Arabia Saudita: la costruzione di una tradizione calcistica

Nell’estate del 1978, un Concorde atterrò a Riad, facendone scendere un 32enne mulatto dai capelli scompigliati e con un vistoso paio di baffi senza tempo: una folla era venuta a salutarlo come si sarebbe fatto con una star del cinema, solo per vederlo di sfuggita salire su una Rolls Royce e sfilare per le vie della città, diretto in uno dei nuovi lussuosissimi hotel. Fu un evento destinato a cambiare per sempre la storia del calcio arabo: era appena arrivato Roberto Rivellino.

Rivellino era stato una delle colonne del Brasile dell’ultimo decennio, vincendo il Mondiale del 1970 accanto a Pelé e imponendosi come uno dei più forti calciatori del mondo prima con il Corithians e poi con il Fluminense. Nel Mondiale appena concluso in Argentina aveva indossato la 10 della Seleção e la fascia da capitano, anche se alla fine aveva giocato poche partite, sopravanzato nelle gerarchie da Zico, ma restava una leggenda del calcio globale. Prima del torneo, il Brasile era arrivato a Riad per un’amichevole con l’Arabia Saudita – semisconosciuta nazionale mediorientale, tecnicamente irrilevante ma disposta a pagare molto per ospitare i verdeoro – e in quell’occasione era stato avvicinato dai dirigenti dell’Al-Hilal, che gli avevano proposto un contratto faraonico per venire a giocare da loro.

L’Arabia Saudita era un paese che si era improvvisamente scoperto ricchissimo: la crisi del 1973 aveva fatto schizzare alle stelle il prezzo del petrolio, e quando le vendite internazionali furono sbloccate, nel 1975, la nazione iniziò a fare più soldi di quanti ne avesse mai visti. Questo aveva spinto il nuovo re Khālid Āl Saʿūd ad avviare un grande progetto di modernizzazione su modello occidentale, con le grandi città che iniziarono a trasformarsi rapidamente in metropoli europee e americane. Il calcio, diffuso nel paese da decenni grazie alla forte influenza britannica, attraeva sempre più tifosi e divenne subito un simbolo della modernità che Riad intendeva raggiungere. Inoltre, l’exploit dell’Iran ai Mondiali del 1978 – prima nazionale mediorientale a disputare la Coppa del Mondo – spingeva a grandi investimenti per imporsi come potenza sportiva della regione.

Roberto Rivellino fu l’apripista della rivoluzione del calcio in Arabia Saudita. Il suo arrivo, significò non solo un cambio di prospettiva per tutto il calciomercato mediorientale (pochi anni dopo, un altro ex-Nazionale verdeoro degli anni Settanta, Renato, si sarebbe trasferito in zona, accordandosi con l’Al-Ahli di Dubai) ma anche un cambio nelle strategie del calcio saudita: fino a quel momento, il modello di riferimento era stato quello inglese (dal 1970, si erano avvicendati cinque ct della Nazionale di origine inglese, come ad esempio l’ex-tecnico dell’Athletic Bilbao Ronnie Allen) mentre ora si virò rapidamente verso quello brasiliano. Su suggerimento di Rivellino, nel 1978 l’Al-Hilal aveva sostituito George Smith con l’ex-allenatore della Juventus Paulo Amaral, e un anno dopo al suo posto sarebbe arrivato Mário Zagallo, il ct del Brasile campione del mondo nel 1970, che pochi anni prima aveva già allenato la Nazionale del Kuwait. A Zagallo successe rapidamente Rubens Minelli, dominatore del campionato brasiliano con Internacional e São Paulo, che per un breve periodo fu anche allenatore della selezione saudita, prima di essere rilevato sempre da Zagallo.

Rivellino accanto al tunisino Néjib Liman, suo partner d’attacco all’Al-Hilal tra il 1978 e il 1981, dove vinsero un campionato e una Coppa del Principe.

Il progetto del calcio saudita, però si rivelò presto meno efficace del previsto: a Rivellino non erano seguite altre grandi star internazionali (solo l’Al-Ittihad aveva ingaggiato il misconosciuto Theo Bücker dal MSV Duisburg e il nazionale svedese Thomas Sjöberg dal Malmö FF, per accontentare il nuovo allenatore Dettmar Cramer, ex-Bayern Monaco e Eintracht Francoforte, nonché pioniere del calcio in Giappone) e nel 1982 era stato il modesto Kuwait, allenato da Carlos Alberto Parreira, a divenire la seconda squadra mediorientale a giocare i Mondiali. Per questo fu messo Zagallo alla guida della Nazionale: recuperare rapidamente il terreno perduto nei confronti delle rivali locali. Fu sotto la sua gestione che l’Arabia Saudita conquistò la qualificazione per il torneo delle Olimpiadi del 1984, prima vetrina internazionale del calcio di Riad.

La moda brasiliana, principalmente per quanto riguarda gli allenatori, imperversò per tutti gli anni Ottanta. Chico Formiga, che era stato compagno di squadra di Pelé al Santos, conquistò una Coppa dei Campioni Araba e una Coppa del Re alla guida dell’Al-Ettifaq e un campionato con l’Al-Nassr; Telê Santana, ct del Brasile ai Mondiali del 1982, vinse un campionato, una Coppa del Re e una Coppa dei Club del Golfo con l’Al-Ahli; Candinho mise nella bacheca dell’Al-Hilal un campionato e una Coppa del Principe; Joel Santana vinse il campionato sia con l’Al-Hilal che con l’Al-Nassr. Soprattutto, il calcio saudita divenne il trampolino di lancio per tanti giovani tecnici brasiliani che poi avrebbero conquistato fama internazionale: nel 1984, l’Al-Ittihad affidò la panchina al 32enne Vanderlei Luxemburgo, mentre all’Al-Shabab arrivava il 36enne Luiz Felipe Scolari; nel 1988, Sebastião Lazaroni diventava tecnico dell’Al-Ahli, e un anno dopo avrebbe vinto al Copa América come ct del Brasile.

Ed è proprio in questa decade, che il calcio saudita si staccò dall’anonimato e aprì il suo primo ciclo di successi. Nel 1984, la Nazionale, trascinata dalla prima stella autoctona Majed Abdullah, si assicurava la sua prima Coppa d’Asia, e nelle successive quattro edizioni del torneo avrebbe vinto altri due titoli, chiudendo due volte al secondo posto. Nel 1992, i Figli del Deserto ospitarono la prima edizione della Confederations Cup, sconfiggendo gli Stati Uniti e disputando così la finale contro l’Argentina. Il torneo fece da preludio alla prima storica partecipazione ai Mondiali, ottenuta nel 1994 e rimasta nella memoria collettiva per il gol in serpentina di Saeed Al-Owairan al Belgio.

Il 1990 era stato un altro momento spartiacque nella storia saudita: allo scoppio della guerra nel Kuwait, Riad accolse la famiglia reale e i profughi kuwaitiani, e si pose a capo della coalizione araba anti-irachena, appoggiando l’intervento militare degli Stati Uniti. In questo modo, l’Arabia Saudita si mostrava al mondo come la nazione politicamente più influente nel Golfo e la principale alleata dell’Occidente. Questo significava attirare capitali e investimenti stranieri per sostenere l’economia, troppo legata alle oscillazioni del mercato petrolifero. Contemporaneamente, una nuova legge apriva al professionismo nello sport, dando possibilità ai club sempre più ricchi di ingaggiare giocatori europei e sudamericani.

Nel 1995, Wim Van Hanegem veniva ad allenare l’Al-Hilal; nel 1998, il nazionale olandese Rob Witschge si trasferiva all’Al-Ittihad, mentre la stella bulgara Hristo Stoichkov firmava con l’Al-Nassr, divenendo il primo vincitore del Pallone d’Oro a giocare in Asia. Un anno dopo, anche Roberto Donadoni si accasava all’Al-Ittihad, mentre il tedesco Otto Pfister era già stato nominato ct della Nazionale. Da Rivellino a Stoichkov, l’Arabia Saudita aveva iniziato ponendosi come alternativa all’esilio dorato del campionato nordamericano, e adesso che questo era ormai in crisi, difendeva il proprio ruolo in opposizione al campionato giapponese, l’altra terra del buen retiro dei calciatori brasiliani. Nello stesso periodo, era stata abrogata la norma che impediva i trasferimenti all’estero dei giocatori sauditi, e questo permise a Sami Al-Jaber, indubbiamente il miglior calciatore della storia locale, di trasferirsi al Wolverhampton.

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Fonti

DUERDEN John, How Roberto Rivelino raised the bar for Saudi football, Arab News

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