Tito contro la Torcida

La mattina del 29 ottobre 1950, la quiete della soleggiata città costiera di Spalato venne scossa dall’improvviso arrivo in città di un centinaio di studenti chiassosi come non se n’erano mai visti. Erano appena scesi alla stazione da un treno proveniente da Zagabria, e stavano attraversando la città diretti verso lo stadio Stari Plac suonando trombe, campanelli e sonagli e fischiando rumorosamente. Il loro passaggio si fece particolarmente sentire sotto le finestre di un hotel del centro, dove era alloggiata la Stella Rossa di Belgrado, ospite a Spalato in vista della partita che si sarebbe dovuta giocare di lì a poco contro la squadra locale, l’Hajduk. Questo gruppo di scalmanati portava bandiere con il bianco tipico della formazione dalmata, e rappresentava qualcosa di mai visto nel calcio balcanico. Gli studenti croati si facevano chiamare con un esotico nome portoghese, Torcida.

Erano nati pochi giorni prima, proprio animati dal clima rovente di quella partita. La scelta del nome era strettamente connessa all’insolito modo che avevano scelto per supportare la loro squadra preferita: le torcidas erano le tifoserie organizzate del Brasile, divenute celebri per il loro sostegno chiassoso e appassionato per la Seleção durante il Mondiale che il paese sudamericano aveva ospitato l’estate precedente. Per quanto i Balcani non fossero certo estranei all’animosità dei tifosi di calcio, qualcosa del genere era del tutto inusuale anche a quelle latitudini. L’idea di creare la Torcida era venuta a un ragazzo di 21 anni di nome Vjenceslav Žuvela: originario dell’isola di Curzola, al largo della costa dalmata, era uno storico tifoso dell’Hajduk trasferitosi a Zagabria per studiare ingegneria navale, così come molti suoi concittadini. Žuvela aveva sempre avuto un animo abbastanza ribelle: da liceale era finito nei guai per aver distrutto un quadro di Mussolini nella palestra di Spalato, ai tempi dell’occupazione italiana, e appena aveva potuto si era unito ai partigiani comunisti che lottavano per liberare i Balcani dall’occupazione nazifascista.

Pugile promettente, a Zagabria era presto diventato una sorta di leader degli studenti spalatini fuori sede, ed era anche stato in grado, grazie al suo carisma, di sedurre molti compagni di studi zagabresi e a convertirli al tifo per l’Hajduk. L’impresa fu agevolata dal fatto che il club dalmata era l’unico effettivamente sopravvissuto alla rivoluzione comunista del maresciallo Tito. Dopo la fine della guerra e la riunificazione della Jugoslavia sotto una repubblica socialista, le vecchie società di calcio vennero sciolte e riformate sotto una nuova identita, per cancellarne il passato spesso legato ai vari nazionalismi balcanici. Il Građanski Zagabria, che durante la guerra era divenuto il club simbolo degli Ustascia, era stato cancellato e sostituito con la Dinamo, che però ancora non era largamente popolare, nonostante la conquista dello scudetto del 1948. Per i giovani comunisti croati, l’Hajduk era certamente un club più appetibile: durante la dominazione italiana, la squadra aveva preferito sciogliersi piuttosto che accettare di giocare in Serie A; successivamente era rinata sotto l’egida dei partigiani titini, facendo anche una tournée nel Sud Italia – occupato dagli Alleati – per promuovere la causa della Resistenza jugoslava.

Žuvela era inoltre entrato in contatto con Bernard Vukas, centravanti nativo di Zagabria ma dal 1947 in forza proprio all’Hajduk. Era stato lui a raccontare ai giovani studenti dalmati dell’impressionante tifo brasiliano, che aveva conosciuto giocando i Mondiali con la Jugoslavia. Quando aveva saputo che quei ragazzi intendevano associarsi per sostenere l’Hajduk viaggiando fino a Spalato per la gara con la Stella Rossa, che avrebbe deciso lo scudetto del 1950, Vukas informò la dirigenza del club, che diede la propria benedizione all’iniziativa. Fu così che quando la Torcida arrivò davanti allo stadio con tutto il suo caratteristico baccano, e la polizia gli impedì l’ingresso allo Stari Plac se non avessero prima consegnato il loro armamentario, Žuvela ai appellò direttamente ad Ante Jurjević Baja, il presidente dell’Hajduk. Quest’ultimo era una figura estremamente influente e rispettata a Spalato, per via del suo passato da partigiano e per essere uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista Jugoslavo. Dietro il suo intervento, la polizia acconsentì a lasciare entrare la Torcida, che così fece il suo esordio sugli spalti intonando subito un rumorosissimo “Baja! Baja!”.

L’episodio del podcast sulle origini del calcio in Jugoslavia e l’epoca di Tito.

Tito aveva grandi progetti per la Jugoslavia. La sua idea era quella di riuscire finalmente a creare un paese unito, in cui la comune idea socialista riuscisse a superare i vecchi ostacoli nazionalisti che avevano fatto precipitare i Balcani nel nazifascismo, in particolare quello tra gli Ustacia croati e i Cetnici serbi. La ristrutturazione dei club di calcio serviva anche a questo: ripulire i club locali dal loro passato nazionalista. Ma la pratica era ben diversa dalla teoria: i tifosi croati lamentavano un diverso trattamento tra le loro squadre e quelle serbe, come ad esempio il BSK Belgrado. La società della capitale, in precedenza legata ai nazionalisti locali, aveva cambiato nome dopo la guerra in Metalac, ricevendo anche la nomina di Tito a presidente onorario, ma non aveva modificato né la maglia né i giocatori, e alla fine proprio nel 1950 aveva recuperato il vecchio nome di BSK. Le altre etnie jugoslave contestavano l’eccessiva centralizzazione del potere politico a Belgrado, e questo conflitto era ancora molto forte proprio nel calcio, dato che la Croazia era la regione del paese con la più lunga e solida tradizione in questo sport.

Era quindi scontato che la sfida scudetto tra l’Hajduk e i capitolini della Stella Rossa fosse qualcosa di più di una semplice partita di calcio. E il tifo caloroso della Torcida finì per scaldare ulteriormente gli animi, aiutando a confondere la rivalità sportiva con quella etnica. A un certo punto del match, la stella dell’Hajduk Frane Matošić arrivò a colpire con un pugno il rivale Bosko Stanković. Quando i dalmati segnarono il gol della vittoria nel finale, la folla invase il campo per festeggiare, costringendo le autorità a interrompere la partita. Il trionfo dell’Hajduk venne celebrato con una grande festa nella piazza cittadina, con un membro della Torcida, Žarko Štiglić, che salì su un balcone per leggere ad alta voce un necrologio della Stella Rossa. La mattina seguente, Borba – il principale quotidiano del paese, ovviamente pubblicato a Belgrado – condannò aspramente il comportamento del pubblico croato con un articolo dal titolo abbastanza esplicativo: “Non è questo il modo di tifare”.

Il resoconto della partita era piuttosto severo: accusava la Torcida di aver intimidito l’arbitro, indirizzando così il risultato della partita, e denunciava l’incosciente supporto dato dalla dirigenza dell’Hajduk a quei facinorosi. La questione traboccò immediatamente dal catino dello sport a quello della politica: Milovan Đilas, uno degli storici collaboratori di Tito, ordinò l’istituzione di una commissione d’inchiesta per fare luce sull’accaduto. Subito emersero nuovi allarmanti dettagli dietro questo nuovo fenomeno del tifo organizzato: al loro ritorno a Zagabria, i membri della Torcida erano stati accolti come eroi da una folla in festa, che comprendeva anche molti tifosi della Dinamo – tecnicamente loro rivali – e anche figure considerate nostalgiche degli Ustascia. La celebrazione aveva messo in luce una sorta di gemellaggio implicito tra Spalato e Zagabria, unite dalla comune causa croata contro i serbi. Un sentimento che emergeva anche da diverse lettere che vari tifosi inviarono all’Hajduk per congratularsi della vittoria sulla Stella Rossa.

Davanti alla commissione, Jurjević Baja cercò di giustificare quelle lettere, contro-accusando la stampa belgradese degli stessi comportamenti nazionalisti e anti-croati che venivano contestati ai suoi tifosi. Ma fu chiaro fin da subito che il clima politico non era favorevole alla Torcida. La commissione portò come prova dell’ideologia di estrema destra dei tifosi dalmati una bandiera con le lettere T e H, dove quest’ultima venne interpretata come Hrvatska (Croazia), mentre gli studenti sostenevano significasse banalmente “Hajduk”. Venne riesumato anche il sostegno di alcuni di questi tifosi al riacquisto da parte del club dell’attaccante Branko Viđak, ceduto in precedenza al Borac Zagabria e noto per le sue simpatie ustascia (al punto che il padre era stato giustiziato come nemico del popolo). Si scoprì che uno dei leader della Torcida era stato nelle SS durante la guerra, e alla fine emerse anche il discutibile passato politico di Ivica Grubišić, il segretario dell’Hajduk, che non era iscritto al Partito Comunista ma era stato invece vicino al Partito Contadino Croato, prima che venisse messo fuori legge.

La festa della Torcida nell’ottobre del 1950.

Lo scandalo della Torcida rivelava le grandi crepe nascoste sotto il velo della pacificata Jugoslavia socialista. La maggior parte delle persone coinvolte, sia tra i tifosi dalmati sia tra i dirigenti dell’Hajduk, erano figure iscritte al Partito e in alcuni casi che avevano addirittura preso parte alla Resistenza. Il comportamento più sconvolgente fu quello di Frane Matošić, una leggenda del calcio jugoslavo e un ex-partigiano, che dopo essere stato trasferito al Bologna in seguito all’occupazione italiana, era poi tornato all’Hajduk nel 1943, sposando la causa socialista. Chiamato a testimoniare al processo, l’attaccante confermò di aver dato un pugno al serbo Stanković e che il suo unico rammarico era di non averlo colpito più forte. Matošić accusò esplicitamente la commissione d’inchiesta di agire per danneggiare l’Hajduk, in alleanza con la stampa di Belgrado, e disse che l’unico motivo per cui quel processo stava verificandosi era perché alla fine la Stella Rossa era uscita sconfitta dalla partita. Dopo simili accuse, alla commissione non rimase altro da fare che espellere Matošić, il calciatore simbolo del comunismo jugoslavo, dal Partito.

Il processo alla Torcida fu uno scandalo politico-sportivo destinato a lasciare il segno, soprattutto sulla reputazione dell’Hajduk. La sua dirigenza, compreso il presidente Jurjević Baja, venne severamente redarguita per aver consentito e addirittura finanziato la formazione di un’organizzazione nemica dello Stato. Žarko Štiglić subì addirittura un processo penale, venendo alla fine graziato. Vjenceslav Žuvela, la figura più in vista dei tifosi dalmati, fu espulso a vita dal Partito e condannato a tre anni di carcere. La sua pena fu successivamente ridotta a soli tre mesi, ma per tutta la vita venne tenuto sotto controllo dalle autorità jugoslave, e la condanna subita danneggiò molto la sua futura carriera lavorativa. In tutto questo scandalo, alla fine, i leader della Torcida furono quelli che pagarono più di tutti. Matošić, nonostante il suo comportamento ostile davanti alla commissione, venne reintegrato nel Partito per volontà di Tito in persona, per via della fama da calciatore e del suo passato nella Resistenza.

Al termine del processo, la Torcida venne messa fuori legge, e da quel momento in avanti il regime jugoslavo continuò a guardare con estremo sospetto i gruppi del tifo organizzato. Ma nonostante questo, il modello lanciato nel 1950 dai tifosi dalmati era destinato a venire ripreso nei decenni successivi, sia nelle strategie di tifo sia, incidentalmente, nella fusione tra ideologia nazionalista e tifo sportivo. Žuvela fu ancora attivo politicamente durante la Primavera croata, alla fine degli anni Sessanta, e anche in seguito venne spesso associato al nazionalismo croato, sia dal potere jugoslavo che dagli stessi suoi corregionali. Morì in un incidente d’auto nell’estate del 1990.

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Fonti

-MILLS Richard, The Politics of Football in Yugoslavia: Sport, Nationalism and the State, I.B. Tauris

-PAOLUCCI Valerio, La politica nella Repubblica federale socialista di Jugoslavia: il calcio come strumento di propaganda e di controllo sociale, LUISS Guido Carli

PIEROTTI Simone, Il mito della Torcida di Spalato, Rivista Undici

Vjenceslav Žuvela, Torcida.hr

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