Roberto Baggio e la guerra civile

Il 17 maggio 1990, il giorno dopo la fine della stagione, viene sganciata la bomba che dà inizio alla guerra: Roberto Baggio, il 23enne fenomeno della Fiorentina, si trasferisce alla Juventus per 25 miliardi di lire. È un acquisto di cui si parla da mesi, ma che ha generato polemiche e proteste piuttosto accese da parte dei sostenitori viola: mai prima d’ora un’operazione di calciamercato in Italia aveva incendiato così gli animi. E, quando Baggio è ufficialmente un giocatore bianconero, Firenze esplode. In un mondo denso di iperboli guerresche come quello del calcio, questa volta le parole sono tremendamente appropriate: alle 18.30 cinquecento persone si riuniscono in piazza Savonarola, dove ha sede la Fiorentina, e iniziano a scagliare monetine e ghiaia contro l’edificio. La polizia, colta di sorpresa, è in forte inferiorità numerica: i soli quindici agenti presenti sul posto si riparano dietro le vetture e rispondono lanciando dei lacrimogeni per disperdere la folla, poi iniziano a sfoltire i tifosi a suon di manganellate. L’altra parte ripiega, raggiunge un vicino cantiere, mette mano ai sanpietrini e contrattacca. La polizia chiama i rinforzi. È il caos.

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La Juve da Trump è (purtroppo) un pezzo di Storia

Le foto della Juventus nello Studio Ovale, a fare da tappezzeria alla propaganda di Donald Trump, faranno purtroppo la Storia. Rimarranno come un tragico documento dei rapporti tra calcio e politica – ma potremmo anche dire sportwashing, anche se per una volta riguarda un paese occidentale – in uno dei momenti più tetri della nostra società. Possiamo discutere a lungo su chi abbia organizzato l’incontro, su chi era d’accordo e su chi era contrario, ma quelle foto resteranno, oscurando ogni altro discorso: nel giugno 2025, la Juventus si è prestata a un teatrino politico di Trump, tra discorsi bellicisti verso l’Iran e rivendicazioni di leggi discriminatorie che riguardano anche lo sport. Il tutto, nel già disagevole contesto di un Mondiale per Club che si gioca in un paese in accelerata fase di fascistizzazione.

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La Juventus e la rivoluzione

La storia è la seguente. È un lunedì mattina di grande fermento, a Botteghe Oscure, la sede del Partito Comunista Italiano a Roma. Si dev’essere probabilmente da qualche parte tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, ma nessuno ha mai riportato alcuna data. A tenere banco è un infervorato Pietro Secchia, il responsabile della propaganda del partito e uno degli esponenti comunisti più radicali. Secchia ha un programma politico ben preciso: il PCI deve innanzitutto organizzare una rivoluzione, se necessario anche armata, per rovesciare il governo conservatore filo-americano e imporre al potere il socialismo di stampo sovietico. Tutti, nel partito, conoscono le sue posizioni, anche se gran parte del PCI ora è più favorevole a una politica di integrazione pacifica col sistema democratico. A guidare questa fazione è il segretario generale Palmiro Togliatti, che secondo la storia, stanco della ben nota retorica di Secchia, gli rivolge una domanda provocatoria: “Cos’ha fatto ieri la Juventus?”. Secchia ammutolisce e, da non appassionato di pallone, non sa che rispondere, così Togliatti lo incalza: “E tu pretendi di fare la rivoluzione senza conoscere i risultati della Juventus?”.

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Juventus contro Galatasaray, sotto gli occhi di Öcalan

“Ora in Turchia non si può giocare una regolare partita di calcio” dice Gianni Agnelli. È la tesi che porta avanti la Juventus: la gara va spostata in campo neutro, per evidenti ragioni di sicurezza. Il comitato esecutivo della UEFA si è riunito straordinariamente il 24 novembre per decidere, appena un giorno prima della partita: il verdetto sarebbe atteso per le 15.00, ma fino alle 19.00 i dirigenti del calcio europeo stanno ancora discutendo. E se ne escono con un compromesso che non soddisfa nessuno: Galatasaray-Juventus si giocherà a Istanbul a porte aperte, ma la settimana successiva, il 2 dicembre. Alle spalle di tutto questo c’è un uomo che con il calcio non c’entra nulla: si chiama Abdullah Öcalan, ha 49 anni, ed è il fondatore del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. A sinistra è ritenuto un simbolo della lotta per i diritti umani del popolo curdo, ma la Turchia, gli Stati Uniti e l’Unione Europea lo considerano un pericoloso terrorista.

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JuventURSS

L’agosto di Torino non era decisamente come quello di Minsk, ma valeva bene una visita, soprattutto se per motivi di lavoro: la pensava così Sergej Alejnikov, centrocampista di 27 anni che stava concludendo un clamoroso trasferimento dall’Unione Sovietica al calcio europeo, firmando con la Juventus. Il suo primo contratto professionistico in carriera, visto che oltre la cortina di ferro gli atleti erano tutti formalmente dilettanti. Si respirava un’aria frizzante e ironica: la Juventus, la squadra simbolo del capitalismo italiano targata Agnelli, stava finendo nelle mani dei proletari socialisti? L’anno prima, i bianconeri si erano assicurati per 7 miliardi di lire il fuoriclasse della Dinamo Kiev Aleksandr Zavarov, ma l’ambientazione del campione era stata difficile, così Boniperti aveva deciso di affiancargli un connazionale: avevano trattato Oleg Protasov, che lo aveva sostituito a Kiev, e Aleksej Michajličenko, ma alla fine avevano ripiegato sul meno noto (e costoso) Alejnikov.

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Barzagli, il sottovalutato

È l’estate del 2008, e una squadra tedesca si presenta a Palermo con una ventina di milioni di euro: in cambio, vuole andarsene dall’Italia con due difensori, Cristian Zaccardo e Andrea Barzagli. Per qualcuno sembra un’esagerazione, specialmente per i 12 milioni che vengono proposti per il secondo, per qualcun altro un peccato, che due giocatori così debbano andarsene in un campionato minore invece che restare nella Serie A. Un anno dopo, la squadra tedesca – il Wolfsburg – alza a sorpresa il titolo di campione di Germania: Zaccardo ha giocato ventidue partite, Barzagli quarantacinque, senza mai essere sostituito. In Italia, non se ne accorge praticamente nessuno.

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I padroni del calcio: Italo Allodi

La storia è quasi da film, quella di un signor nessuno che attraverso il duro lavoro arriva sulla vetta, e di fatto scrive le pagine del calcio italiano. Non “alcune delle più belle pagine”, ma proprio tutte. Nel 1955, Italo Allodi – 31 anni, originario di Asiago e reduce da una carriera da mediano di scarsissimo valore – è segretario generale del Mantova, semisconosciuto club della IV Serie: nel giro di pochi anni, le sue mani stringeranno quelle di alcuni dei più importanti calciatori al mondo, solleveranno i trofei più prestigiosi e plasmeranno uomini destinati a dominare il calcio italiano subito dopo il suo ritiro. Continua a leggere “I padroni del calcio: Italo Allodi”

Oltre i sette scudetti consecutivi

“Abbiamo superato la più grande Juventus di tutti i tempi.” – John Elkann

I cicli sono destinati a finire, prima o poi. È solo che quel prima o poi è abbastanza opinabile, come dimostra la Juventus, che continua a non dare segni di cedimento nella sua rotta verso quello che sarebbe l’ottavo titolo consecutivo. Nei grandi campionati europei, nessuna squadra era mai stata così dominante, per meriti suoi o demeriti altrui. Nell’attesa che gli avversari storici dei bianconeri riescano a svegliarsi dal loro torpore e a restituire un po’ di alternanza in vetta alla Serie A, possiamo pensare a quei pochi cicli più lunghi – per il momento – di quello attuale della Juve. Continua a leggere “Oltre i sette scudetti consecutivi”