Superlega e populismo: il discorso politico nel calcio europeo

Il ritorno di fiamma – per ora molto mite – della Superlega si è consumato nella giornata di giovedì 21 dicembre 2023, quando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza contro il monopolio di UEFA e FIFA sul calcio del Vecchio Continente. Una sentenza “epocale”, secondo alcuni – principalmente italiani – alla pari del caso Bosman. La possibilità di una rinascita del progetto Superlega ha però portato con sé prese di distanza più che adesioni, e anche questa volta, così come due anni e mezzo fa, il vento della rivoluzione è sembrato piuttosto una leggera brezza. Quello che succederà non lo possiamo sapere, ma ciò che invece è successo e può essere analizzato e discusso è l’affascinante uso che le parti in causa hanno fatto del linguaggio, rafforzando stili e idee già visti nell’aprile 2021, e che mostrano una spiccata evoluzione della politica del calcio europeo verso quel populismo oggi imperante nella politica extra-sportiva.

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Il caso Demba Seck

Un giovane calciatore di Serie A, due denunce, un magistrato che potrebbe aver coperto il giocatore per ragioni di tifo, la totale indifferenza del suo club e delle istituzioni calcistiche italiane, i discorsi e le iniziative di facciata contro la violenza sulle donne. Il caso di Demba Seck, 22enne attaccante del Torino accusato di revenge porn e minacce, è un altro episodio emblematico della cultura dello stupro che pervade il mondo del calcio, che soprattutto in Italia germoglia in un sistema del tutto incapace di accorgersene, tantomeno di affrontare qualsivoglia tematica sociale. Come un anno fa con il caso di Manolo Portanova, anche oggi si è deciso di scrivere un articolo per approfondire una vicenda ancora non abbastanza nota.

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Il calcio italiano non ha la minima idea di cosa fare contro violenza sulle donne

Una maglia speciale, i capitani che leggeranno una poesia, un pallone rosso: sono queste le idee messe in campo dalla Serie A e dalla Serie B per questa giornata dei campionati, per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne dopo il drammatico caso del femminicidio di Giulia Cecchettin. Sia chiaro: queste iniziative, per quanto simboliche, è tendenzialmente sempre meglio farle che non farle, e di certo non ci si può attendere che sia il calcio a risolvere i problemi sociali del paese. Bisogna però anche riconoscere che esiste una fastidiosa stereotipizzazione nel modo in cui il principale sport italiano si confronta con questa e altre tematiche, che finisce per farne emergere l’assoluta vacuità, soprattutto davanti a casi di cronaca così sconvolgenti.

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Israele, Palestina e le contraddizioni politiche del calcio europeo

Il conflitto israelo-palestinese dura da decenni, eppure nel 2023 sembra aver raggiunto un livello di intensità del dibattito mai visto prima. La prospettiva del mondo del calcio non può che essere molto parziale e riduttiva rispetto alla complessità di ciò che sta avvenendo, ma può almeno fornire un piccolo esempio di come questo dibattito si sia radicalizzato, mettendo in crisi molti dei principi politici e dei valori che la società occidentale (e il suo sport) hanno sempre vantato. La tanto decantata separazione tra sport e politica si è infatti rivelata una volta di più del tutto inadeguata a rispondere alle necessità della società contemporeanea.

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Cosa vuole davvero l’Arabia Saudita?

Anche se il calciomercato è finito, l’Arabia Saudita aleggia ancora come un fantasma sopra l’Europa pallonara. L’ultima ricca campagna acquisti dei club sauditi, in particolare quelli controllati dal PIF, ha lasciato un segno profondo sugli equilibri e la sicurezza del calcio del Vecchio Continente, e anche se alla fine Messi, Mbappé, Kroos e Salah ha detto di non essere interessati alle offerte della Saudi Pro League, la sensazione comunque è che qualcosa di grosso sia successo, e che nelle prossime finestre di mercato questa situazione si riproporrà. Dei timori e delle speranze del calcio europeo attorno alla fragorosa irruzione saudita si è già scritto qui e qui, ma è forse giunto il momento di fare una riflessione ben più ampia su quali siano i reali obiettivi di Riad. Da un paio d’anni almeno, anche qui in Italia sia parla spesso di sportwashing, ma questo in realtà rappresenta solo una fetta della torta araba.

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L’Arabia Saudita sarà come la Cina?

Lunedì, con la notizia del passaggio di Sergej Milinković-Savić all’Al-Hilal, l’Arabia Saudita si è ripresa le prime pagine dei giornali sportivi italiani, riproponendo una domanda a cui si era già provato a rispondere: sarà lì il futuro del calcio, e non più in Europa? Da un lato abbiamo i catastrofisti, secondo cui ormai la vecchia Europa è finita e tra qualche anno finiremo a guardare su Sky i grandi campioni che giocano nella Saudi Pro League. Dall’altro, gli iper-ottismisti, secondo cui la bolla saudita è destinata a scoppiare come quella cinese (e come molte altre che abbiamo visto in precedenza, a dire il vero). Su quest’ultimo punto vale la pena fare qualche riflessione aggiuntiva, cercando di mettere in ordine similitudini e differenze, ma soprattutto ragionando in maniera equilibrata.

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I sauditi ci porteranno via il calcio?

È un timore che, più o meno consciamente, avvertiamo tutti, in questi giorni. Lo ha esplicitato abbastanza bene Jamie Carragher, ex-difensore del Liverpool e oggi noto opinionista sportivo, in un tweet con cui ha reagito al possibile trasferimento in Arabia Saudita di Bernardo Silva: “Non ero preoccupato che il campionato saudita comprasse giocatori sulla trentina, lo ero un poco con i giocatori sotto l’élite (Neves), ma se questo accade sarà un momento di svolta. I sauditi si sono presi il golf, i grandi eventi della boxe e ora vogliono fare lo stesso col calcio. Questo sportwashing deve essere fermato!”. Se è legittimo, da tifosi europei, avvertire preoccupazione nel vedere gli equilibri del calcio che si spostano verso un altro continente, tutt’altra storia è considerare questa una grave ingiustizia a cui porre un freno a livello legislativo. Proviamo allora a mettere le cose un attimo in prospettiva.

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Tutto il razzismo del caso Lukaku

Siamo ancora qui a parlare di razzismo in Serie A. Personalmente, credevo di aver concluso questa parentesi due settimane fa con questo articolo, ma negli ultimi giorni ho realizzato che non è bastato. La retorica apparentemente innocente che si è sviluppata attorno al caso di Romelu Lukaku ha messo in evidenza la necessità di destrutturare, in uno spazio più lungo di un tweet, discorsi e ragionamenti che, all’atto pratico, sono implicite legittimazioni degli episodi razzisti che ormai sono ampiamente fuori controllo nel calcio italiano. Spero che le righe che seguono possano aiutare a mettere in chiaro una volta per tutte la mia visione su questa situazione, e che possano aiutare qualche persona a ragionare un po’ sui suoi riflessi pavloviani.

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Oltre le plusvalenze

La sentenza di venerdì sera sulla Juventus, penalizzata di 15 punti in classifica per il caso plusvalenze, può diventare uno spartiacque per il calcio italiano, costringendolo a venire a patti (finalmente) con le sue problematiche, o almeno con parte di esse. E invece, almeno a poche ore dalla notizia, il dibattito pubblico sembra orientato – come troppo di frequente accade – verso un’altra direzione, degradante per tutte le parti in causa, dai club ai tifosi. Ecco allora che questa vicenda assume i contorni dell’esempio ideale di un modo di dibattere e di pensare che, nel calcio ma non solo, sta avendo risultati culturali nefasti.

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Il caso Portanova

Da qualche mese, uno dei temi che maggiormente ha fatto discutere sul profilo Twitter di Pallonate in Faccia è l’accusa di stupro ai danni di Manolo Portanova, 22enne centrocampista del Genoa. Il processo è ancora in atto, e la sentenza di primo grado dovrebbe arrivare il 6 dicembre (dopodiché probabilmente una delle parti ricorrerà in appello), ma il caso sta creando polemica anche per la decisione del Genoa di continuare a schierare il giocatore in campo, a differenza di quanto avvenuto in Inghilterra con i casi di Benjamin Mendy e Mason Greenwood. Molti dei discorsi fatti in merito a questo caso risentono innanzitutto di una mancanza di informazione su ciò che è successo. Per cui, proviamo a capire di cosa stiamo parlando e quali sono i fatti.

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