Siamo nel marzo del 2000 quando va in onda sulla tv tedesca il documentario Tod dem Verräter di Heribert Schwan. Il suo titolo, in italiano, significa “Morte del traditore”: l’opera punta a far luce su un’oscura e dimenticata vicenda di diciassette anni prima, che aveva riguardato il tragico destino di un calciatore di nome Lutz Eigendorf. Non un giocatore di pallone qualsiasi, però: Eigendorf era stato la stella della Dynamo Berlino, la squadra simbolo della Germania Est, fino a che nel 1979 non era fuggito clandestinamente nell’Ovest capitalista. Nel 1983 era morto, ubriaco, in un incidente d’auto; ma adesso Schwan rivela che le cose non andarono affatto così. Eigendorf era stato drogato da degli agenti della Stasi, il potente servizio segreto di Berlino Est, e mandato a schiantarsi con la propria auto. Una vendetta politica contro un campione che aveva osato tradire il suo paese.
Quando la televisione trasmette l’inchiesta di Schwan, la Germania è ormai tornata a essere un paese unico da diverso tempo, e le tetre trame dell’Est sono ormai volutamente dimenticate. Ma la storia di Eigendorf, ai suoi tempi, aveva fatto scalpore da entrambi i lati del Muro di Berlino. Nato nel 1956 a Brandeburgo sulla Havel, aveva iniziato a farsi notare da adolescente nel Motor Süd Brandenburg, poi a 16 anni era stato visionato dagli osservatori della Dynamo Berlino e portato nella capitale. Brillante centrocampista difensivo, aveva debuttato in prima squadra nel 1974, diventando rapidamente titolare agli ordini di Harry Nippert e mettendosi in luce come una delle nuove leve più promettenti del calcio tedesco orientale. La Germania Est era reduce dal primo Mondiale della sua storia, durante il quale aveva ottenuto un’incredibile vittoria proprio sui futuri campioni della Germania Ovest, e anche dal primo trionfo internazionale di un suo club, la Coppa delle Coppe conquistata dal Magdeburgo. La sensazione generale era dunque quella che, dopo tante difficoltà, il calcio della DDR stesse finalmente affermandosi come uno dei più competitivi in Europa.
In realtà, la metà degli anni Settanta segnò un momento di svolta in negativo nella storia del paese. L’ascesa politica di Erich Honecker era stata accompagnata da promesse di sviluppo e distensione con l’Ovest, ma presto l’ottimismo del periodo dovette lasciare il posto a una fase molto più cupa. Le difficoltà economiche del paese innescarono una crisi di consenso del governo comunista, il quale rispose con severità e inasprendo improvvisamente la repressione. Nel novembre 1976 il popolare cantante Wolf Biermann, che durante un suo storico concerto a Colonia aveva criticato le autorità orientali, venne privato della cittadinanza e di fatto gli fu impedito di rientrare nella DDR. La sua espulsione divenne l’emblema di un paese che si stava chiudendo in sé stesso, accentrando sempre più poteri nelle mani di Honecker e aumentando i fondi al Ministero della Sicurezza gestito da Erich Mielke, da cui dipendeva la Stasi.
Oltre ai servizi segreti, il Ministero controllava anche la Dynamo Berlino, fino a quel momento un club di secondo piano del calcio locale, nel cui palmarès figurava appena una coppa nazionale vinta nel 1959. La crescita di potere e influenza da parte della Stasi aveva però comportato un radicale cambio di prospettiva per la squadra: la Dynamo Berlino poteva iniziare a monopolizzare i migliori giocatori del paese e a dotarsi di strutture di allenamento all’avanguardia. In breve, divenne una delle squadre più forti del paese, e dove non arrivavano la tecnica e la preparazione atletica lo facevano i favori arbitrali: l’ultima parola sulla designazione degli arbitri internazionali della DDR – che potevano quindi ricevere lauti bonus dalla UEFA per dirigere le partite di coppa – era proprio del Ministero della Sicurezza. Nel 1979 la Dynamo, ora allenata da Jürgen Bogs, vinceva il suo primo campionato, e negli anni successivi sarebbe stata campione nazionale ininterrottamente fino al 1988.

Questa ascesa imperiosa, Lutz Eigendorf non la visse mai. Il 20 marzo 1979, prima ancora di conquistare il titolo della DDR, si separò dai compagni al ritorno da una trasferta a Kaiserlautern, in Germania Ovest. Il pullman che trasportava la squadra della Dynamo fece sosta nella cittadina di Giessen, ed Eigendorf ne approfittò per balzare su un taxi e farsi riportare a Kaiserslautern, dove incontrò i dirigenti della locale squadra della Bundesliga e chiese asilo politico. La sua defenzione fu un brutto colpo per la Stasi, che subito si attivò per contenere i danni. Le reputazione del calciatore in patria venne demolita, e degli agenti si occuparono subito di insidiare Gabriele, la moglie di Eigendorf abbandonata con la figlia a Berlino Est, per convincerla a divorziare e a rifarsi una vita (sposò poi un uomo che era in realtà un agente della Stasi sotto copertura). La defezione di Eigendorf venne denunciata alla UEFA, che da regolamento dovette emettere una squalifica di un anno che preveniva al giocatore di accordarsi con un altro club. Diversi agenti infiltrati oltre il Muro si occuparono di sorvegliarlo, mentre il Kaiserslautern gli aveva dato un’occupazione temporanea come tecnico del settore giovanile.
Dal 1980, Lutz Eigendorf poté tornare ufficialmente all’attività con il suo nuovo club, ma l’impatto con la Bundesliga non fu affatto semplice: quella che era stata una delle stelle del calcio della DDR faticò ad affermarsi nel più competitivo campionato della Germania Ovest. E in patria la Stati non mancava di diffondere notizie sul “fallimento” della sua carriera nel calcio capitalista. Dopo due buone stagioni con il Kaiserslautern, chiuse entrambe al quarto posto, si trasferì nel meno blasonato Eintracht Braunschweig, dove però non riuscì a farsi strada tra le maglie dei titolari, giocando appena una manciata di partite. Il 21 febbraio 1983 apparve però in televisione in un’intervista sull’emittante Ard, ripreso davanti al Muro mentre raccontava gli orrori della DDR. Secondo Schwan, sono state quelle parole a costargli la vita. La sera del 5 marzo andò a bere in un bar, poi prese la sua Alfetta GT e fu ritrovato poco prima di mezzanotte schiantato contro un albero lungo la Braunschweiger Forststrasse. Trasportato in ospedale in gravi condizioni, morì due giorni più tardi.
Diciassette anni dopo, Heribert Schwan mostra in televisione dei documenti recuperati negli archivi della Stasi: Lutz Eigendorf è stato assassinato. Degli agenti lo hanno drogato con una neurotossina, minacciato, costretto a fuggire in auto e, in prossimità di una curva particolarmente pericolosa, abbagliato con i fari di un auto precedentemente messa in posizione strategica. Da questo momento, la storia dell’ex-campione della Dynamo Berlino, dimenticato e morto a soli 26 anni in Germania Ovest, cambia radicalmente: nasce il caso Lutz Eigendorf, macabro esempio della spietatezza e della criminale efficienza della Stasi. Il servizio segreto della DDR era sempre stato meritatamente famigerato, ma è negli anni Duemila, dopo il primo decennio di riunificazione nazionale, che s’impone quasi come un fenomeno pop. Nel 2006 esce il film Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck, magistrale e anche malinconico affresco della vita una spia della Germania orientale: c’è poco James Bond, poca spettacolarità e molta umanità, anni luce distante dall’inquietante destino di Eigendorf.
Nel 2010, il caso si arricchisce di un altro particolare, che definisce in maniera ancora più precisa cosa è successo. Un uomo di 65 anni nome Karl-Heinz Felgner si trova sotto processo a Düsseldorf per una rapina in una farmacia, e improvvisamente rivela un sorprendente dettaglio del suo passato: negli anni Ottanta era una spia della Stasi infiltrata nell’Ovest. Ex-pugile, Felgner era stato fatto espatriare nel 1980 fingendosi un esule della DDR e utilizzato come informatore, sotto il nome in condice di Klaus Schlosser. Gli venne successivamente assegnato l’incarico di prendere contatto con Eigendorf e farselo amico. Adesso sostiene che il calciatore fu effettivamente ucciso su ordine di Mielke, che quattro anni dopo era ancora infuriato per il tradimento del suo campione. Felgner ricevette l’ordine di occuparsi lui stesso dell’omicidio, ma a quel punto si rifiutò: “Non uccido persone che conosco” spiega. Per i media, il caso Eigendorf può finalmente dirsi concluso, con la conferma definitiva di una ex-spia orientale. E invece, sotto a una storia succulenta, sembra esserci molto poco di concreto.

Quanto ci dobbiamo fidare delle parole di Felgner? Pugile espatriato negli anni Ottanta, si manteneva grazie a quanto gli versava la Stasi, ma dopo la caduta del Muro si è ritrovato disoccupato: di lui si sa molto poco, ma è lecito supporre che non dovesse versare in buone acque se, praticamente in età da pensione, era stato costretto a commettere una rapina in una farmacia. Che fosse semplicemente in cerca di notorietà, magari pensando di farsi pagare per delle interviste, sfruttando la popolarità del caso e il mito nefasto della Stasi? Ma anche se la sua storia fosse del tutto vera, essa non conferma che Eigendorf fu effettivamente ucciso, dato che lo stesso Felgner non sa dire chi possa essere stato l’esecutore. E i documenti portati alla luce da Schwan? In realtà non contengono nulla di concreto: il nome di Eigendorf compare in una lista di nemici della DDR da tenere d’occhio, accanto a esso c’è la scritta “narcotico” e poi, più sotto, “Lampo”, il nome della tecnica che sarebbe stata usata per toglierlo di mezzo. Ma non è chiaro se quest’ultimo termine sia collegato all’ex-centrocampista della Dynamo né che un piano di assassinio sia mai stato messo davvero in atto.
È lo stesso documentarista a mettere le mani avanti: nelle sue ricerche non è riuscito a trovare un solo dossier su Eigendorf, e si giustifica dicendo che “è stato distrutto” e si è quindi dovuto basare su “documenti collaterali”. Dopo Tod dem Verräter, la Procura di Berlino ha aperto un’indagine sul caso, ma quattro anni dopo l’ha chiusa, non avendo trovato elementi che facciano propendere in favore dell’omicidio. Di nuovo, dopo le rivelazioni di Felgner, si è parlato di riaprire l’inchiesta, ma nemmeno questa volta è stato possibile trovare delle prove del coinvolgimento della Stasi. Falko Götz, allenatore ed ex-attaccante della Dynamo Berlino che nel 1983 fuggì anche lui all’Ovest, ha detto nel 2023, intervistato per il documentario di Sky Stasi FC, che i servizi segreti sarebbero certamente stati in grado di uccidere Eigendorf, ma che non sarebbe in grado di dire cosa è effettivamente successo.
Se Luzt Eigendorf fosse stato drogato, non si sarebbe forse trovata traccia di questa sostanza durante l’autopsia? Invece, ciò che è stato appurato è che il tasso alcolemico del giocatore dell’Eintracht Braunschweig era molto oltre la norma. Eigendorf uscì dal bar ubriaco, si mise al volante della sua auto sportiva e si avviò lungo una strada nota per avere delle curve piuttosto pericolose, perse il controllo e finì contro un albero, scontrandosi a grande velocità dal lato del guidatore. Aveva davvero bisogno di un “aiuto” della Stasi per arrivare a questo epilogo?
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Fonti
–CORDOLCINI Alec, Operazione Lampo, Guerin Sportivo [via Il Pallone Racconta]
–DERSTROFF Katja, Der Fall Lutz Eigendorf: Mordauftrag von der Stasi, Bild
-HESSE Uli, Tor! The Story of German Football, Polaris Publishing