L’ultimo dribbling di George Best

Cosa ci sia venuto a fare, lì sulle rosse spiagge di Brisbane, uno come lui non lo sa nessuno. Nel XIX secolo, erano in tanti a venire fin laggiù dalla vecchia Gran Bretagna, tutti con quella faccia sporca, la barba incolta e i capelli lunghi come lui: prigionieri della principale colonia penale del Pacifico. Ma del recluso gli mancava l’atteggiamento, anzi era opinione comune – in Europa più che in Australia, dove era ben poco conosciuto – che George Best fosse lì per il motivo opposto, che fosse lì in cerca di libertà.

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Best incrontra due giovani tifosi durante una visita all’ospedale di Brisbane, in Australia. La sua prima volta sull’isola fu nel 1967, durante una tournée con il Manchester United.

Era il 1983 e aveva ormai 37 anni. Nel cospicuo bagaglio che si era portato dietro da Bournemouth c’erano un’infinità di vestiti – pellicce, in particolare, che laggiù erano destinate a restare appese nell’armadio – e tutte quelle clamorose promesse che però non aveva mai finito di spacchettare. Per quei pochi australiani che seguivano il calcio, lui era The Best, The Fifth Beatle, la leggenda assoluta del calcio, l’asso di Belfast, la maglia numero 7 dei Red Devils del Manchester United, il Pallone d’Oro del 1968. Al suo quinto anno da professionista, ad appena 22 anni di età, aveva vinto più di qualsiasi altro calciatore al mondo eccetto Pelé; tre anni più tardi, era una star alcolizzata che riusciva a essere protagonista più sui tabloid che sul rettangolo di gioco.

Della sua esperienza in Australia quasi non è rimasta traccia. Le numerose biografie la riducono a un trafiletto destinato alla mera statistica – quelle quattro partite ufficiali; delle numerose amichevoli come “ospite” dei club locali si sa ancora meno – quando proprio non evitano di parlarne o se ne scordano. Cercando online, non troverete fotografie o immagini di Best con la maglia dei Brisbane Lions: disinteresse totale, direbbe il cinico; un piccolo affascinante mistero, ribatterebbe il romantico.

Forse, alla fine, il suo ultimo e più letale dribbling lo aveva rivolto contro il calcio stesso: aveva bruciato le tappe della carriera come un nuovo James Dean, e poi si era levato di mezzo, lasciando agli appassionati una sfilza di ricordi e di citazioni immemorabili. E nel frattempo smaltiva quella breve ma intensa sbornia di successo nelle serie minori inglesi – con lo Stockport prima e il Fulham poi  – e ai confini dell’Impero – in California, in Florida, e perfino a Hong Kong. Tutte esperienze brevi, perché George Best ha avuto un solo grande amore, il Manchester United, e tutte le altre esperienze della sua vita sono state avventure passeggere, da consumare in fretta come uno shottino di whisky.

Thunder 76 Road Back Bobby Moore, Aztecs
George Best affrontato da Bobby Moore, nel 1977: i due erano stati compagni di squadra pochi anni prima al Fulham, e si ritrovarono poi avversari in questo San Antonio Thunder – Los Angeles Aztecs.

La verità è che neppure lui sapeva cosa andava cercando, ai confini del mondo del calcio. Ci era forse andato per trovare un posto dove nessuno lo conosceva, e dove gli si chiedeva solo di giocare a calcio e non di fare la star, eppure quante modelle e attrici doveva aver accarezzato – con la stessa classe con cui accarezzava il pallone, s’intende – a Los Angeles? Forse ambiva a un calcio meno stressante, dove la vittoria non fosse imperativa, ma poi finì per litigare con allenatore e compagni a Fort Lauderdale perché, a parer suo, non si impegnavano abbastanza. Qualcuno pensa fosse in fuga dall’alcol, alla ricerca di uno stile di vita più equilibrato, ma come gli capitò allora di finire licenziato dall’Hibernian, trovato in giro ubriaco per le strade di Edimburgo insieme a dei rugbisti francesi appena conosciuti?

Non esiste dribbling efficace che non inizi con una finta. E di finte, George Best, ne ha fatte molte. Sembrava andare da una parte, e invece andava dall’altra. Come con tutti quegli spassosi aneddoti sull’alcol che la gente ripete come dei mantra, dimenticandosi sempre le sue ultime parole, le uniche che non fanno ridere: “Don’t die like me”. Il problema, forse, è che tutte quelle finte e controfinte ci hanno stancato, abbiamo smesso di osservare, e ci siamo persi il dribbling che c’era alla fine.

 

Fonti

AA VV, George Best in NASL, Us Soccer Players

-AA VV, Remember when George Best came to town?, The Courier Mail

LYNCH Michael, Legendary Ulsterman left impression Down Under, The Age

OLIVER Mark, George Best dies, aged 59, The Guardian

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