Karembeu, la silenziosa protesta di un figlio delle colonie

La Francia degli anni Novanta è black-blanc-beur, una miscellanea di colori e culture che il Presidente della Repubblica Jacques Chirac indica come il vero grande punto di forza del paese, non solo nel calcio. L’estrema destra emergente di Jean-Marie Le Pen dice che sono tutti stranieri a cui è stata data la cittadinanza, ma in realtà ognuno di loro è cresciuto nella Francia continentale. Qualcuno, fuori dal paese, pensa che non sia giusto che i Bleus siano avvantaggiati dal fatto di poter utilizzare giocatori che provengono dalle colonie, ma pure questo non è vero: ci sono tanti giocatori di origini africane o caraibiche, ma nessuno è cresciuto sotto la colonizzazione francese. Nessuno tranne Christian Karembeu, un centrocampista di fatica, poco appariscente in campo, che finisce per diventare il ribelle per eccellenza del calcio francese. E lo attraverso il silenzio.

È il 1996, si giocano gli Europei in Inghilterra, e la Francia è una delle grandi sorprese, sfiorando la finale e uscendo invece solo ai rigori contro la Repubblica Ceca. Ma la squadra, che due anni dopo giocherà in casa i Mondiali, fa discutere anche per motivi non solo sportivi: nessuno canta La Marseillaise. Le Pen – che alle presidenziali di un anno prima ha raggiunto inaspettatamente il 15% dei voti, portando il suo Front National a diventare il quarto partito del paese – è il primo a lanciare la polemica: i giocatori non cantano l’inno perché “non lo sanno”, perché sono “soprattutto stranieri naturalizzati”. Ma è una balla xenofoba e razzista: i giocatori della Francia non hanno mai cantato La Marseillaise, nemmeno quando in squadra erano tutti bianchi. Tant’è vero che neppure Fabien Barthez la canta. Ma nel 1996 la questione dell’inno diventa un caso nazionale, e i giocatori, sotto le pressioni della politica, accettano di iniziare a cantare. Solo Karembeu continua a restare in silenzio.

Lui sì, viene da uno degli ultimi residui coloniali della Francia, solo che adesso li chiamano territori d’oltremare. È nato nel 1970 a Lifou, un piccolo atollo del Pacifico, in un posto che si chiama Nuova Caledonia e che dal 1853 è un possedimento francese. Nel 1988 è diventato un’area autonoma, ma ancora parte della Francia, sebbene scarsamente rappresentata all’Assemblea Nazionale di Parigi. Lì vivono due tipi di persone: i caldoches, una robusta minoranza bianca di origini europee, e i kanak, gli indigeni melanesiani che rappresentano la maggioranza della popolazione, e di cui fa parte anche Karembeu. Negli anni Ottanta l’arcipelago era stato sull’orlo della guerra civile, quando il leader socialista kanak Jean-Marie Tjibanou aveva organizzato le prime proteste per l’indipedenza, e alcuni estremisti caldoches avevano reagito assassinando dieci kanak, tra cui due fratelli di Tjibanou. Nel 1986 era dovuta intervenire l’ONU, pressando la Francia per riconoscere le richieste degli indigeni, e si era così arrivati alle prime concessioni autonomiste.

In quegli anni, Karembeu era un adolescente che viveva e studiava a Nouméa, la più grande città della Nuova Caledonia e il principale epicentro delle proteste. Giocava a calcio come ala destra nel Gaïtcha FCN, e solo all’età di 17 anni poté trasferirsi in Francia, venendo selezionato per le giovanili del Nantes, su indicazione del connazionale ed ex-calciatore Marc Kanyan-Case: tutti i suoi compagni di Nazionale nel 1996 sono o nati in Francia o arrivati lì da bambini; lui è l’unico a essere veramente cresciuto altrove. La sua storia famigliare non ha niente a che vedere con quella di nessun altro calciatore francese, bianco nero o magrebino che sia. Nel 1931, Parigi aveva ospitato una grande Esposizione Coloniale, un evento con cui l’Europa voleva mostrare al mondo i progressi della sua grande opera di “civilizzazione” globale. Tra i vari reperti esposti nella capitale, nel parco di Bois de Boulogne, nel XVI arrondissement, c’erano anche 111 kanak, una delle principali attrazioni di un vero e proprio “zoo umano”: tre di quei 111 erano parenti di Christian Karembeu, uno era il suo bisnonno Willy e gli alti i fratelli.

153 presenze e 6 reti in cinque stagioni con la maglia del Nantes, vincendo il campionato del 1995. Nello stesso anno, Karembeu venne premiato come miglior calciatore dell’anno in Oceania: è stato il primo a vincere il titolo pur rappresentando una selezione di un altro continente.

I motivi per cui non canta l’inno, Karembeu non li esplicita mai, ma sono facilmente immaginabili. È molto legato alla sua terra, dove ancora vivono i genitori Paul e Hudrenie, assieme a 11 tra fratelli e sorelle, e poi altri parenti ancora. Nel 1995, Chirac aveva annunciato la ripresa dei test nucleari sull’isola di Mururoa, nella Polinesia francese, che erano stati interrotti solo tre anni prima dall’amministrazione Mitterrand. “È dal 1966 che la Francia fa questi esperimenti in Polinesia. – denunciò all’epoca Karembeu sulla stampa italiana, dato che proprio quell’estate si era trasferito alla Sampdoria – Chi dice che non c’è nulla di pericoloso mente. Gli scienziati hanno spiegato che l’esplosione atomica potrebbe causare una frana nel vicino vulcano sottomarino. La verità è che, se il mondo procede verso il disarmo atomico, la Francia e il suo governo vanno nella direzione opposta”. I calciatori francesi parlano generalmente poco di politica, ma Karembeu no: ha delle idee molto precise, e non si fa problemi a esprimerle, anche se creano polemiche.

Negli anni al Nantes si è evoluto in un centrocampista difensivo, formando una coppia inossidabile con Claude Makélélé che poi viene traslata in Nazionale. Alla Sampdoria, Karembeu si conferma e nel 1997 firma addirittura con il Real Madrid. Durante la sua esperienza in Spagna fa di nuovo parlare di sé per questioni extra-sportive, quando dichiara al quotidiano ABC di non essersi mai davvero sentito del tutto francese: “Ho sempre ripetuto che sono un kanak, ho una tradizione che ci tengo a preservare”. Anche se poi ritratta in parte le parole iniziali, ammorbidendole, in Francia scoppia una polemica furiosa: Karembeu è uno dei centrocampisti più forti del mondo, un pilastro della Nazionale che ospiterà i Mondiali la prossima estate, e un idolo mediatico anche per la sua molto chiacchierata vita privata (frequenta la bellissima modella slovacca Adriana Sklenaříková, che sposerà nel dicembre del 1998). Già nel maggio del 1997, prima delle elezioni legislative in cui si temeva un altro balzo in avanti del Front National, aveva detto a Le Monde: “La Francia non è più un paese di libertà, uguaglianza e fraternità. Ci stiamo prendendo in giro, su questo motto”.

In vista dei Mondiali, proprio Le Monde lo invita a scrivere un articolo in cui spiegare una volta per tutte perché ancora è l’unico che si rifiuta da cantare La Marseillaise: “La mia famiglia, come tante altre famiglie kanak, ha vissuto delle esperienze orribili. Non posso cantare l’inno nazionale, conoscendo la storia del mio popolo”. Karembeu è la voce della coscienza francese che nessuno vuole ascoltare: in un paese in cui sta riemergendo con forza un razzismo che tutti credevano ormai superato, il centrocampista del Real Madrid ricorda al paese che quel sentimento è sempre esistito, ignorato e relegato alle lontanissime isole del Pacifico, così che la Francia continentale potesse credere di vivere in un sogno liberale e democratico. “Quello che vogliamo è l’autonomia interna” dichiara alla stampa, in mezzo alle discussioni attorno al nuovo accordo di Nouméa, che nel maggio 1998 stabilisce un percorso ventennale per il trasferimento dell’autonomia governativa da Parigi alla Nuova Caledonia. Pochi giorni dopo, Christian Karembeu diventa il primo kanak a vincere la Champions League, e in estate anche il primo a conquistare la Coppa del Mondo.

Con la Francia vince poi gli Europei del 2000 e la Confederations Cup del 2001, sempre continuando a non cantare l’inno. La sua carriera prosegue con gli inglesi del Middlesbrough e con i greci dell’Olympiakos, mentre nel frattempo in Francia giungono di nuovo le elezioni presidenziali, nella primavera del 2002, e l’incubo arriva molto vicino a concretizzarsi: l’estrema destra di Le Pen approda per la prima volta al ballottaggio, e allora tanti noti calciatori della Nazionale prendono la parola per spingere la popolazione a non votare per i razzisti. Ma Karembeu, queste cose, le diceva da tempo, venendo trattato come uno che esagerava, quando invece era stato una delle prime persone a indicare l’elefante nella stanza. A 32 anni, comunque, la sua carriera da calciatore si sta avviando alla fine: rimane in Grecia fino al 2004, in tempo per assistere all’incredibile trionfo europeo della selezione ellenica, quindi si trasferisce agli svizzeri del Servette e, nel gennaio 2005, va a vivere la sua ultima esperienza da giocatore con la maglia del Bastia.

Con il Real Madrid, Karembeu vive gli anni migliori della sua carriera: tre stagioni, 82 presenze e 4 gol, vincendo una Supercoppa spagnola, due Champions League e una Coppa Intercontinentale.

Gli anni passano, il calcio giocato non è più la sua vita, ma Christian Karembeu resta impegnato nello sport: per un po’ fa lo scout in Inghilterra, poi nel 2013 accetta di tornare ad Atene per un ruolo dirigenziale nell’Olympiakos. E nel frattempo dà alle stampe la sua autobiografia, che s’intitola immancabilmente Christian Karembeu – Kanak, e che pur parlando della sua vita d’atleta professionista è un testamento politico e culturale di cosa significhi essere un’ambasciatore di una cultura in gran parte marginalizzata. Infatti, quando lo intervistano per parlare del libro, lui ne approfitta per porre l’attenzione sul referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia, atteso per il 2018: “Uno stato non può abusare di una popolazione. Il popolo della Nuova Caledonia è pronto per una nuova realtà economia e politica” dichiara a Le Parisien, nel 2014. I media transalpini gli chiedono di nuovo del perché non cantava l’inno, dopo tutti questi anni lo ricordano ancora per questo: il figlio delle colonie che stava zitto durante La Marseillaise. “C’era un politico che diceva che c’erano troppi neri in Nazionale. Siccome lo lasciavano parlare, io decisi che era meglio restare in silenzio” risponde questa volta.

Ma la strada per l’indipendenza è lunga e tortuosa. La Francia non può lasciare andare la Nuova Caledonia a cuor leggero: i giacimenti di nichel dell’arcipelago oggi sono più preziosi che mai. In più, i caldoches – che rappresentano la parte più ricca e influente della società locale – non hanno nessuna intenzione di ritrovarsi marginalizzati. Il referendum del 2018 si conclude con un 56,7% di No, così gli indipendentisti ne chiedono un secondo, che viene tenuto nel 2020 e vede di nuovo il No prevalere con il 53,4% delle preferenze. Una terza consultazione viene organizzata per il dicembre 2021, ma con l’emergenza del Covid-19 ancora in corso nell’arcipelago gli indipendentisti chiedono a Parigi un rinvio, che non viene accettato: i kanak boicottano il referendum, che vede il No prevalere questa volta con il 96% dei consensi. Nella primavera del 2024, nella Francia continentale il governo Macron ha deciso di far approvare una legge che garantisce il diritto di voto per le elezioni locali anche ai nuovi immigrati francesi in Nuova Caledonia, dando ai caldoches la possibilità di prendere il controllo assoluto della regione.

Non possono che scoppiare delle proteste, e Parigi invia le sue forze di polizia per riportare l’ordine, senza risparmiare il ricorso alla violenza. Si registrano almeno 14 morti e oltre 2.000 arresti tra i manifestanti kanak, mentre Christian Karembeu resta non parla più. Fino alla fine di maggio, quando finalmente torna a farsi sentire per rivelare che tra i morti c’erano anche dei suoi parenti: “Ho perso dei membri della mia famiglia, ecco perché non mi sono espresso: ero in lutto. Si tratta di un assassinio, e speriamo che verranno fatte delle indagini a riguardo”. In una vecchia intervista, gli era stato chiesto quali insegnamenti del suo clan avesse portato con sé, quando a 17 anni partì per la Francia; Karembeu rispose: “Il silenzio e l’umiltà”.

Fonti

Former France soccer player Karembeu says two of his relatives have been killed in New Caledonia, Associated Press

HOPQUIN Benoit, Christian Karembeu un footballeur en colère, Le Monde

QUEIGNEC Jean-Yves, Karembeu ne comprend pas, Le Parisien

PARROT Clément, “Le mot ‘indépendance’ est périmé”: Christian Karembeu livre son sentiment sur le référendum en Nouvelle-Calédonie, FranceInfo

SMETS Joëlle, Karembeu, le Kanak militant, Le Soir

1 commento su “Karembeu, la silenziosa protesta di un figlio delle colonie”

  1. “Così che la Francia continentale potesse credere di vivere in un sogno liberale e democratico”: quanto poco spesso noi europei riflettiamo sul fatto che il nostro sbandierato liberalismo interno è stato costruito sul colonialismo…

    Ad ogni modo, quelli sono gli stessi anni in cui polemiche simili sull’inno nazionale esplosero anche in Italia, dove ancora il “problema” dei calciatori immigrati non esisteva. Visto con il senno di poi, un rigurgito inquietante di nazionalismo.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento