C’è un St. Pauli che sta con la Palestina

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Qualcosa si è rotto irrimediabilmente nella galassia di sinistra del calcio internazionale, nell’ottobre del 2023. La faida Celtic-St. Pauli sul supporto alla Palestina ha compromesso – forse per sempre – l’immagine di quello che fino ad allora era considerato il club più a sinistra al mondo. Gli Ultras Sankt Pauli, il principale gruppo del tifo amburghese, non sono certo l’unica formazione ultras in Germania ad avere una posizione contraddittoria su Israele, ma mentre altre hanno preferito evitare di schierarsi pubblicamente gli USP hanno ingaggiato una vera e propria guerra a distanza con la Green Brigade del Celtic Glasgow. La conseguenza è stata che molti fan-club internazionali del St. Pauli, a partire da quello della città scozzese, hanno deciso clamorosamente di sciogliersi. Da allora, il St. Pauli si è conquistato la triste fama di club sionista, perdendo molta della popolarità che aveva all’estero. Eppure, sebbene poco visibile e raccontata, una sua parte non ha mai abbandonato la causa palestinese.

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Cosa è successo a Lutz Eigendorf?

Siamo nel marzo del 2000 quando va in onda sulla tv tedesca il documentario Tod dem Verräter di Heribert Schwan. Il suo titolo, in italiano, significa “Morte del traditore”: l’opera punta a far luce su un’oscura e dimenticata vicenda di diciassette anni prima, che aveva riguardato il tragico destino di un calciatore di nome Lutz Eigendorf. Non un giocatore di pallone qualsiasi, però: Eigendorf era stato la stella della Dynamo Berlino, la squadra simbolo della Germania Est, fino a che nel 1979 non era fuggito clandestinamente nell’Ovest capitalista. Nel 1983 era morto, ubriaco, in un incidente d’auto; ma adesso Schwan rivela che le cose non andarono affatto così. Eigendorf era stato drogato da degli agenti della Stasi, il potente servizio segreto di Berlino Est, e mandato a schiantarsi con la propria auto. Una vendetta politica contro un campione che aveva osato tradire il suo paese.

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Il grande scandalo della Bundesliga del 1971

I 50 anni di Horst-Gregorio Canellas sono probabilmente la cosa più simile a un Gran Galà del calcio tedesco che ci sia. Il presidente del Kickers Offenbach aveva deciso di festeggiare in grande stile, nonostante la sua squadra fosse appena retrocessa: per celebrare mezzo secolo di vita, Canellas aveva invitato nella sua villa diversi giornalisti e dirigenti di primo piano del calcio della Germania Ovest, compreso il ct della Nazionale Helmut Schön e il segretario della Federcalcio Wilfred Straub. Mentre tutti si stavano allegramente divertendo, Canellas richiamò l’attenzione del pubblico, ma invece del proverbiale discorso per il brindisi estrasse dalla tasca un registratore e, chiesto un attimo di silenzio e attenzione ai suoi ospiti, premette il play. Nel nastro si sentono le voci di alcuni noti calciatori – Manfred Manglitz del Colonia, Bernd Patzke e Tasso Wild dell’Hertha Berlino – che via telefono chiedono a Canellas dei soldi per favorire il Kickers Offenbach nella corsa salvezza. I presenti sono attoniti; alcuni lasciano subito la festa: Schön per l’imbarazzo – Manglitz e Patzke sono due giocatori della Nazionale che tra un anno potrebbe disputare l’Europeo – i giornalisti per correre famelici in redazione. È il 6 giugno 1971, ed è appena scoppiato uno dei più grandi scandali di tutto il calcio europeo.

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Stiamo assistendo alla fine del modello tedesco?

Un terremoto sta scuotendo le fondamenta del calcio tedesco: lunedì 11 dicembre, la DFL – l’organizzazione che gestisce le due leghe professionistiche del paese – ha annunciato il raggiungimento di un accordo tra i club per l’apertura a nuovi investimenti da parte dei fondi di private equity. Un fatto storico, soprattutto per il suo aspetto implicito: le dirigenze di due terzi dei club (questa la maggioranza richiesta per il via libera) hanno preso una decisione in aperta opposizione al volere dei loro tifosi, che in Germania rappresentano una fetta consistente dei soci. Non stupisce allora che pochi giorni dopo l’associazione delle tifoserie tedesche facesse uscire un comunicato da battaglia, lanciando lo slogan “Wir werden kein teil eures deals sein!”, che si è poi visto esposto in diverse curve nel successivo turno di campionato. Numerosi gruppi ultras sono rimasti in silenzio per 12 minuti all’inizio delle partite come forma di protesta, e in alcuni casi si sono verificati lanci di oggetti in campo (palle da tennis e monete di cioccolato), che hanno costretto alla temporanea sospensione di alcuni incontri. Ma questa situazione è in realtà solo la punta dell’iceberg.

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Dalla parte del St. Pauli

Lo si era anticipato già la scorsa settimana: gli eventi del 7 ottobre hanno generato una storica spaccatura nel calcio “di sinistra” europeo, compromettendo forse per sempre la reputazione del St. Pauli di Amburgo. Nell’ultima settimana, alcuni fan club stranieri della società tedesca, come quello di Bilbao e quello di Atene, hanno annunciato il proprio scioglimento, per prendere le distanze dalle posizioni del club e dei tifosi tedeschi sul conflitto israelo-palestinese. Il rapporto tra gli ultras di Germania e il resto del tifo straniero non potrà più essere lo stesso. Tuttavia, in questi giorni si sono letti dei giudizi completamente ingiusti e fuori dalla realtà verso i tifosi tedeschi e verso il St. Pauli in particolare, per cui diventa necessario fare una riflessione e fermare alcuni punti in questo discorso.

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Il nazista del St. Pauli

Il momento non è che sia proprio uno dei migliori, con la squadra che è retrocessa pochi mesi prima in seconda divisione, però il pubblico non manca mai al Wilhelm-Koch-Stadion. La speranza è di poter riconquistare subito un posto in Bundesliga, ma in realtà i risultati sportivi in questa zona un tempo malfamata di Amburgo sono solo un corredo a tutto il resto. Nel decennio precedente, sugli spalti di questo stadio si è andato formando un agguerrito gruppo di tifosi che oscillava dalle formazioni politiche dell’estrema sinistra al movimento punk. Sono stati i primi in Germania a cacciare i tifosi di destra dagli spalti; in pochi anni si è passati da poco più di un migliaio di persone presenti fino ad avere regolarmente quasi il tutto esaurito. Ecco perché la notizia sconquassa l’ambiente come un terremoto: lo stadio del St. Pauli è dedicato a un nazista.

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Come Gazprom si è preso lo Schalke 04

La notizia dell’accordo, resa pubblica nell’ottobre 2006, era destinata a far scalpore: nel giro di cinque anni e mezzo, lo Schalke 04 avrebbe ricevuto 125 milioni di euro di finanziamento. Una cifra spropositata, nel calcio dell’epoca, che poteva non solo consolidare lo status del club, ma addirittura portarlo a un salto di qualità che avrebbe potuto portarlo a intaccare finalmente lo strapotere del Bayern Monaco in Bundesliga. La più grande sponsorizzazione della storia del calcio tedesco – polverizzato il record di Deutsche Telekom con lo stesso Bayern, che si fermava a “soli” 20 milioni di euro – nascondeva però delle insidie: era davvero saggio mettersi in affari con Gazprom?

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Sparwasser oltre Sparwasser

Jürgen Sparwasser è un nome che travalica se stesso. Travalica il suo curriculum e, a ben vedere, travalica perfino quello stesso gol che lo ha reso famoso – uno tra quattordici segnati in nazionale, e tra oltre un centinaio in carriera. Sparwasser è un mito, per un’intera generazione, è stato l’incarnazione del Davide comunista che batteva il Golia capitalista: l’autore del gol con cui la Germania Est sconfiggeva la Germania Ovest nella sua prima (e unica, avremmo scoperto poi) partecipazione ai Mondiali. In quel momento, davanti a un pallone che rotolava in rete alle spalle di Sepp Maier, il trionfo del socialismo sembrava più concreto che mai. Mito, però, deriva dal greco mŷthos, che significa “narrazione, favola”, e lascia intendere che ci sia poco di vero, sotto di esso.

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Eintracht e capitalismo

Lo Jägermeister ha una storia di quasi 150 anni, anche se poi hanno iniziato a produrlo veramente solo nel 1934, all’alba del periodo hitleriano, in una cittadina della Bassa Sassonia di nome Wolfenbüttel. È inutile stare a dire che gli ingredienti sono un segreto aziendale, ma la ditta ci tiene a far sapere che in ogni bottiglia trovate 53 erbe miscelate a frutti e spezie, messi a macerare nell’alcol. Il logo è un cervo, perché a qualcuno parve per qualche ragione appropriato un bel riferimento all’agiografia di Sant’Eustachio, un martire del II secolo che aveva avuto una visione di Cristo crocifisso tra le corna di un cervo. Il nome del liquore, tradotto dal tedesco, significa “guardiacaccia”, e su ogni etichetta ci sono dei versi di Oskar von Riesenthal, ornitologo, guardiaboschi e scrittore ottocentesco. Ormai lo trovate praticamente in ogni bar, per cui ora avete qualche aneddoto da raccontare.

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