresma, un’altra finale di Taça de Portugal, persa di nuovo contro lo Sporting.

Il Belenenses campione nazionale nel 1946: è stato il primo club al di fuori delle Três Grandes (Benfica, Sporting e Porto) a vincere il campionato, impresa da allora riuscita solo al Boavista del 2000/2001.

Il regime salazarista cadde solo nel 1974, quando Quaresma era ormai anche alla fine della propria vita da allenatore, durante la quale aveva guidato senza particolare successo il Belenenses, il Vitória Guimarães, il Braga e altri club minori, tra cui il Barreirense che gli aveva dato i natali calcistici. Più di recente, però, il suo nome è tornato a circolare sulla stampa portoghese – anche se dopo la morte, avvenuta nel 2011 – per via di un altro Quaresma, Ricardo, attaccante passato da Sporting, Barcellona, Porto, Inter e tante altre squadre, nonché persona politicamente molto attiva nella lotta antifascista.

Nel 2020, Ricardo Quaresma contestò pubblicamente André Ventura, leader del partito neofascista Chega, che un anno prima aveva conquistato il suo primo seggio al parlamento portoghese: “È triste che ci sia qualcuno che cerca di avere successo nella vita mettendo le persone le une contro le altre. La Nazionale è di tutti i colori: dei neri, dei bianchi e anche dei ciganos. Il populismo razzista di Ventura serve solo a mettere in guerra gli uomini per la sua ambizione di potere, una cosa che la storia ha già dimostrato essere un cammino per la perdizione dell’umanità”.

Nel suo discorso, Ricardo Quaresma citò il gesto di Artur Quaresma, che 82 anni prima si era opposto al regime fascista portoghese. Questo ha fatto pensare a molti che i due calciatori fossero in qualche modo imparentati, anche se così non è: lo stesso Ricardo Quaresma – che uno zio calciatore ce l’ha avuto: Alfredo Quaresma, centrocampista, anche lui del Belenenses, negli anni Sessanta e Settanta – ha chiarito che “Non è un mio parente, ma è una fonte d’ispirazione, perché ha preso una posizione pubblica contro ciò in cui non credeva, e si trovava dalla parte giusta della Storia. Artur Quaresma non fa parte della mia famiglia, ma è un fratello di tutti noi”.

Fonti

DE MELO Afonso, Portugal-Espanha. “Franco! Franco! Franco! Salazar! Salazar! Salazar!”, Jornal

LARA Miguel Ángel, España-Portugal, el partido que quiso Franco y que acabó en ‘rebelión’, Marca

SAMPAIO Gustavo, Artur Quaresma recusou fazer saudação fascista num jogo Portugal-Espanha em 1938?, Polígrafo

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