La storia è nota: nel 1982 i giocatori del Corinthians ottengono dalla nuova dirigenza guidata da Waldemar Pires e Adilson Monteiro l’autogestione del club, mettendo in piedi un sistema in cui tutte le decisioni vengono prese collettivamente tramite il voto. La chiamano “Democracia Corinthiana”, e in quel momento in Brasile il Timão è l’unica istituzione democratica esistente: dal 1964 il paese è governato col pugno duro dai militari, saliti al potere con un colpo di stato. I grandi nomi della Democrazia Corinthiana sono il fuoriclasse Sócrates, di ruolo centrocampista e autentico portavoce e volto del movimento, e il giovane attaccante Walter Casagrande, emblema delle nuove generazioni, sempre più in contrasto con il regime e alla ricerca di nuove espressioni culturali. Ma al loro fianco c’è anche un difensore dalle pelle nera, molto meno celebrato fuori dal Brasile ma forse addirittura più influente degli altri due: si chiama Wladimir, è il capitano della squadra, e senza di lui probabilmente non ci sarebbe stata nessuna Democrazia Corinthiana.
Wladimir Rodrigues dos Santos era nato nel 1954 in una famiglia povera di São Paulo, e fin da piccolissimo si era appassionato al calcio. In particolare grazie alle gesta di Pelé, la star della sua infanzia ma anche un simbolo di affermazione e riscatto sociale per molti neri brasiliani. Anche per questo il giovane Wladimir divenne un tifoso del Santos, sebbene crescendo non ebbe la possibilità di vestire la maglia Meninos da Vila. Entrò invece nelle giovanili del Corinthians, affermandosi come terzino sinistro con caratteristiche tipicamente brasiliane – propensione offensiva, tecnica, ottimo passaggio ma anche tiro preciso e potente – e già a 18 anni esordì nella squadra maggiore, all’epoca allenata da Duque, per poi affermarsi titolare nel corso del 1973, quando nel frattempo in panchina di era seduto Yustrich. Poté così essere uno dei protagonisti indiscussi del trionfo del 1977 nel Campionato Paulista, che al club sfuggiva da 23 anni, vinto in finale contro il Ponte Preta.
Ma Wladimir si faceva notare anche per come si comportava fuori dal campo. Era noto che avesse idee di sinistra e si sospettava fosse vicino ad alcuni gruppi dissidenti. Era pienamente cosciente che il Brasile dell’epoca era una società implicitamente razziale e razzista, e spesso doveva averci a che fare sia in campo che nella vita di tutti i giorni. Ciò significava essere fermato per strada dalla polizia mentre camminava e costretto a mostrare i documenti (e a quel punto, riconosciutolo come un noto calciatore, veniva lasciato andare con tante scuse) oppure essere insultato in campo. Una volta, durante una partita contro il CEUB di Brasilia, si lamentò con l’arbitro di un fallo subito da un avversario, il quale si giustificò dicendogli “Che vuoi? Io sono un bianco e tu sei un nero”. Non potendo denunciare pubblicamente il razzismo imperante, Wladimir adottò una propria tattica di guerriglia in campo: ogni volta che lo discriminavano, si vendicava con un una ginocchiata o un altro colpo, lontano dalla vista dell’arbitro.
Divenne specializzato soprattutto nel trattare con l’allora presidente del Corinthians Vicente Matheus, un uomo che aveva legami molto stretti con i vertici della giunta militare. Quando c’era da discutere dei rinnovi di contratto, Wladimir sapeva far valere i propri diritti e metteva in chiaro che pretendeva uno stipendio adeguato, Matheus cercava di trattarlo con paternalismo (“Sei ancora giovane, cosa te ne fai di tutti questi soldi?”) ma lui non abboccava. Fu uno dei primissimi casi di calciatore in Brasile a considerarsi in tutto e per tutto un lavoratore prima che uno sportivo, e per tanto di avere dei diritti sindacali che doveva far rispettare. Nel 1978, quando Sócrates si trasferì al Corinthians dal Botafogo, restò subito colpito dalla personalità e dalla lucidità di visione di Wladimir, che nel frattempo era diventato il capitano della squadra. Sócrates proveniva da una famiglia benestante, che gli aveva permesso di studiare e di sviluppare una propria coscienza politica, ma in Wladimir trovò una sponda ideale per il suo pensiero, potendosi così confrontare con una persona che aveva imparato la politica provenendo da un contesto completamente diverso, una persona che aveva la prospettiva delle classi umili e dei neri razzializzati.

Insieme, Wladimir e Sócrates vinsero nuovamente il Campionato Paulista del 1979, ai tempi in cui in panchina sedeva Jorge Vieira, ma il prodotto migliore della loro collaborazione fu appunto, di lì a due anni, la Democrazia Corinthiana. Un movimento che poté nascere solo dopo i grandi sommovimenti interni al club, con i risultati deludenti del Timão nel 1981, il conseguente esonero di Osvaldo Brandão e con il discusso cambio alla presidenza del club, che vide spiccare Waldemar Pires su Vicente Matheus. Poi c’erano stati alcuni cambi nella rosa, con il debutto del giovane ribelle Casagrande ma anche con l’acquisto del numero 10 Zenon – peraltro reduce da una pionieristica esperienza in Arabia Saudita con l’Al-Ahli – che sarebbero diventati entrambi elementi attivi della Democrazia Corinthiana. E attorno a loro c’era tutto un contesto che stava cambiando, sintomo di un Brasile fatto di nuove generazioni che pretendevano diritti e libertà.
In questo clima di contestazione sociale, già nel maggio del 1980 , un anno prima della nascita della Democrazia Corinthiana, Wladimir aveva anticipato la rivoluzione interna al Timão con un’illuminante intervista rilasciata a Carlos Maranhão e pubblicata sulla rivista Placar. Il terzino paulista dichiarava il proprio sostegno agli scioperi in corso in quei giorni, ma rivelava anche chi era fuori dal campo, parlando delle sue letture preferite (Hermann Hesse ed Erich Fromm) e delle sue figure politiche di riferimento: Ernesto ‘Che’ Guevara, Martin Luther King, e anche don Paulo Evaristo Arns, l’arcivescovo di São Paulo e uno dei principali oppositori della dittatura militare. Wladimir denunciava il razzismo presente nella società brasiliana, rivendicando la necessità di recuperare una coscienza etnica nera e di riscoprire le proprie radici africane (in seguito avrebbe infatti iniziato a studiare la lingua yoruba), ma soprattutto fece un discorso estremamente avanti coi tempi in merito al maschilismo e al bisogno di riconoscere alle persone di vivere liberamente la propria sessualità, a prescindere dall’orientamento.
Molto interessanti erano anche le sue idee sullo sviluppo del calcio di quegli anni, quando confessò che se avesse avuto un figlio non lo avrebbe spinto a giocare. Wladimir contestava il fatto che il calcio brasiliano stesse diventando sempre più tattico, concedendo poco spazio alla fantasia e alla libertà dei giocatori. In particolare lui, difensore, si vedeva spesso limitato dagli allenatori nel proporsi in avanti, dato che gli veniva chiesto di agire più per distruggere il gioco avversario che per contribuire a costruire quello della sua squadra. Il calcio in Brasile stava vivendo un profondo cambiamento: il flop del Mondiale del 1974 aveva fatto emergere la volontà, da parte dei dirigenti sportivi, di sostenere un gioco più europeo, pragmatico e disciplinato. Nel 1977 era infatti stato nominato alla guida della Seleção Cláudio Coutinho, esperto di preparazione fisica e promotore di un gioco maggiormente organizzato, sullo stile olandese. A farne le spese erano stati i giocatori più anarchici del Brasile, tra cui lo stesso Wladimir: nonostante fosse uno dei migliori terzini sinistri del paese, Coutinho preferì escludero dalle convocazioni e adattare in quella posizione il centrale del Fluminense Edinho.
La Democrazia Corinthiana era quindi un’opposizione anche a questa riforma tattica e tecnica, che mirava a disciplinare i giocatori come fossero soldati, reprimendo le individualità e trasformandoli in ingranaggi impersonali di un meccanismo più grande manovrato dall’allenatore. “Fu un esercizio di cittadinanza a cui sono molto orgoglioso di aver partecipato. – avrebbe raccontato in seguito – È stato un momento storico in cui abbiamo potuto onorare il nostro status di cittadini: credo che gli atleti non possano mai sentirsi esclusi dai processi politici, in Brasile. La Democrazia Corinthiana ha fatto emergere la consapevolezza che, anche se siamo personaggi famosi, dobbiamo comportarci in modo da combattere l’autoritarismo nel mondo del lavoro e nei rapporti politici”. Non tirò la picconata decisiva al regime, ma fu parte di una serie di cambiamenti sociali che, nel 1985, avrebbero infine riportato la democrazia nel paese sudamericano.

Wladimir, la sua parte non l’ha fatta solo con la maglia alvinegra, ma anche nei ranghi del SAPESP, il sindacato dei calciatori brasiliani. Iscrittosi all’associazione nel 1978, due anni dopo ne era diventato tesoriere, e nel 1984 era stato eletto presidente. Durante la sua poco conosciuta carriera sindacale, il difensore paulista riformò completamente l’organizzazione, creando una rivista di categoria e rinforzando il suo ufficio legale, per poter meglio assistere gli iscritti nelle dispute con i club. In breve, il SAPESP passò da appena 600 membri a circa 3.000. Tra le battaglie che condusse ci furono soprattutto quella per il diritto all’assistenza sanitaria per i giocatori senza contratto e quella per il salario minimo (anche se quest’ultima ebbe poco successo, dato che i giocatori temevano che potesse alterare il sistema di valore individuale di cui beneficiavano).
Alla caduta della dittatura, ormai 31enne, Wladimir lasciò infine il Corinthians, un anno dopo Sócrates e uno prima rispetto a Casagrande. Due anni prima era anche rientrato brevemente in Nazionale, giocando una manciata di partite sotto la direzione di Carlos Alberto Parreira e figurando nella rosa del Brasile finalista della Copa América del 1983. Negli anni successivi vestì le maglie di alcune squadre minori di São Paulo, il Santo André e il Ponte Preta, per poi rientrare brevemente al Corinthians nel 1987. L’anno seguente si trasferì al Cruzeiro, con cui perse la Supercopa Libertadores contro il Racing Club, e infine nel 1989 poté vestire la maglia del suo Santos, club con cui mise a segno l’ultima rete della sua carriera da professionista. Dopo aver conquistato tre volte la Bola de Prata come miglior terzino sinistro del Brasile (nel 1974, 1976 e 1982), nel 1998 Wladimir venne eletto nell’undici ideale dei migliori calciatori paulisti della storia.
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Fonti
–VAZ Alexandre Fernandez, Wladimir, pela esquerda, Ludopédio
–Wladimir resume Democracia Corinthiana: ‘Foi um exercício de cidadania’, Corinthians.com
Be’, come avrebbe detto qualcuno, la democrazia corinthiana non cade dal cielo… 🙂
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