Il momento non è che sia proprio uno dei migliori, con la squadra che è retrocessa pochi mesi prima in seconda divisione, però il pubblico non manca mai al Wilhelm-Koch-Stadion. La speranza è di poter riconquistare subito un posto in Bundesliga, ma in realtà i risultati sportivi in questa zona un tempo malfamata di Amburgo sono solo un corredo a tutto il resto. Nel decennio precedente, sugli spalti di questo stadio si è andato formando un agguerrito gruppo di tifosi che oscillava dalle formazioni politiche dell’estrema sinistra al movimento punk. Sono stati i primi in Germania a cacciare i tifosi di destra dagli spalti; in pochi anni si è passati da poco più di un migliaio di persone presenti fino ad avere regolarmente quasi il tutto esaurito. Ecco perché la notizia sconquassa l’ambiente come un terremoto: lo stadio del St. Pauli è dedicato a un nazista.
A sganciare la bomba è stato un giornalista e tifoso del St. Pauli, René Martens, che ha appena pubblicato un libro dedicato alla storia del club, FC St. Pauli. You’ll never walk alone. Martens ha dedicato molto tempo e studi al suo libro, ha raccolto fonti disparate, ispezionato archivi, visionato una marea di documenti, e alla fine ha concluso che Wilhelm Koch, presidente della società dal 1933 al 1969 (con una breve pausa tra il 1945 e il 1947) era in realtà un devoto nazista e si era arricchito grazie ai suoi legami con la dittatura. Una macchia orribile, sulla maglia più antifascista del calcio mondiale. Una storia che era andata perduta, figlia di un passato lontano precedente alla svolta politica dei tifo amburghese, irrintracciabile dopo che Koch era stato riabilitato dalla giustizia, nel 1947, durante il processo di denazificazione in corso nella Germania del dopoguerra. Un processo che, però, aveva notoriamente nascosto non poca polvere sotto il tappeto: tra gli scagionati c’era stato pure Hermann Neuberger, ex ufficiale della Wermacht che negli anni Settanta era stato a capo dell’organizzazione dei Mondiali in Germania Ovest, presidente della Federcalcio tedesca e poi vice presidente della FIFA.
La storia di Koch, morto per una grave e fulminea malattia nel 1969, mentre era ancora in carica, era molto poco nota anche tra i tifosi. Da giovane era stato portiere in un altro club di Amburgo, il Turnverein, quando ancora il calcio in Germania era dilettantistico. Poi, all’inizio degli anni Trenta, era entrato nella dirigenza del St. Pauli, nel 1933 era stato nominato presidente e, nel frattempo, rilevava l’azienda poi denominata Koch & Scharff, che si occupava del commercio di cuoio e pelli. Data fatidica, quel 1933: a marzo il Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler aveva preso oltre 17 milioni di voti alle elezioni, diventando la prima forza politica del Reichstag. Iniziava il consolidamento del regime e il processo di arianizzazione della società tedesca. La Koch & Scharff, fino a quel momento, era stata di proprietà di ebrei, ma il cambio al potere li costrinse a fuggire in Svezia, e la loro attività venne assegnata dal governo a due nuovi soci, da cui prese il nome.
Di lui si sapeva soprattutto quello che fece dopo la guerra, quando tornò sullo scranno presidenziale nel 1947. In particolare durante gli anni Cinquanta assicurò, anche grazie ai suoi investimenti diretti, la stabilità economica del club, che seppur non in grado di tenere testa ai più potenti rivali cittadini dell’Amburgo SV visse comunque un ottimo periodo. Wilhelm Koch divenne quindi il simbolo stesso della squadra, e la sua improvvisa morte nel 1969 colpì a tal punto il club che solo un anno dopo si era deciso di intitolargli lo stadio. La generazione di tifosi emersa a partire dagli anni Ottanta si era formata in quell’impianto, abituandosi a considerare il nome di Koch come parte integrante dell’identità del St. Pauli: politica e tradizione entravano bruscamente in contrasto.

L’indagine di Martens spacca a metà i soci del club. All’assemblea generale dell’ottobre 1997 si arriva a discutere di togliere il nome di Koch dallo stadio, ma una parte del tifo più tradizionalista si oppone. Così la riunione si trasforma in un gran parapiglia, del tutto inconclusivo. Per calmare gli animi, il presidente Hans Apel decide di contattare lo storico Frank Bajohr, giovane ricercatore presso l’Università di Amburgo ed esperto delle politiche di arianizzazione delle aziende ebraiche nella città tedesca: gli viene affidato il compito di verificare il passato di Koch e stabilire i suoi effettivi legami col Nazismo. Si va così a maggio 1998, quando Bajohr consegna il suo rapporto ai dirigenti: Koch si iscrisse effettivamente al Partito Nazionalsocialista, ma solo nel 1937 e probabilmente in seguito a un’adesione di massa imposta dal regime. Lo storico conclude che, in base alle fonti a disposizione, l’ex-presidente del St. Pauli non abbia beneficiato in maniera particolare dell’arianizzazione delle aziende voluta dal governo, e che non fosse “un nazista ideologicamente convinto né politicamente attivo”. Il caso può dirsi chiuso.
Ma per la parte più giovane e idealista della tifoseria non basta: il St. Pauli di oggi non può avere lati oscuri. Questo gruppo si riunisce attorno all’influente figura di Ronny Galczynski, un 40enne esponente di Die Grünen (l’emergente partito ecologista e pacifista tedesco) e figura di spicco sia nel quartiere che nel club, di cui è stato un giocatore delle giovanili in qualità di portiere. Si tratta di uno dei soci più importanti del St. Pauli, anche per la sua attività di giornalista: nel 1993 ha fondato Der Übersteiger, la fanzine del club nonché la prima rivista di calcio e politica in Germania, e da lì si è affermato collaborando con varie testate di Amburgo ma anche con media nazionali come Die Welt e Der Spiegel. La sua tesi è che il St. Pauli debba passare dalle parole ai fatti, che la sua anima di sinistra debba abbracciare tutto il club, compresa la sua storia: le ambiguità del passato nazista non possono essere tollerate fino al punto da dedicare il proprio stadio a un ex-membro del Partito. È un uomo idealista fino all’intransigenza, e lo dimostra il fatto che proprio in quei mesi Galczynski decide anche di abbandonare Die Grünen dopo che i vertici avevano appoggiato l’intervento militare in Kosovo, invece di sostenere la via diplomatica.
Si arriva così al turbolento autunno del 1998. Nella stagione precedente, il St. Pauli ha sfiorato il ritorno in Bundesliga, chiudendo quarto in classifica nella seconda divisione tedesca sotto la guida tecnica di Gerhard Kleppinger. Il nuovo campionato non è iniziato sotto i migliori auspici, però, e a novembre l’assemblea dei soci giunge a portare ulteriore tensione nell’ambiente: Galczynski è riuscito a trovare abbastanza sostegno da far mettere ai voti la decisione di togliere il nome di Wilhelm Koch dallo stadio. In un clima di guerra fredda, si vota: la mozione Galczynski ottiene 133 consensi, e solo 72 contrari (20 sono, invece, gli astenuti). Passa dunque la linea dei giovani idealisti, e la casa del St. Pauli torna a chiamarsi Millerntor-Stadion, dal nome della vicina porta di Amburgo, con cui era noto fino al 1970. Una decisione non senza vittime: una volta letti i risultati del voto, quattro membri del consiglio di sorveglianza del club, in disaccordo con la decisione, rassegnano le proprie dimissioni.
Ma il caso Koch ha aperto un nuovo capitolo nella storia del St. Pauli. La rimozione del nome dello storico presidente dallo stadio è solo un punto di partenza in un percorso più ampio: rivedere l’intera storia del club e prendere coscienza anche degli eventuali lati oscuri, senza minimizzarli. Il momento stesso della Germania lo richiede: alle elezioni di settembre, il partito di estrema destra Die Republikaner guidato da Rolf Schlierer ha sfondato il muro del milione di voti per la prima volta, mancando di poco l’ingresso in parlamento. Il St. Pauli inizia così un’opera di attenta rilettura del proprio passato, grazie proprio al lavoro di Ronny Galczynski e altri, e riemerge ad esempio la storia di Otto Wolff, brillante ala destra del St. Pauli negli anni Venti e Trenta e nazista della prima ora (iscrittosi al Partito addirittura nel 1930). Durante l’epoca hitleriana, Wolff fu uno dei protagonisti dell’arianizzazione delle aziende ebraiche di Amburgo e dei furti commessi dai nazisti locali ai danni delle famiglie ebree. Dopo la guerra riuscì a uscire quasi indenne dai processi, e tornò a essere un imporante socio del club amburghese, che gli conferì un riconoscimento nel 1972 e, al momento della sua morte, lo ricordò ufficialmente con un elogio sul giornale del club, senza menzionare il suo passato nelle SS.

Oggi, la storia di Wolff e delle altre pagine oscure del club durante il periodo nazista è raccontata nel museo del St. Pauli dentro lo stadio Millerntor, frutto del lavoro di ricerca di soci e attivisti, decisi a fare seriamente i conti con un passato scomodo. Nel 2010, a 19 anni dalla morte di Otto Wolff, la società ha infine deciso di privarlo del riconoscimento assegnatogli nel 1972, chiudendo un altro capitolo di questa vicenda. La fama di club di culto e di bandiera del calcio di sinistra di cui il St. Pauli gode adesso è nata allora, alla fine degli anni Novanta, quando scoppiò il caso Koch e alcuni tifosi decisero che questa polvere non poteva essere nascosta sotto al tappeto. Fin dalla sua nascita nel 1910, la società fu profondamente permeata di ideali nazionalisti e conservatori, quelli che poi pavimentarono la strada per l’ascesa del Nazismo.
Il passato finisce spesso per trovarsi in contraddizioni con il presente, ma riconoscerlo e prenderne le distanze non è impossibile. In un mondo in cui troppo di frequente non si vuole affrontare ciò che è successo in un’epoca precedente, un gruppo di tifosi di un quartiere marginale di Amburgo decisero di prendere un’altra strada. Si può sempre cambiare, si può sempre migliorare: questa è l’essenza del St. Pauli.
Fonti
–FINIZIO Massimo, Ronny, l’uomo che cambiò il Sankt Pauli, TuttoStPauli.com
–Hamburg historisch: Der Nazi-Bonze vom FC St. Pauli, Focus
–Wilhelm Koch, el presidente nazi del FC Sankt Pauli, Kodro Magazine
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