Quando l’URSS giocò contro il Cile di Pinochet

Cile-URSS 1973

In questo titolo c’è un errore, ci deve essere: nel 1973, l’Unione Sovietica si rifiutò di giocare contro il Cile, dopo il golpe fascista di Pinochet. È una cosa che sanno tutti. Purtroppo, di “eroi politici”, nel calcio, ce ne sono sempre stati davvero pochi, e l’URSS del 1973 non è tra questi. La storia del boicottaggio sovietico del playoff mondiale è molto nota, ma viene quasi sempre raccontata a metà e in maniera piuttosto superficiale. Tutti ricordano la partita fantasma di Santiago, a cui la squadra socialista non si presentò, ma raramente si parla della gara di andata, disputata pochi giorni dopo il golpe e alla quale l’URSS non si sottrasse minimamente. Così come, per la verità, non avrebbe voluto nemmeno evitare la partita di ritorno, se solo la FIFA avesse accettato le sue condizioni. Questa è una di quelle storie di cui c’è poco di cui essere fieri.

La squadra dell’URSS aveva vinto un girone a tre delle qualificazioni europee ai Mondiali del 1974, chiudendo davanti a Irlanda e Francia, ma aveva faticato più del previsto, esordendo con una sconfitta a Parigi. I sovietici erano una delle grandi squadre del calcio europeo: avevano vinto il titolo continentale nel 1960 e raggiunto il quarto posto ai Mondiali del 1966; nel 1970, in Messico, erano ancora arrivati fino ai quarti di finale, e due anni dopo avevano raggiunto la finale dell’Europeo contro la Germania Ovest. Ma la squadra aveva perso, per ragioni anagrafiche, alcuni dei suoi pilastri, come il difensore Murtaz Khurtsilava e l’attaccante Anatoliy Banishevskiy, e il ricambio generazionale si stava rivelando più complicato del previsto. Tra i giovani, l’unico davvero promettente era la punta Oleh Blokhin della Dinamo Kiev, che però non aveva ancora compiuto 21 anni. A complicare le cose, nel giugno del 1973 era arrivata l’improvvisa morte, a soli 55 anni, dell’allenatore Aleksandr Ponomarev, considerato uno dei migliori del paese, che aveva costretto la federazione a chiamare al suo posto il ben meno quotato Yevgeny Goryansky dello Zenit Leningrado.

In questo contesto, l’URSS era stata sorteggiata per lo spareggio intercontinentale con il Cile, in una sorta di derby socialista con la selezione del paese di Salvador Allende, in cui militavano anche alcuni calciatori esplicitamente di sinistra, come Leonardo Véliz e Carlos Caszely. Ma l’11 settembre 1973, pochi giorni della partita, il governo Allende venne rovesciato da un sanguinoso colpo di stato militare, condotto dal generale Augusto Pinochet. In Cile venne instaurato un regime autoritario fascista e anticomunista, che procedette all’arresto di numerosi oppositori politici. Di conseguenza, l’Unione Sovietica si rifiutò di riconoscere come legittimo il nuovo governo cileno (appoggiato invece dagli Stati Uniti), e interruppe tutti i rapporti diplomatici con Santiago. La partita che si sarebbe dovuta disputare a Mosca il 26 settembre aveva dunque cambiato completamente di significato.

Fosse stato per Pinochet, la selezione sudamericana non avrebbe viaggiato verso l’Europa per quella partita, ma i dirigenti sportivi cileni vicini al nuovo regime gli fecero capire che poteva essere una grande opportunità. Il Cile necessitava di visibilità e legittimità internazionale, dopo che in molti paesi occidentali il golpe era stato accolto da grandi manifestazioni di protesta. Il calcio cileno veniva da anni difficili: era uscito al primo turno dei Mondiali del 1966 e non si era nemmeno qualificato a quelli successivi. Era arrivato al playoff in maniera molto rocambolesca: inizialmente incluso in un girone a tre con Perù e Venezuela, aveva affrontato solo il primo, a causa del ritiro dei venezuelani, perdendo male in trasferta il 29 aprile e poi restituendo il 2-0 ai peruviani a Santiago. Quindi, il 5 agosto aveva prevalso in una terza partita per 2-1, ribaltando lo svantaggio iniziale. Era una squadra con pochi giocatori di valore riconosciuto, tra cui spiccavano il difensore dell’Internacional Elías Figueroa e il già citato Caszely, vincitore della classifica marcatori dell’ultima Copa Libertadores e fresco di trasferimento in Spagna al Levante.

Una manifestazione per il Cile a Londra, settembre 1974
Una manifestazione per il Cile a Trafalgar Square, a Londra, nel settembre 1974.

Due settimane dopo il golpe, si disputava dunque una partita che nessuno – né in Cile, né in Unione Sovietica – aveva davvero voglia di giocare. I giocatori sudamericani vennero spediti a Mosca con quello che era il primo volo a cui fu consentito di lasciare il Cile dopo la salita al potere di Pinochet: furono istruiti di non parlare di politica, e nella delegazione che li accompagnava furono infiltrati dei militari. Nessuno venne ad accoglierli all’atterraggio a Mosca, e gli ufficiali della dogana li trattarono con freddezza. L’unico a venire avvicinato fu Véliz, che si ritrovò a parlare con un ragazzo cileno che studiava all’Università Lumumba di Mosca. Lo studente gli domandò cosa stesse succedendo in patria, spiegandogli che suo padre era un militante comunista. Véliz, sconfortato, gli disse che era meglio per lui scordarsi di rientrare presto in Cile, per la sua sicurezza.

La Roja trascorse quei pochi giorni moscoviti in un clima di placida ostilità. La squadra alloggiava all’Hotel Ucraina, piuttosto confortevole, ma il contorno era composto da piccoli dettagli pensati proprio per farsi sentire ai cileni che non erano i benvenuti: veniva loro servito del cibo diverso da quello concordato, il pullman per accompagnarli agli allenamenti arrivava in ritardo, e il giorno in cui dovevano recarsi a visitare lo stadio prima della partita trovarono i cancelli chiusi, e furono costretti a scavalcarli. A dispetto di queste condizioni non proprio favorevoli, però, Luis Álamos preparò la gara in maniera meticolosa e impeccabile. Era già stato seduto sulla panchina della Nazionale durante il Mondiale del 1966, quindi la federazione lo aveva richiamato per tentare la qualificazione al torneo del 1974, permettendogli di continuare a guidare in contemporanea il Colo Colo, con cui proprio nel 1973 aveva raggiunto una storica finale di Copa Libertadores, la prima della storia del calcio cileno.

Álamos impostò una gara estremamente difensiva e in buona parte rinunciataria, che riuscì a frustrare gli inesperti attaccanti sovietici. Blokhin venne neutralizzato da Figueroa, migliore in campo nonostante diversi interventi ai limiti del regolamento – uno dei quali infortunò Arkady Andreasyan – e mai sanzionati dall’arbitro, il brasiliano Armando Marques. In Unione Sovietica si diffuse poi la voce che il direttore di gara, che proveniva da un altro paese governato da un regime militare fascista, fosse particolarmente ostile ai comunisti, e per questo lasciò correre ogni intervento scorretto contro i giocatori di casa. Vero o meno, il Cile lasciò lo stadio Lenin con un preziosissimo 0-0, che pochi alla vigilia potevano prevedere. A decidere chi sarebbe andato in Germania Ovest l’estate successiva, sarebbe stata una seconda partita, prevista per il 21 novembre a Santiago.

Al momento della gara di Mosca, il regime cileno aveva già iniziato a restrellare gli oppositori politici in tutto il paese, a concentrarli in alcune prigioni segrete e a torturarli. Nella capitale, una di queste prigioni era lo stadio Nacional, il principale impianto sportivo del paese: migliaia di persone passarono dallo stadio-prigione, e almeno 41 furono uccise, proprio in quelle settimane. Nei giorni che separavano la partita di andata da quella di ritorno, varie organizzazioni dei diritti umani iniziarono a denunciare che il regime di Pinochet stava usando il Nacional e altre strutture sportive per concentrare e torturare i prigionieri politici. Il Cile negò le accuse, ma le proteste in tutto il mondo si fecero sempre più intense. In questo clima, l’Unione Sovietica reclamò con la FIFA che non intendeva giocare in uno stadio in cui venivano violati i diritti umani, e l’organizzazione dovette mettere insieme una delegazione da inviare a Santiago per verificare cosa accadeva dentro lo stadio Nacional.

I prigionieri politici dentro lo stadio Nacional, con i soldati armati a circondare il terreno di gioco.

In realtà, era chiaro a tutti che l’invio di una delegazione da parte della FIFA non aveva lo scopo di appurare se i militari cileni stessero torturando delle persone dentro allo stadio Nacional, ma piuttosto di poter assicurare legittimamente che fosse tutto a posto. Il presidente dell’associazione del calcio globale era il britannico Stanley Rous, già molto discusso per il suo esplicito appoggio al Sudafrica nonostante le denunce del regime dell’apartheid. Anche per questo motivo, il rappresentante della Germania Est, Helmut Riedel, e quello dell’Ungheria, Sándor Barcs, entrambi paesi della sfera socialista, ritirarono la propria partecipazione alla delegazione. L’incombenza di visitare lo stadio Nacional fu lasciata dunque nelle mani del brasiliano Abilio De Almeida e dello svizzero Helmut Kaser, rispettivamente vice-presidente e segretario generale della FIFA. Qualunque cosa gli uomini di Pinochet stessero facendo ai prigionieri politici dentro l’impianto, De Almeida e Kaser non lo avrebbero mai potuto scoprire.

La FIFA stabilì di conseguenza che non c’erano motivi per trasferire la gara in campo neutro, in un altro paese. Solo a quel punto, l’URSS comunicò la sua decisione di boicottare l’incontro per protesta, subendo quindi una sconfitta per 2-0 a tavolino e venendo esclusa dal Mondiale in favore del Cile. Tuttavia, il fatto che il Cile fosse governato da una giunta militare fascista non aveva impedito ai sovietici di affrontarne la selezione nella gara di andata a Mosca, e, se la FIFA avesse accettato il cambio di sede, anche il ritorno si sarebbe disputato. L’opposizione dell’Unione Sovietica non era al dover affrontare la selezione di un brutale regime di destra – infatti non aveva avuto problemi a giocare contro la Spagna franchista, nella finale dell’Europeo del 1964, o contro il Portogallo salazarista, nella finalina del Mondiale del 1966 – ma solo al dover giocare nello stadio Nacional. Anche la Germania Est, che aveva sostenuto il boicottaggio sovietico e minacciato di ritirarsi dal Mondiale, presto cambiò idea: l’estate successiva, la DDR fu addirittura sorteggiata contro il Cile nel girone, e giocò la partita senza sollevare la mia rimostranza.

Cile-URSS, comunque, si giocò lo stesso. Il 21 novembre 1973, il regime cileno fece scendere in campo la Roja per un match simbolico senza avversari (ma alla regolare presenza dell’arbitro, l’austriaco Erich Linemayr). Al fischio d’inizio, i giocatori cileni avanzarono scambiandosi la palla verso la sguarnita porta avversaria, come era stato loro ordinato, e infine fu il capitano Francisco Valdés a mettere la palla in rete, ponendo fine alla farsa. “Penso che la giunta militare ci abbia sfruttati. Mi sono sentito come un pupazzo.” dichiarerà molti anni dopo Leonardo Véliz.

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Fonti

GONZÁLEZ LUCAY Carlos, A 40 años de la increíble aventura de Chile en la Unión Soviética, La Tercera

LEVENTHAL Adam, Chile’s walkover against the USSR, 50 years on – ‘The military junta used us’, The Athletic

LUSINCHI Victor, Soviet Union Kicked Out Of World Cup in Soccer, The New York Times

THOMAS Gareth, An Open Goal For Fascism: The 1973 Chile vs USSR Game That Never Was…, The Football History Boys

3 pensieri riguardo “Quando l’URSS giocò contro il Cile di Pinochet”

  1. Posso chiederti un parere? Una delle obiezioni che usualmente si oppone in questi casi è: non giocare significa però far avanzare la squadra del paese “negativo”, e dunque dargli ulteriore visibilità. Posto che è per questo che dovrebbero esistere organismi come la FIFA… tu che ne pensi?

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    1. È una questione molto complicata, ovviamente. Se giochi, di fatto legittimi il paese che viola i diritti umani. Se ti ritiri, non lo legittimi, ma gli dai la possibilità di andare avanti (vedi l’URSS col Cile). Ma, in quest’ultimo caso, lo fai anche nella speranza di rompere un tabù, e fare in modo che qualcun altro si unisca al boicottaggio, costringendo le autorità sportive (la FIFA) a intervenire per escludere il paese violatore (è quello che è successo con la Russia nel 2022, come spiegavo in un articolo di qualche giorno fa).

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