La storia è nota. Nel 1938, le squadre sudamericane disertano il Mondiale in Francia, il secondo consecutivo a tenersi in Europa, ma il Brasile decide lo stesso di partecipare. Principalmente perché ha una squadra molto forte, tenuta in piedi dall’asse del Flamengo composto da Domingos da Guia e Leônidas. Vince una rocambolesca partita contro la Polonia per 6-5, poi pareggia 1-1 contro la Cecoslovacchia e vince per 2-1 il replay, ma deve arrendersi in semifinale contro l’Italia. Leggenda vuole che l’allenatore brasiliano Adhemar Pimenta abbia tenuto fuori Leônidas per superbia (o perché pressato da Mussolini), per farlo riposare in vista della finale, ma questa versione è stata da tempo smentita: l’attaccante sudamericano era infortunato, e nessuno si sarebbe sognato di lasciarlo fuori dalla sfida contro i campioni del mondo in carica, se fosse stato in condizione di giocare. Tre giorni dopo tornò a disposizione per la finale del terzo posto, segnando una doppietta nel 4-2 inflitto alla Svezia: aveva segnato in tutto 7 gol in 4 partite.
Il torneo francese aveva imposto Leônidas come l’attaccante più determinante e spettacolare al mondo, un talento puro come l’Europa non ne aveva mai visti. La sua carriera internazionale, però, risentì molto dell’epoca in cui visse: l’anno successivo al Mondiale scoppiò la guerra, e il torneo sarebbe tornato a disputarsi solo nel 1950, quando ormai Leônidas aveva 37 anni. Altre circostanze limitarono le sue possibilità di mettersi in mostra all’estero, però. Nel 1939 sarebbe dovuto essere la stella del Campionato sudamericano, ma il Brasile decise di non partecipare, preferendo la Copa Roca, un torneo in quattro partite contro l’Argentina. Anche nella successiva edizione i brasiliani scelsero di farsi da parte, per tornare a competere solamente nel 1942 in Uruguay, ma in quell’occasione Leônidas dovette essere escluso dalla rosa per dei problemi legali. Quattro anni dopo, fu un infortunio muscolare a tenerlo in panchina, consentendogli di giocare appena una partita.
Leônidas da Silva era nato in una famiglia umile di São Cristóvão, un bairro di Rio de Janeiro, e da bambino aveva potuto frequentare le scuole, anche se poi aveva scelto la strada del calcio. Era emerso nel Bonsucesso, diventando professionista nei primi anni Trenta e ottenendo la possibilità di trasferirsi a giocare all’estero, con gli uruguayani del Peñarol. La sua esperienza a Montevideo era però durata poco, complice anche il primo dei tanti infortuni che avrebbero segnato la sua carriera. Rientrato in Brasile, aveva trovato la consacrazione prima con il Vasco da Gama e poi con il Botafogo, che nel 1936 lo aveva però repentinamente ceduto al Flamengo, dopo che Leônidas aveva rivelato ai giornali di essere un tifoso rubro-negro. Proprio nella nuova squadra raggiunse l’apice del suo rendimento, e divenne estremamente popolare per la bicicleta, la spettacolare rovesciata di cui lui stesso rivendicava l’invenzione (sebbene, anche in questo caso, la leggenda sia stata da tempo ampiamente smentita).
Nella seconda metà degli anni Trenta, dunque, Leônidas era diventato una sorta di eroe popolare in Brasile, il primo grande campione nazionale del calcio. A questa fama contribuiva non poco il fatto che fosse nero, e quindi un rappresentante delle masse popolari marginalizzate dall’élite bianca che governava il paese. In un paese con un problema di razzismo sistemico molto forte, Leônidas e Domingos da Guia – che aveva debuttato in Nazionale prima di lui, e che in generale avrebbe avuto una carriera più lunga e di successo – rappresentavano dei casi eccezionali. Dei due, però, quello più celebre era senza dubbio il primo, talmente famoso e amato dal pubblico che un’azienda alimentare mise in commercio un cioccolato chiamato Diamante Negro, appellativo con cui era conosciuto Leônidas. Si trattò di uno dei primissimi casi di sportivo divenuto in qualche modo testimonial di un’azienda.

Il mito di Leônidas attraversò un periodo complicato, nei primi anni Quaranta, quando entrò in rotta con il Flamengo. Nel 1941, si rifiutò di partecipare a una tournée in Argentina, a causa di un problema al ginocchio, ma i dirigenti del club non credettero a questa giustificazione: Leônidas era accusato di essere ormai una star, e di interessarsi più alla sua attività pubblicitaria che a quella di atleta. A peggiorare le cose, nel 1942 scoppiò lo scandalo che gli impedì di partecipare al Campionato sudamericano: sentendo avvicinarsi la fine della carriera, si era candidato a un posto di lavoro nel settore pubblico, per il quale aveva dovuto fornire un certificato che attestava che aveva regolarmente svolto il servizio militare. Solo che, in realtà, non aveva mai servito sotto la leva a causa della sua carriera da calciatore professionista, per cui dovette procurarsi un certificato falso. Una volta scoperto, venne arrestato e condannato a otto mesi di carcere, compromettendo in maniera definitiva il suo rapporto col Flamengo.
Proprio per questo, una volta scontata la pena aveva cambiato squadra, trasferendosi al São Paulo per la cifra record di 200 contos de réis. Fu un caso di calciomercato destinato a fare storia, che incendiò il pubblico paulista ma che ricevette anche parecchie critiche: Leônidas non era più giovanissimo, aveva avuto spesso problemi fisici, e non giocava da quasi un anno. Invece, l’aria di São Paulo fu un toccasana per lui, finendo per allungargli la carriera. Recuperò rapidamente la forma, contribuendo alla conquista di ben cinque campionati paulisti. In aggiunta a questo, nel 1945 l’allenatore del Brasile Flávio Costa tornò a convocarlo, per la prima volta dal 1940, facendogli disputare tre partite della Copa Roca di quell’anno, durante le quali Leônidas trovò la sua ultima rete in Nazionale, nella vittoria per 6-2 sul Cile. La competizione si svolse a dicembre, e il ritiro della squadra brasiliana iniziò quando nel paese si tenevano le elezioni, le prime da quando, nel 1937, Getúlio Vargas aveva instaurato un regime d’ispirazione fascista.
Vargas era stato deposto a fine ottobre dai militari, che avevano stabilito che il Brasile sarebbe dovuto tornare alla democrazia: un naturale sviluppo della situazione internazionale post-bellica. Attorno alle elezioni si era dunque creato un clima febbrile, con la maggior parte del paese divisa tra i conservatori del Partido Social Democrático di Eurico Dutra e liberali dell’União Democrática Nacional di Eduardo Gomes. La Federcalcio si organizzò per consentire ai giocatori della Nazionale di votare durante il ritiro, e la stampa si interessò molto alle loro preferenze. I calciatori rispecchiavano una classe mediamente benestante ma per lo più di estrazione popolare, che aveva simpatia soprattutto per i conservatori cattolici. Solo Leônidas si distingueva: fu l’unico a dichiarare ai giornalisti che avrebbe votato per il Partido Comunista Brasileiro. Recentemente legalizzati, i comunisti erano guidati da Luís Carlos Prestes, un ex-militare che nel 1924 aveva tentato un’insurrezione socialista e che, in seguito, aveva trascorso diversi anni in prigione.
Alle elezioni del 1945, però, il PCB presentava come candidato presidente l’ex-sindaco di Petrópolis Yedo Fiúza, un indipendente più socialista che comunista, ma fortemente antimilitarista. Si era, d’altronde, nell’immediato dopoguerra, con il nuovo conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica all’orizzonte: le elezioni erano anche un modo per indicare da che parte sarebbe dovuto stare il Brasile. “Sì, sono comunista e voterò per Fiúza. – aveva confermato Leônidas ai giornalisti – Provengo dal popolo, sono nato e cresciuto tra la gente. Come posso separarmi dal popolo in questo momento?”. In aggiunta a questo, l’attaccante all’epoca 32enne aveva spiegato di essere anche cattolico, ma di non ritenere in alcun modo che la sua fede religiosa fosse in opposizione con le sue idee politiche. “Il comunismo non è fascismo, e quindi rispetta la libertà di tutti. Tutto il resto che si dice è una menzogna, e posso confermarlo con la mia esperienza personale”.

All’epoca non era comune, per uno sportivo famoso, schierarsi così apertamente in politica, né in Brasile né in altri paesi del mondo. Il fatto che Leônidas fosse anche una star mediatica, oltre che un calciatore di successo, accresce il valore storico delle sue parole sulle elezioni del 1945: forse non furono decise per portare al voto altri simpatizzanti di sinistra, ma denotano quanto fosse sentito quel momento di democrazia nel Brasile di metà anni Quaranta. Più dell’82% degli elettori del paese si recarono alle urne, e come previsto fu il socialdemocratico Dutra a venire nominato Presidente. I comunisti raggiunsero comunque un risultato piuttosto sorprendente, affermandosi come terzo partito del paese con il 9,7% dei voti, pari a circa 570.000 elettori. La carriera di Leônidas stava invece volgendo al termine: a fine gennaio avrebbe giocato la sua ultima partita nel Campionato sudamericano, un 1-1 contro il Paraguay.
Continuò a giocare con il São Paulo fino alla fine del 1950, per poi assumere l’incarico di allenatore della squadra, mantenendolo per cinque anni. Nello stesso periodo fece anche un’apparizione sul grande schermo, interpretando sé stesso in una breve comparsata nel film del 1951 Suzana e o Presidente. La sua gestione del São Paulo non fu particolarmente fortunata, e anzi fu funestata da conflitti con alcuni dei principali giocatori della rosa, come Artêmio Sarcinelli e il veterano Bauer. Lasciata la panchina, Leônidas divenne un popolare conduttore radiofonico, proseguendo con questa carriera fino all’insorgere dell’Alzheimer, nel 1975. Nel frattempo, già da undici anni il Brasile non era più un posto dove si potesse parlare liberamente di politica: i fascisti erano tornati al potere con un colpo di stato. Ma questa è un’altra storia…
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Fonti
–DUTRA Daniel, Leônidas da Silva: o diamante negro, comunista e católico praticante, PressFut