Il 26 dicembre 2017, George Weah veniva eletto Presidente della Liberia, vincendo al ballottaggio con uno schiacciante 61% contro Joseph Boakai, il vicepresidente del governo uscente e candidato dei liberali dello Unity Party. Cambiare per la speranza era stato lo slogan della sua campagna, incentrata sulla lotta alla corruzione dilagante e sul rilancio di una delle economie più fragili al mondo. Aveva promesso di incentivare l’impresa privata, e allo stesso tempo di ridursi lo stipendio. Aveva inoltre annunciato una riforma della cittadinanza, allargandola agli altri gruppi etnici della regione e garantendo maggiori diritti alle minoranze. Ex leggenda del calcio africano, Weah si era presentato agli elettori come l’uomo che avrebbe finalmente cambiato il corso della Liberia. Ma soltanto un anno e mezzo dopo migliaia di persone erano scese per le strade di Monrovia per chiederne le dimissioni, venendo accolte dai lacrimogeni sparati dalla polizia, mentre il governo bloccava l’accesso a internet.
Nel corso degli anni Novanta, Weah era diventato un idolo della popolazione della Liberia, un paese poverissimo e travagliato dell’Africa, per lo più sconosciuto a livello internazionale. Cresciuto nella baraccopoli di Clara Town, in una famiglia povera e numerosa, aveva interrotto presto gli studi per mettersi a giocare a calcio, rivelandosi un attaccante dal talento insolitamente brillante. Poco più che ventenne si era trasferito in Camerun e da lì, nel 1988, aveva fatto il salto in Francia. In pochi anni si era affermato come uno dei calciatori più forti al mondo, giocando con il Paris Saint-Germain e il Milan e vincendo il Pallone d’Oro del 1995. Negli stessi anni, la Liberia era stata travolta da una sanguinosa guerra civile, da cui era emerso vincitore Charles Taylor, a capo di una milizia ribelle addestrata in Costa d’Avorio e responsabile di vari episodi di pulizia etnica. La sua vittoria era durata però molto poco: nel 1999, dopo tre anni di pace formale, un nuovo conflitto aveva messo in crisi il regime di Taylor, che era stato costretto a dimettersi.
Era stato a quel punto che Weah aveva deciso di impegnarsi nella politica del proprio paese, provando a capitalizzare la sua notorietà dovuta al calcio. Anche se aveva lasciato giovanissimo la Liberia per girare il mondo, Weah aveva rivestito un ruolo quasi leggendario con la maglia della Nazionale, conducendola a due storiche qualificazioni alla Coppa d’Africa, nel 1996 e nel 2002, e sfiorando per un punto la qualificazione al Mondiale di Corea e Giappone, sempre nel 2002. Negli anni tragici delle guerre civili, era stato un simbolo di coraggio, dedizione e sacrificio, accettando di giocare in qualunque posizione del campo con la Nazionale, pur di essere utile alla squadra. Terminata la carriera da giocatore nel 2003 negli Emirati Arabi Uniti, era tornato in Liberia e aveva fondato un proprio partito, il Congress for Democratic Change, per presentarsi alle elezioni del 2005. Contro di lui corse Ellen Johnson Sirleaf, un’economista laureatasi ad Harvard che aveva lavorato per la multinazionale Citibank, per poi diventare un simbolo dell’opposizione a Charles Taylor.
Buona parte della campagna elettorale aveva finito per ruotare attorno all’evidente differenza di profilo tra i due candidati. Sirleaf accusava Weah di essere un ex calciatore senza alcuna istruzione, e per questo assolutamente inadatto a guidare il paese. Weah, per contro, si era assestato su una retorica anti-intellettuali, accusando proprio quei politici di professione, con curriculum impeccabili e che avevano studiato in prestigiose scuole straniere, di avere sempre governato, senza riuscire a risollevare i liberiani dalla miseria. Sirleaf, in fondo, negli anni Settanta aveva collaborato con l’esecutivo guidato da William Tolbert, che si era segnalato per varie riforme ma anche per una violenta repressione del dissenso. L’ex attaccante prevalse al primo turno, ma finì per perdere al ballottaggio. Inizialmente denunciò dei brogli elettorali e delle intimidazioni verso gli elettori, nel tentativo di giustificare l’inaspettato ribaltamento tra le due votazioni, ma la legittimità del voto venne confermata dagli osservatori internazionali, costringendolo a riconoscere la sconfitta.

Weah non si era dato per vinto, però. Tornato negli Stati Uniti, dove ormai viveva stabilmente con la famiglia, si era ripresentato alle elezioni contro Sirleaf nel 2011, scegliendo però di fare un passo indietro e di presentarsi come vice di Winston Tubman, il nipote dell’uomo che aveva guidato la Liberia tra il 1944 e il 1971, William Tubman, durante un periodo di grande prosperità. Era stato un gesto abbastanza sorprendente, per un politico che si proponeva come esterno ai circoli intellettuali e alle dinastie politiche liberiane, e che non bastò a scalzare Sirleaf dal potere. Così, Weah aveva deciso di tentare un’altra carta, puntando a un seggio in Senato per la contea di Montserrado, dove si trova la capitale Monrovia. Nel 2014 aveva ottenuto una netta vittoria contro Robert Sirleaf, il figlio della Presidente, rinforzando le proprie rivendicazioni in vista delle nuove elezioni nazionali che si sarebbero tenute nel 2017, e alle quali Ellen Johnson Sirleaf non avrebbe potuto presentarsi, avendo raggiunto il limite di mandati. Il posto in Senato, per Weah, aveva avuto essenzialmente un valore simbolico, infatti lo si vide in parlamento molto di rado, e durante i tre anni successivi non presentò mai alcuna mozione.
Si era infine candidato alle successive elezioni con la quasi certezza di poter ottenere la vittoria che inseguiva da dodici anni, e aveva deciso di consolidare la propria proposta politica scegliendo come vice Jewel Taylor, la moglie del discusso ex Presidente Charles Taylor, che nel frattempo era stato condannato per crimini di guerra. Dopo l’alleanza con Tubman, quella con Taylor sembrava confermare che Weah, al netto di posizioni politiche molto ondivaghe e indecifrabili, ricercava i consensi soprattutto nella destra conservatrice e nostalgica dell’autoritarismo del passato. Sirleaf aveva governato a lungo, compiendo notevoli riforme sia in termini economici che di diritti civili, in particolare in relazione al ruolo delle donne nella società. I discorsi di Weah contro la corruzione facevano meno presa, in un contesto di sviluppo come quello della presidenza Sirleaf, che nel 2011 aveva pure ricevuto il Nobel per la Pace. La virata verso destra era servita a conquistare voti tra le fasce della popolazione meno favorevoli ai cambiamenti che lo Unity Party aveva realizzato in quegli anni.
A soli 42 anni, Weah diventava uno dei presidenti in carica più giovani del continente, e per celebrare il suo successo aveva organizzato una grande cerimonia d’insediamento alla quale avevano presenziato alcuni dei più noti calciatori africani dell’epoca: Samuel Eto’o, Didier Drogba, Sunday Oliseh e Taribo West. Erano stati invitati anche il presidente della CAF Ahmad Ahmad e l’allenatore francese Claude Le Roy, che lo aveva scoperto nei primi anni di carriera in Camerun. La Presidenza Weah iniziava sottolineando il suo essere un uomo di sport: la cerimonia si era tenuta all’interno di uno stadio Samuel Doe strapieno e fresco di ristrutturazione finanziata dalla Cina. A dispetto della grandi promesse di volersi dedicare ai problemi più profondi della Liberia, una delle sue prime mosse da Presidente era stata quella di concedere una prestigiosa onoreficenza nazionale al già citato Le Roy e ad Arsène Wenger, che lo aveva ingaggiato al Monaco nel 1988, portandolo per la prima volta in Europa.
Ma il prosieguo della sua esperienza al potere rivelò anche peggiore. Weah iniziò ad assegnare incarichi governativi a membri della sua famiglia o ad altri suoi associati, a firmare accordi economici ben poco trasparenti con società private, a finanziare progetti di sviluppo nella sua città natale. Mentre statue con la sua immagine venivano erette in varie zone della Liberia, decideva di ignorare totalmente i suggerimenti del Comitato per la Verità e la Riconciliazione, istituito per fare luce sugli aspetti più oscuri dei tempi delle guerre civili. Tra questi, c’era la necessità di istituire un tribunale speciale che condannasse i responsabili delle violazioni commesse in quel periodo, ma quella corte non vide mai la luce, ed era difficile non collegare questa inazione con la presenza nel governo di Jewel Taylor o di personaggi come Charles Bright ed Emmanuel Shaw, che erano stati collaboratori di Charles Taylor. Nel giugno del 2019, con l’economia in rapido peggioramento, la gente aveva iniziato a protestare per le strade di Monrovia, andando incontro alla dura repressione da parte delle forze dell’ordine.

Sebbene le proteste fossero state sostanzialmente pacifiche, i metodi del governo erano stati molto duri e decisamente sproporzionati, facendo ulteriormente crescere il malcontento. I social media erano stati bloccati per non meglio specificate “ragioni di sicurezza”, e una radio che era stata piuttosto critica nei confronti del Presidente era stata chiusa. Del tutto restio ad ammettere le proprie responsabilità e, tantomeno, a dimettersi, Weah aveva accusato l’opposizione di alimentare le proteste, e nel farlo era arrivato a incitare i suoi sostenitori a commettere azioni violente contro i suoi oppositori politici. Le proteste furono stroncate con mano pesante, ma compromisero per sempre la credibilità di Weah come leader della Liberia e come portatore del cambiamento che lui più di tutti aveva sbandierato.
Il suo governo era diventato il sinonimo stesso di corruzione. Un collegamento che divenne ancora più evidente nell’agosto del 2022, quando il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti impose delle sanzioni su tre membri di alto profilo dell’amministrazione liberiana per crimini legati alla corruzione. Sull’onda del malcontento, nell’autunno del 2023 si tennero le nuove elezioni presidenziali, che videro Weah sconfitto di misura da Joseph Boakai, con meno di 20.000 voti di differenza. In quel momento, l’ex Pallone d’Oro compì probabilmente l’unico atto politico apprezzabile della sua carriera, riconoscendo la sconfitta e invitando i suoi sostenitori ad astenersi dal ricorrere alla violenza. Il passaggio di consegne avvenne dunque in maniera pacifica per la seconda volta consecutiva: un traguardo che pochi, in Liberia, credevano davvero possibile, soprattutto dopo quello che si era visto negli anni precedenti.
Fonti
–GENOVESE-MESTER Noah, The Disappointment of George Weah, Democratic Erosion Consortium
–PAILEY Robtel Neajai, Liberia’s President Weah must be removed from power (democratically), LSE
–WEAH Aaron, George Weah’s Politics of Silence, Justice Info