L’effetto Moneyball nel calcio

Ci sono film che riescono a diventare qualcosa di più di semplici prodotti d’intrattenimento, ma arrivano a essere vasti fenomeni culturali. Uno dei casi più evidenti è quello di Moneyball (in italiano, L’arte di vincere), pellicola del 2011 di Bennett Miller con Brad Pitt protagonista, ispirata alla vera vicenda della squadra di baseball degli Oakland Athletics di inizio anni Duemila. È uno dei film sportivi più belli di sempre, e uno dei pochi prodotti cinematografici che hanno seriamente influenzato il mondo reale che li aveva ispirati: il “metodo Moneyball” è diventata una locuzione di grande successo sulla stampa sportiva di mezzo mondo. In un’epoca in cui le disuguaglianze tra ricchi e poveri, anche tra le società sportive e non solo tra gli individui, sono in costante aumento, la vicenda degli Athletics è la dimostrazione che con idee, intuizione e metodo è possibile ribaltare il fattore economico. Non stupisce allora che uno degli sport più diseguali da questo punto di vista, com’è appunto il calcio europeo, sia stato rapidamente sedotto dalla storia di Billy Beane.

Partiamo dalle basi: che cosa sarebbe questo “metodo Moneyball”? Non è una cosa inventata da Beane, l’acclamato general manager degli Athletics, e in realtà si chiama sabermetrica (da SABR, Society for American Baseball Research). Il suo ideatore è un uomo di nome Bill James, che nel 1977 espose la sua teoria in un libro: attraverso un approfondito studio dei dati statistici era possibile, secondo lui, estrapolare analisi oggettive sul valore dei giocatori di baseball, scoprendo cose che osservatori e allenatori non erano in grado di vedere a causa di vari bias. James venne a lungo ignorato, fino a che il successo degli Athletics non rilanciò le sue teorie. Nel 2003 fu ingaggiato come consulente dai Boston Red Sox, e applicando il suo metodo riuscì a riportarli a vincere le World Series per la prima volta dal 1918; tre anni dopo, la rivista Time lo inserì tra le 100 persone più influenti al mondo. Ma soprattutto, anche fuori dal baseball le società sportive iniziarono a interessarsi a un possibile adattamento della sabermetrica: i dati statistici e gli algoritmi sono gradualmente divenuti un fattore centrale nello sport di squadra, a partire proprio dal calcio. L’obiettivo era semplice: ridurre il peso della casualità e dell’imponderabile ai fini del risultato, minimizzare gli errori nell’acquisto dei giocatori (e quindi gli sprechi di denaro) e poter competere ad alti livelli pure in assenza di budget astronomici.

Negli ultimi dieci anni, concetti come quello di expected goals sono divenuti repertorio comune di ogni tifoso di calcio, mentre i club hanno iniziato a investire sempre di più in team di analisi di dati. Al di là delle ovvie differenze tra baseball e football europeo, la connessione sembrava scritta nelle stelle, tant’è vero che proprio Billy Beane aveva reso noto di essere un appassionato di calcio, e di stimare in particolar modo l’Arsenal di Arséne Wenger. Il motivo di questo sentimento è facilmente immaginabile: nel corso degli anni Duemila, il tecnico francese era riuscito a mantenere competitivi i Gunners pur con un budget molto inferiore a quello di Manchester United, Chelsea e Liverpool, puntando su giovani e giovanissimi scelti in base alla loro funzionalità tattica e alle loro prospettive. Così, quando nel 2006 i proprietari degli Oakland Athletics Lewis Wolff e John Fisher acquistarono i derelitti San José Earthquakes con l’intento di riportarli in MLS, chiesero a Beane di elaborare un “metodo Moneyball” per il calcio. In realtà, questa storia non finì benissimo, e nel 2010 il club decise di accantonare il progetto di Beane e del suo team.

Un altro motivo del fascino di Beane per l’Arsenal era dovuto all’osservatore francese Damien Comolli, storico collaboratore di Wénger fin dai tempi del Monaco. Pioniere dell’analisi dei dati nel reclutamento dei giocatori, Comolli venne poi chiamato a dirigere Tottenham e Saint-Étienne con ottimi risultati, e nel 2010 accettò l’ambiziosa proposta del Liverpool, con il compito di portare i Reds a vincere uno scudetto che mancava dal 1990. Insomma, un’operazione in stile Bill James ai Red Sox, ma che invece naufragò malamente nel giro di un paio d’anni. A Comolli venne affidato il controllo di ogni aspetto gestionale del club, ma la sua permanenza è ricordata soprattutto per l’acquisto di Andy Carroll: pagato 42 milioni di euro al Newcastle (secondo inglese più costoso di sempre, all’epoca), fu un disastro su tutta la linea. Al dirigente francese vennero anche contestati altri acquisti troppo onerosi rispetto a quanto visto in campo: circa 50 milioni di euro spesi per Charlie Adam, Stuart Downing e Jordan Henderson. Dopo la rottura col Liverpool, Comolli impiegò sei anni prima di trovare un nuovo lavoro nel calcio, venendo ingaggiato dai turchi del Fenerbahçe solo nel 2018.

Damien Comolli ai tempi del Liverpool, dov’è arrivato quando aveva solo 38 anni. La sua carriera nello staff del Monaco è iniziata nel 1992, all’età di 20 anni soltanto.

Nel frattempo, però, era uscito il film di Bennett Miller, e gradualmente la percezione generale stava mutando, creando delle crepe nello scetticismo del mondo del calcio verso la matematica. Il cambiamento è partito dal basso, com’è naturale: squadre con budget estremamente ridotti, ai margini del sistema, erano le cavie perfette per replicare l’ambiente degli Oakland Athletics. La svolta è arrivata grazie a un piccolo imprenditore britannico di nome Matthew Benham, laureato in fisica a Oxford e fondatore di SmartOdds, una società che sviluppava modelli matematici al fine di prevedere i risultati sportivi. Benham si era arricchito collaborando con le agenzie di scommesse, e ciò gli permise, nel 2012, di acquistare la sua squadra del cuore, il Brentford, all’epoca in Football League One, la terza serie inglese. È stato uno dei primi a credere negli expected goals, facendone il perno attorno a cui costruire il “suo” metodo Moneyball applicato al calcio. Il Brentford ha iniziato ad acquistare giocatori sconosciuti a prezzi irrisori, riuscendo però a migliorare le proprie prestazioni: nel 2013 ha perso la finale dei playoff; nel 2014 è stato promosso in Championship; nel 2015 ha perso una semifinale dei playoff e nel 2020 la finale; nel 2021 è stato promosso in Premier League, e nel 2022 è arrivato al 13° posto nella massima serie. Il tutto, avendo sempre il budget più basso della categoria.

Da qui, lentamente, la stampa calcistica europea ha iniziato ad andare a caccia di storie dei nuovi “Moneyball del pallone”, anche se nei fatti sarebbe corretto parlare di “metodo Brentford”, o magari di “metodo Ankersen”. Rasmus Ankersen è uno scrittore danese, appassionato di statistica e con un breve passato da calciatore interrotto da un grave infortunio. Ha scritto diversi libri sulle statistiche del calcio e su come una corretta analisi dei dati possa permettere di identificare appunto giocatori di grande potenziale ma sottovalutati dagli osservatori: è lui il nostro Bill James. Leggendo un suo libro Benham decise di contattarlo per un lavoro al Brentford, nel 2012; due anni dopo, il britannico ha poi acquistato il Midtjylland, la squadra per cui aveva giocato Ankersen, applicando anche qui il suo sistema di scouting scientifico. Nel 2015, i danesi hanno conquistato il loro primo scudetto; nel 2016 hanno raggiunto per la prima volta la fase finale di una competizione internazionale, arrivando ai sedicesimi di Europa League. Nel 2018 hanno rivinto il titolo nazionale, un anno dopo la loro prima Coppa di Danimarca, e nel 2020 un terzo scudetto; nel 2021 hanno partecipato per la prima volta ai gironi di Champions League. Questi successi hanno reso Ankersen una vera e propria celebrità, portandolo a tenere varie conferenze e, infine, a fondare una società d’investimento chiamata Sport Republic, attraverso la quale nel dicembre 2021, dopo essersi dimesso dal Brentford, ha acquistato il Southampton. Nell’estate del 2022 ha aggiunto al suo portfolio anche i turchi del Göztepe.

Il calcio è molto diverso dal baseball, chiaramente. Quello americano è uno sport che si compone di continui duelli uno-contro-uno e con posizioni e movimenti strettamente codificati, mascherato da sport di squadra. Nel football europeo, invece, 22 individui occupano contemporaneamente il campo, e le azioni di ognuno influiscono su quelle degli altri: il numero di variabili è enorme. Lee Dykes, il capo osservatore di Brentford e Midtjylland ha spiegato a The Athletic che i giocatori dipendono in maniera molto maggiore dal resto della squadra. Ne L’arte di vincere, Brad Pitt prende tre giocatori mediocri per sostituirne uno forte, poiché le loro statistiche sommate equivalgono a quelle del partente, ma il loro costo è inferiore. Nel calcio non è possibile comprare tre attaccanti con 5 gol di media a stagione per sostituirne uno da 15: è un gioco meno individualista, per cui se un giocatore segna molto di testa ti serve averne un altro con ottime statistiche sui cross e sugli assist. Cambia anche il modo di leggere le statistiche, però. Tim Sparv, mediano finlandese che il Midtjylland ha preso nel 2014 dal Greuther Fürth, in seconda serie tedesca, non eccelleva in nessuna statistica difensiva, ma Ankersen ha spiegato a The Correspondent che aveva un gran senso della posizione, e per questo anticipava spesso gli avversari, col risultato di avere dati molto modesti in termini di contrasti e palle recuperate.

Quello di Brentford e Midtjylland (e in prospettiva di Southampton e Göztepe, probabilmente) è quindi più correttamente il metodo di Ankersen e Benham. Se proprio vogliamo parlare strettamente di Moneyball, dobbiamo guardare all’AZ Alkmaar. Nel 2014 il club olandese ha scelto incredibilmente di affidare la carica di direttore generale a Robert Eenhoorn, un uomo senza alcuna esperienza di calcio ma con un passato da giocatore di baseball, addirittura nella Major League americana. Dopo un anno in carica, Eenhoorn ha deciso di ingaggiare come consulente Billy Beane, dando all’ex-manager degli Oakland Athletics la prima chance nel calcio europeo, dopo il flop di San José. All’epoca, la notizia fece un poco di scalpore, anche perché ancora nessuno si era accorto di cosa stava facendo il Brentford. L’idea di importare il Moneyball nei Kaaskoppen era piuttosto suggestiva: l’AZ era un club che nei dieci anni precedenti si era affermato come uno dei più competitivi d’Olanda, sebbene meno ricco delle sue rivali, e ci era riuscito puntando su giocatori poco noti e talenti del settore giovanile. Quindi, il metodo del club era già simile a quello di Beane, che non poteva che affinarlo. In questi anni, l’AZ Alkmaar non ha vinto alcun trofeo, ma si è piazzato spesso tra le prime quattro (secondo nel 2020) ed è divenuto una presenza fissa nelle coppe europee. Ma soprattutto ha lanciato tanti giocatori presi a poco e rivenduti a molto, come Alireza Jahanbakhsh (pagato 1,8 milioni e rivenduto a 19), Vincent Janssen (preso a 500.000 euro e ceduto per 22 milioni) e Wout Weghorst (preso a 1,5 milioni e rivenduto a 10,5).

Billy Beane, nel 2021. Ex-promessa del baseball negli anni Ottanta, a soli 28 anni, nel 1990, si ritirò per diventare un osservatore. Nel 1997 venne nominato general manager degli Oakland Athletics.

Sembra quindi legittimo dire che in cinque anni il progetto dell’AZ stia avendo discreto successo, e Beane ci crede a tal punto che nel settembre 2020 ha acquistato il 5% delle quote del club. Tuttavia, il particolare contesto del calcio olandese, storicamente orientato a questo tipo di scouting e player trading, non consente di visualizzare chiaramente l’effetto del Moneyball. Il successo mediatico del suo alfiere, però, dopo l’uscita del film con Brad Pitt è divenuto innegabile anche nel calcio. Nel dicembre 2017, l’imprenditore sino-americano Chien Lee ha acquistato il Barnsley, un club sul punto di retrocedere in Football League One, coinvolgendo come socio proprio Billy Beane. Questa volta la notizia fece rapidamente il giro del mondo, al punto che nel maggio 2021 il Wall Street Journal arrivò a dedicare un approfondimento all’esperimento Moneyball del calcio inglese: spendendo pochissimo, il Barnsley era riuscito a tornare in Championship già nel 2019, e nel 2021 aveva sfiorato una storica promozione in Premier League. Sotto la patina dei risultati, va però detto che i Tykes hanno raccolto anche molte critiche per il loro gioco caotico e tecnicamente povero, da molti definito Skyball, per l’insistenza nel giocare sui palloni alti da buttare in area. È una rigida applicazione del metodo usato da Beane nel baseball: il modo più sicuro per fare gol, in assenza di grandi valori tecnici, è buttare palle alte nell’area avversaria, perché sono più difficili da controllare. Per questo, il Barnsley ha orientato la sua rete di scouting per trovare giocatori atleticamente prestanti, così da garantire un pressing alto e continuo, e alti e forti di testa, per tenere il pallone in aria il più possibile.

In un’epoca in cui imperversa il gioco di posizione, che si fonda sul controllo della palla a terra, quella di Valérien Ismaël si è segnalata per essere una squadra in aperta controtendenza: niente costruzione dal basso, marginalizzazione della tecnica pura, ricerca del caos e disinteresse totale per ogni aspetto estetico del gioco. Per un po’ ha funzionato, ma già nel 2022 il Barnsley ha chiuso ultimo in Championship con il peggior attacco della lega, retrocedendo in terza serie e dimostrando che il sistema usato era tutt’altro che a prova di bomba. In aggiunta, sembra che il metodo Moneyball nel calcio tenda ad andare di pari passo con le multiproprietà: Brentford e Midtjylland con Benham, Southampton e Göztepe con Ankersen, fino all’impero di Chien Lee (che possiede anche Thun, Oostende, Nancy, Esbjerg B, Den Bosch e Kaiserslautern). La sensazione è che spesso, più che un sistema per competere pur in assenza di grandi budget, il Moneyball e i suoi derivati si prestino a essere usati nel calcio per massimizzare i profitti a fronte di spese molto ridotte, e quindi come uno strumento di speculazione economica più che di programmazione sportiva.

I migliori risultati dell’applicazione dei dati nella valutazione dei giocatori arrivano allora da progetti che ibridano la matematica pura con conoscenze tecnico-tattiche di allenatori e osservatori, nella consapevolezza che ridurre il calcio a puri numeri è ancora un’impresa controproducente. Dal suo arrivo al Liverpool nel 2015, Jürgen Klopp ha iniziato a creare un team di analisti che fosse una sapiente mediazione tra scienza e competenza tecnica, ma supportato anche da un’ampia possibilità di spesa sul mercato. Uno dei suoi primi acquisti fu Roberto Firmino, un centravanti che segnava relativamente poco e non eccelleva nel gioco fisico o aereo, ma che creava più xG per i compagni di qualsiasi altra punta in Europa. La cifra di 41 milioni di euro spesa per lui era stata inizialmente giudicata esagerata, così come gli 85 milioni stanziati nel gennaio del 2018 per Virgil van Dijk o i 62,5 spesi pochi mesi dopo per il portiere Alisson. Qualcosa di diamentralmente opposto a ciò che fecero gli Oakland Athletics, ma partendo dagli stessi principi: analisi di dati per cercare i giocatori funzionali a un sistema di gioco. Quasi 200 milioni di euro per soli tre elementi, che però sono serviti a riportare il Liverpool a vincere sia la Champions League che il tanto sospirato scudetto.

E tra i protagonisti di questi successi c’è stato anche Jordan Henderson, uno dei nomi su cui si era schiantata la carriera di Damien Comolli. Henderson era stato acquistato per 18 milioni di euro quando aveva appena 20 anni, ma nelle sue prime stagioni non aveva dimostrato di meritarli. Però col tempo è maturato, in particolare tra le mani di Klopp, diventando uno dei centrocampisti più forti della Premier League. Nel 2020, nel frattempo, Comolli è tornato in Francia, chiamato dal Tolosa in Ligue 2 per ristrutturare una squadra con budget molto piccolo e una rosa completamente da rifondare. Ha affidato l’analisi dati a un ingegnere aerospaziale, Julien Demeaux, e gli ha affiancato come capo scout Brendan MacFarlane, un ex-giornalista sportivo che era già stato osservatore in Francia per il Brentford. Il Tolosa si è segnalato in questi anni per campagne acquisti nelle serie minori dell’Europa occidentale e orientale, portando in rosa giocatori sconosciuti e dall’età media piuttosto bassa, mescolandoli con i prodotti del suo settore giovanile, considerato tra i migliori di Francia. Nel 2022 sono tornati in Ligue 1, e in questa stagione si trovano al momento in una comoda posizione di metà classifica, vicini a una salvezza che a inizio stagione nessuno prevedeva. La stampa internazionale continua a parlare di “approccio Moneyball”, perché ormai è divenuto un luogo comune e tutti quelli che usano la matematica nello sport sono come Brad Pitt e Jonah Hill, ma la storia del Tolosa racconta qualcosa di ben più ampio e complesso, e ci ricorda che non esistono formule magiche.

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5 pensieri riguardo “L’effetto Moneyball nel calcio”

  1. Ho una domanda: ma questo approccio non dovrebbe comunque portare ad una marginalizzazione di chi non può competere in un sistema così smaccatamente “crudele”? Mi spiego: finora, era “l’istinto” a portare a considerare qualcuno un giocatore “forte”; se invece introduciamo la “matematica” in questo sistema, non dovrebbe “semplicemente” succedere che a costare di più inizieranno ad essere i giocatori con le migliori “statistiche avanzate” (come si dice nel basket) e non quelli con le migliori doti tecniche? Ed aggiungo poi: un gioco fondato su questi principi, non rischia anche di diventare noioso? Senza considerare poi che, come fai giustamente notare, questo sembra un modo per abbattere i “costi di produzione” mantenendo comunque alti i profitti…

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    1. Penso che il calcio sia ancora un calcio con troppe variabili, per cui la matematica conta fino a un certo punto. Esistono i settori giovanili, che negli sport americani non ci sono, e quindi c’è la possibilità di allevare giovani in casa. Inoltre non è un sistema chiuso, ma composto di tante competizioni nazionali e internazionali di livello molto differente tra loro: avere ottime statistiche nel campionato rumeno non significa mantenerle necessariamente anche in quello inglese.

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