Alla fine della giornata di lavoro, il professor Salah Djebaïli uscì dall’istituto e si diresse verso la sua auto, nel parcheggio dell’Università delle Scienze e delle Tecniche di Bab-Ezzouar, nella zona est di Algeri. Appena salito in macchina, vide avvicinarsi dei ragazzi: non fece in tempo a pensare se fosse studenti che volevano parlargli o qualcun altro, che quelli aprirono il fuoco. Il rumore degli spari arrivò fino al cortile dell’università, facendo accorrere il personale della sicurezza. Salah Djebaïli giaceva nella vettura in una pozza di sangue: non respirava più, il suo battito s’era fermato. Era il terzo dirigente universitario assassinato nell’ultimo anno, ma se si consideravano tutti gli intellettuali del paese il numero delle vittime superava abbondantemente la ventina. L’Algeria era in una sorta di guerra civile.
Prima di tutto questo, Salah Djebaïli era stato un eccellente calciatore. Nato nel 1935 a Khenchela, una cittadina dell’entroterra del nord dell’Algeria, aveva sempre avuto la passione per il pallone, e da giovanissimo era stato notato dagli osservatori dell’ES Sétif, trasferendosi così 200 km a nord-ovest, in uno dei principali centri del calcio locale. Lì aveva iniziato a imporsi come uno dei principali talenti del paese, giocando come ala sinistra agli ordini dell’allenatore francese Paul Gévaudan, che aveva avuto un passato da calciatore professionista in Europa. L’Algeria era diventata un luogo pericoloso, nel frattempo: nel 1954 era iniziata l’insurrezione del Front de Libération Nationale contro i colonizzatori francesi, che avevano risposto con una repressione violenta. Gévaudan, consapevole anche delle doti sportive di Djebaïli, lo raccomandò ad alcuni suoi contatti in Francia, permettendogli di lasciare il Nordafrica e firmare un contratto amatoriale con il Nîmes Olympique, club che all’epoca militava nella prima divisione transalpina.
Djebaïli colse al volo l’occasione di vivere in Francia per proseguire i suoi studi, iscrivendosi al Lycée Daudet di Nîmes. Lì conobbe Marcel Rouvière, che fino a pochi anni prima era stato centravanti nella squadra locale e che in seguito era divenuto insegnante di educazione fisica presso l’istituto: fu proprio Rouvière a consigliargli di non abbandonare la sua passione per le scienze, portando avanti gli studi in parallelo alla carriera accademica. La vita non era semplice, per un giovane algerino in Francia negli anni della guerra tra i due paesi, ma Djebaïli riuscì lo stesso a ottenere il diploma superiore, e nel 1957 a debuttare con la maglia del Nîmes Olympique. In quel momento, Les Crocodiles erano allenati da un altro franco-algerino, l’ex-centrocampista Kader Firoud, che stava costruendo una squadra multietnica piena di talento. Grazie all’affiatata coppia d’attacco composta dal tedesco Henri Skiba e dal marocchino Hassan Akesbi, il Nîmes raggiunse nel 1958 un clamoroso secondo posto in classifica e la finale della Coppa di Francia. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, mentre Djebaïli si affermava come uno dei titolari della squadra, il Nîmes era una delle formazioni migliori della prima divisione francese, ottenendo diversi piazzamenti importanti, pur senza mai riuscire a mettere in bacheca un titolo.
La carriera di Djebaïli fu impressionante. Nella prima metà degli anni Sessanta era diventato capitano del Nîmes Olympique ed era uno dei calciatori più conosciuti in Francia, ma al tempo stesso aveva iniziato a studiare all’università, iscrivendosi al corso di biologia a Montpellier, l’istituto pubblico più vicino a Nîmes. Nel 1965 ottenne la laurea, iniziando a pianificare la sua vita dopo il calcio e a prepararsi a tornare in Algeria. Nel frattempo, nel 1962, la guerra era finita e il paese nordafricano aveva conquistato l’indipendenza. Djebaïli aveva addirittura ottenuto la possibilità di esordire con la Nazionale, disputando un paio di partite ufficiali tra il 1963 e il 1964, contro la selezione olimpica della Cecoslovacchia e contro l’Unione Sovietica. Intellettuale di sinistra che aveva sempre sostenuto la causa della libertà del proprio popolo, il capitano del Nîmes decise infine di rientrare in Algeria nel 1966. Due anni prima Firoud aveva lasciato la panchina del club, e Les Crocodiles erano entrati in declino, salvandosi due volte dalla retrocessione tramite spareggio: la squadra necessitava di un rinnovamento.

Djebaïli si accordò dunque con il MC Alger, giocando però solo una manciata di partite con la nuova squadra. La sua testa era ormai rivolta alla carriera accademica, e infatti ottenne un posto da professore presso l’Università di Algeri. Il paese aveva bisogno di giovani intellettuali come lui, per svilupparsi e mantenere le difficili promesse della decolonizzazione. Sul piano politico, le cose non stavano andando benissimo: Ahmed Ben Bella, primo Presidente dell’Algeria indipendente, era stato deposto nel giugno del 1965 dal suo braccio destro Houari Boumédiène. Era stato imposto una sorta di regime autocratico di stampo socialista, più vicino all’URSS di quanto non fosse prima con Ben Bella, finendo però per causare un crescente malcontento nelle fasce più conservatrici e religiose della popolazione. Sul piano economico, il governo aveva deciso d’investire molto sul settore petrolifero, con la nazionalizzazione dei pozzi del 1971, e su un’ambiziosa riforma del settore agricolo. In questo contesto, un accademico esperto come Djebaïli divenne subito molto importante.
Le sue ricerche si concentrarono in particolare sulla steppa, la regione semi-arida della zona meridionale del Sahara, e sul pericolo della desertificazione, ottenendo grande prestigio accademico a livello nazionale. Nel 1972 guidò la delegazione algerina a un’importante conferenza tenutasi a Stoccolma sul tema dell’inquinamento e dei rischi ambientali, durante la quale si batté in particolare su un tema: il riconoscimento del principio pollueur-payeur, ovvero che dovevano essere i responsabili dell’inquinamento a pagare per porre rimedio ai danni ecologici. Djebaïli si fece promotore di una battaglia fondamentale, all’epoca fin troppo sottovalutata fuori dal contesto accademico, per cui lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo dovesse necessariamente passare da una maggiore attenzione per i problemi ambientali. In virtù del suo lavoro, nel 1978 arrivò a essere nominato direttore dell’Istituto Nazionale di Agraria di Algeri, ma già negli anni precedenti aveva ottenuto risultati significativi, come la fondazione del Centro di Ricerca di Biologia Terrestre nel 1974, la nomina a consulente del Ministero dell’Agricoltura e la creazione del Ministero dello Sviluppo nel 1977. Infine, nell’ottobre del 1989 venne finalmente nominato rettore dell’università di Bab-Ezzouar.
Nel frattempo, l’Algeria sembrava avviata verso un futuro prospero. Nel 1978 era salito al potere Chadli Bendjedid, che aveva approvato riforme democratiche, liberando Ben Bella dalla lunga prigionia e promulgando una nuova Costituzione nel 1989, che apriva al multipartitismo. Quella mossa, però, finì per rivelare una realtà allarmante per l’establishment algerino. Alle elezioni amministrative del 1990 si verificò una larga e inaspettata vittoria del Front Islamique du Salut (FIS), un partito fondamentalista religioso. Fu solo l’antipasto di quello che sarebbe avvenuto un anno dopo, alle elezioni parlamentari: gli estremisti islamici del FIS conquistarono il 47% dei voti, doppiando il FLN. L’Algeria precipitò nel caos, e pochi giorni dopo il voto, nel gennaio del 1992, l’esercito rovesciò Bendjedid, assumendo il potere, mettendo fuori legge il FIS e arrestandone i leader. L’immediata conseguenza fu che i fondamentalisti, costretti alla clandestinità e repressi con forza, si riorganizzarono in gruppi jihadisti.
Tra queste formazioni, quella più agguerrita e radicale aveva preso il nome di Groupe Islamique Armé (GIA), che raccoglieva guerriglieri tra gli ex-volontari che avevano combattuto in Afghanistan contro i sovietici e in Bosnia contro i serbi. In particolare, il gruppo si specializzò negli attentati terroristici non solo verso funzionari politici e membri delle forze dell’ordine, ma anche nei confronti di intellettuali e accademici. Questi ultimi erano visti come la vera e propria testa del potere socialista e secolare algerino, e il principale ostacolo alla totale islamizzazione del paese. Il 26 maggio 1993 venne assassinato il poeta e scrittore Tahar Djaout, fondatore della rivista Ruptures e critico sia del governo che dei fondamentalisti religiosi. La sua morte segnò l’inizio del Decennio nero, la violenta guerra civile tra i militari e i terroristi. Il 15 giugno, Mahfoud Boucebsi – influente psichiatra che aveva dedicato molti lavori alla psiche infantile e alla questione del madri single – venne accoltellato a morte fuori dall’ospedale di Algeri in cui lavorava. Una settimana dopo toccò al sociologo Mohamed Boukhobza, sgozzato in casa propria davanti alla figlia.

Gli islamisti radicali conquistavano terreno anche ad Algeri, insediandosi in alcuni quartieri e istituzioni. Ci avevano provato anche all’università di Bab-Ezzouar, ma Salah Djebaïli era stato inflessibile: niente propaganda estremista e violenta, nel suo istituto. Presto gli erano state recapitate delle minacce di morte, così dovette assumere una guardia del corpo, che finì uccisa in un primo tentativo di omicidio. Djebaïli non arretrò di un solo passo, e continuò a portare avanti imperterrito la sua attività accademica, opponendosi caparbiamente alle infiltrazioni dei fondamentalisti nell’università. Fino a che, alla fine, anche lui non fu raggiunto dai terroristi: gli spararono mentre era in auto, assieme alla sua seconda guardia del corpo, in attesa di tornare a casa dalla moglie e dai suoi quattro figli.
I fanatici che rivendicarono il suo assassinio dissero che lo avevano fatto perché Djebaïli era “un comunista” che aveva sposato “una ebrea”. In realtà, la seconda accusa – se così si poteva chiamare – era del tutto falsa: Odile Djebaïli era una donna francese di Nîmes proveniente da una famiglia cattolica. La guerra civile durò fino alla fine degli anni Novanta, e lo Stato non si sottrasse certo a rispondere alla violenza con altrettanta violenza: quando, con la salita al potere di Abdelaziz Bouteflika, fu avviata la fase di pacificazione, i morti erano stati almeno 150.000, più circa 7-8.000 persone fatte sparire nel nulla dall’esercito. I gruppi fondamentalisti si sciolsero, molti loro leader scapparono all’estero, ma altri si ritirarono nelle regioni più meridionali del paese per riorganizzarsi. Il sogno di un’Algeria democratica, stabile e sviluppata era divenuto molto più lontano rispetto ai tempi in cui Salah Djebaïli era rientrato dall’Europa.
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Fonti
–ALGÉRIE Assassinat du recteur de l’université algéroise de Bab-Ezzouar, Le Monde
–BENNOUNE Karima, Algeria twenty years on: words do not die, Europe Solidaire Sans Frontière
–DEHBI Abdelkader, Hommage au professeur Salah Djebaïli assassiné le 31 mai 1994, Babzman
–ROGGERO Caterina, Il “Decennio nero” algerino: una ferita ancora aperta, ISPI
Certo che è inquietante pensare che i principi sostenuti da Djebaïli sono ancora ben lontani dall’essere riconosciuti come elementare buonsenso…
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