Raccontare il calcio femminile in Italia

Fino al 2019 circa, a pochissime persone nel nostro paese importava del calcio femminile. Da quell’estate, con l’Italia che prese parte al suo primo Mondiale dal 1999 solo un anno dopo la clamorosa esclusione dei maschi (a sua volta, la prima dal 1958), c’è stato un vero e proprio boom del fenomeno, che ovviamente vive un po’ di montagne russe con dei picchi che coincidono con i grandi eventi delle nazionali. La dimensione del successo è data soprattutto dall’impressionante quantità di haters che le calciatrici si attirano per il solo fatto di esistere, ma ciò non toglie che sempre più persone siano genuinamente interessate a questo sport, che dal 2022 ha anche in Italia un campionato professionistico. Questa crescita apre di conseguenza a una questione che viene tendenzialmente sottovalutata: chi e come si occupa di raccontare il calcio femminile in Italia?

Siamo portati a pensare che uno sport, per esistere, abbia bisogno essenzialmente di praticanti, di fan e di strutture in cui si possa giocare. Trascuriamo sempre, quasi senza accorgercene, un aspetto fondamentale: serve anche qualcuno o qualcuna che ne parli. Quando ho scoperto il calcio femminile fu in occasione dei Mondiali del 2011, che erano stati trasmessi su Eurosport, ma all’epoca quasi nessun quotidiano sportivo ne diede notizia, se non dopo la finale e la sorprendente vittoria del Giappone sugli Stati Uniti. Negli anni successivi, il movimento è andato in crescita soprattutto all’estero, e oggi il calcio femminile è trattato in maniera molto approfondita su testate come The Athletic, Guardian e Marca, solo per fare alcuni esempi. Nessuna testata italiana di primo piano copre però allo stesso modo i Mondiali in Australia e Nuova Zelanda di questa estate: nonostante le Azzurre di Milena Bertolini partecipino al loro secondo Mondiale consecutivo, e ormai la Serie A e la Champions League siano visibili anche da noi, rispetto a quattro anni fa l’interesse dei media nostrani sembra addirittura calato. Solo il 14 giugno, a circa un mese dall’inizio del torneo, la Rai ha acquistato i diritti di trasmissione di 15 delle 64 partite del Mondiale. Il tutto, mentre gli ascolti della Serie A femminile sono in crescita nelle ultime stagioni, e l’ultima partita dell’Italia agli Europei della scorsa estate è stata vista da oltre 3 milioni di spettatori.

Va da sé che, a questo punto, il racconto del calcio femminile nel nostro paese resta affidato a piccoli progetti indipendenti, con tutte le difficoltà del caso. Quelli “storici” sono il sito L Football, nato nel 2012, e il podcast Goleadora, nato nel 2021 e realizzato da Giorgia Bernardini ed Elena Marinelli (peraltro eletto Miglior Podcast Sportivo del 2022 da Il Pod). L’estate scorsa, in pieni Europei, intervistai proprio Giorgia Bernardini per il mio podcast, e tra gli argomenti che trattammo ci fu anche l’apertura alle nuove voci che il boom del calcio femminile stava comportando. Bernardini è stata una delle prime persone a occuparsi di sport femminile da un’ottica moderna, prima attraverso la newsletter Zarina e poi con Goleadora, e mi ha raccontato come per ritagliarsi uno spazio in questo settore abbia dovuto partire da zero, imparare a farsi notare in un ambiente in cui generalmente per le donne c’è poco spazio. E basta guardare un programma calcistico in tv per rendersi conto che le donne posso condurre, possono fare le vallette o le inviate, ma è quasi impossibile che facciano le opinioniste: implicitamente, non viene loro riconosciuta la competenza nel parlare di pallone. A meno che non si tratti di calcio femminile (del quale, però, parlano liberamente anche molti maschi).

“È uno spazio che ci si è potuto prendere. Uno spazio nel quale gli uomini forse non sono interessati a esserci perchè considerato ancora, purtroppo, un calcio minore” mi ha spiegato di recente Valentina Forlin. La sua esperienza nel racconto del calcio femminie è iniziata quando aveva 17 anni su una webradio locale, poi nel 2021 sul sito Riserva di Lusso e adesso cura il profilo Instagram Ceretta, un progetto estremamente accattivante sia per i contenuti che per la veste grafica, una delle più originali nell’ambito social del calcio italiano, considerando anche quello maschile. “Nella mia piccolissima bolla conosco molte ragazze e molte donne in grado di parlare con cognizione di calcio a 360°, eppure le redazioni sono formate al 95% da uomini, questo qualcosa vorrà pur dire”. Negli stessi giorni in cui discutevamo di questo, Forlin stava anche collaborando con Moris Gasparri (un’ospite fisso di Sky Sport quando si parla del calcio delle donne) a una grande guida sui Mondiali femminili del 2023, pubblicata da l’Ultimo Uomo. È un sito che probabilmente non ha bisogno di presentazioni, per cui in questa sede basta dire che è il più famoso progetto editoriale indipendente sul calcio in Italia, e il principale spazio per le nuove voci anche dello sport femminile, per cui ha già scritto pure Giorgia Bernardini.

“In Italia si parla di calcio femminile quando può essere usato per cavalcare una polemica riconducibile a un club maschile, come nel caso del gol di mano di Sembran della Juventus Women contro l’Inter, arrivato sette giorni dopo il presunto tocco di mano di Rabiot contro l’Inter maschile. Lì apriti cielo, i media si sono scatenati perchè quel genere di contenuti fa click.” – Valentina Forlin (lo screen è preso dal Corriere dello Sport del 25 marzo 2023).

“A volte sembra quasi che parlare di calcio femminile per un uomo sia una sorta di retrocessione. Anche se ancora risulta, nella percezione comune, più affidabile l’uomo che parla di calcio femminile che la donna che parla di calcio maschile” fa eco Marialaura Scatena. Da qualche anno è particolarmente attiva su Twitter a parlare di calcio, a prescindere dal genere, ma si è specializzata scrivendo di femminile, prima su un piccolo sito chiamato JZ SportNews, nel 2019, e successivamente proprio su L Football. Mi ha confessato che in realtà il suo primo pezzo è stata un’intervista fatta via chat su Facebook, quando aveva circa 15 anni, a Melania Gabbiadini (un’icona del calcio italiano e del Bardolino Verona, oltre che sorella maggiore di Manolo Gabbiadini della Sampdoria). “A scuola avevamo deciso di fondare il giornalino d’istituto perché in quel momento non c’era. Ancora prima che riuscissimo a crearlo, decisi di scriverle su Facebook. Lei fu gentilissima. Oggi, più di dieci anni dopo, mi fa anche tenerezza rileggerla, per certi tratti era come se io cercassi di imitare le domande che sentivo fare in tv”. Siccome questo è un mondo piccolo ma sempre pieno di sorprese, mentre ne parlavamo Marialaura Scatena stava anche progettando con Valentina Forlin il podcast Mondial Casa, che tratterà dei Mondiali in Australia e Nuova Zelanda e vanterà anche la collaborazione di una bravissima e nota giornalista sportiva come Alessia Tarquinio.

Forlin e Scatena (che qui mi permetto di chiamare per cognome, come ho fatto poco fa con Bernardini, per una questione di doveroso rispetto professionale) sono due tra queste nuove voci del racconto del calcio femminile italiano. Entrambe scrivono online (Marialaura Scatena ha anche realizzato in questi giorni un approfondimento per il sito Sportellate, assieme a Federico Castiglioni), ma hanno pure scelto di portare avanti un proprio discorso sui social in modalità diverse, una su Instagram e l’altra su Twitter. In un sistema mediatico che, sulla carta stampata e in tv, tende in questo momento a snobbare o comunque a sottovalutare il calcio femminile, gli spazi vanno trovati sui social, sui siti indipendenti, nei podcast. “Non esistono progetti editoriali di spicco con risorse tali da poter coprire il calcio femminile come meriterebbe. Il calcio femminile italiano dal punto di vista mediatico/informativo è ancora uno sport di nicchia e gestito dalla nicchia stessa” dice Forlin. Una cosa che si nota spesso è che questo tema assume rilevanza soprattutto quando può essere legato a tematiche sociali più ampie, che per quanto importante rischia così di togliere spazio e considerazione all’aspetto sportivo (una cosa a cui il sottoscritto accennava già nel 2019, scrivendo di Ada Hegerberg per Rivista Undici).

La questione è abbastanza spinosa, anche se poco discussa, ma di recente pure Kosovare Asllani, attaccante del Milan e della Svezia, si è lamentata del fatto di ricevere più spesso domande su ciò che accade nel mondo che sul calcio giocato. Qui più che mai si sottolinea la necessità di avere calciatori e calciatrici che si esprimono su tematiche sociali, ma è anche vero che ridurre le giocatrici alla sfera politica significa non riconoscere loro piena legittimità come sportive. “Innegabilmente le calciatrici, specialmente quelle millennials che sono le protagoniste principali dei cambiamenti in atto, sono diventate simboli di emancipazione. – conferma Scatena – Spesso si dice che ora una bambina può dare un volto al suo sogno, prima non si poteva. Sembra banale, ma fino a quindici, ma anche dieci anni fa era difficile per una ragazzina che sognava di giocare a calcio avere un’icona che non fosse il Messi o il Ronaldo di turno. Ora sembra una cosa normalissima. Questo socialmente significa tanto, soprattutto in un paese come il nostro”. “Mi chiedo se questa modalità di narrazione sia uno specchio di ciò che interessa maggiormente alle persone. – aggiunge Forlin – Credo non sarebbe giusto definire un difetto il fatto che le giocatrici vengano considerate simboli di emancipazione, ma al contempo racchiuderle esclusivamente entro questa definizione è sbagliato. Sono atlete, giocano a calcio, dovremmo essere noi appassionati/tifosi/fruitori in primis a pretendere una narrazione sportiva”.

Il problema è che affrontare il calcio femminile da un punto di vista prettamente sportivo non è affatto semplice. Banalmente, manca per le donne un sito di statistiche come Transfermarkt, che ti consente di sapere, per una giocatrice, quante e quali partite ha disputato, quanti minuti è stata in campo, quanti gol e assist ha realizzato, quanti cartellini ha ricevuto, la durata del contratto, se sia in prestito o meno, il valore di mercato… “Molto spesso ci troviamo nella condizione di conoscere il background e il vissuto di una giocatrice ma non dove giochi, come giochi, se sia forte, se sia scarsa” spiega Forlin. Scatena fornisce anche un esempio puntuale di questa difficoltà: “Per scrivere un pezzo in cui confrontare il filotto di vittorie della Juve con quello del Brescia ho guardato tutti gli highlights delle partite del Brescia, se non intere partite cercando i momenti dei gol. E va già bene perché partite del Brescia se ne trovano, altri dati sono introvabili. Anche cercare di ricostruire profili di giocatrici andando indietro negli anni, se si parla di presenze e numeri di gol, per dire, è molto difficile”. Un discorso, questo sulla disponibilità di dati e informazioni tecniche precise, che Bernardini e Marinelli facevano già un anno fa su Goleadora, parlando per esempio della confusione di molti media sul ruolo di Valentina Bergamaschi.

Aitana Bonmatí, dopo aver vinto con il Barcellona la Champions League nel 2023. “Con il calcio femminile, l’aspetto sociale lo stiamo un po’ riscoprendo, perché è più giovane, più genuino, e soprattutto è fatto da donne, subalterne da sempre in una società pensata in maniera patriarcale.” – Marialaura Scatena.

Il quadro che emerge è quindi molto complesso: il racconto sul calcio femminile in Italia è influenzato da uno scarso interesse da parte dei media tradizionali, una carenza di dati e fonti affidabili, un discorso largamente incentrato sull’aspetto sociale e poco su quello tecnico. L’impressione è che il giornalismo italiano sia ancora molto indietro, se paragonato alla crescita avuta in campo dalle nostre giocatrici. Tutto questo si interseca con il problema della sotto-rappresentazione delle donne nel racconto del calcio a 360°, che può essere migliorato ma non risolto da un aumento della rilevanza del gioco femminile, perché allora il rischio diventa (e forse sta diventando) quello di usare questa disciplina come “ghetto” per le giornaliste e le opinioniste sportive. I binari su cui viaggiare sono dunque diversi: il racconto del calcio delle donne, e il racconto delle donne del calcio.

Di sicuro, questo sport ha oggi la grande possibilità non solo di dare spazio a un movimento sportivo femminile che da tempo meritava una simile occasione, ma anche provare a rinnovare un sistema dell’informazione che, in Italia, è tra i meno variegati ed eterogenei nell’Europa Occidentale. Giorgia Bernardini, Valentina Forlin e Marialaura Scatena sono solo tre delle voci emergenti nel racconto del calcio, femminile e al femminile, di questi anni, che vanno ad aggiungersi a nomi più noti come le commentatrici televisive Katia Serra in Rai, Gaia Brunelli su Sky e Martina Angelini su La7. La particolarità delle prime tre è data dal fatto che il loro lavoro passa innanzitutto da internet, dai social, dagli articoli online, dai podcast, e non dal più convenzionale strumento televisivo, dove peraltro il calcio femminile è trattato quasi unicamente in occasione dei grandi tornei per nazionali. Questo ci dà l’idea di come stiamo parlando di uno sport che è ancora, prima di tutto, un fenomeno online, e che ha quindi il pregio di poter ancora formare il proprio linguaggio. Si tratta di una differenza sostanziale rispetto al calcio maschile, che risente ancora oggi dell’impostazione della carta stampata, volente o nolente. La grande occasione che ha oggi chi racconta il calcio femminile, al netto di tutte le difficoltà di cui si è parlato, è quella di poter realmente costruire qualcosa nel modo in cui comunicare questo sport. Come le giocatrici in campo stanno diventando dei modelli per le giovani che si affacciano al mondo del pallone, qui si possono creare modelli comunicativi per le giornaliste e i giornalisti che verranno. Un’occasione che, dunque, è anche una responsabilità, ma che personalmente ritengo sia stata posta in mani più che adeguate.

1 commento su “Raccontare il calcio femminile in Italia”

  1. “A meno che non si tratti di calcio femminile (del quale, però, parlano liberamente anche molti maschi).”. Soprattutto per dire che non è come il calcio maschile.

    Ad ogni modo, al di là delle ovvie considerazioni sul gender gap, io penso che il giornalismo non copra il calcio femminile perché sta vivendo una crisi economica tale da non potersi permettere di parlare d’altro, meglio, di pagare (e spesso poco) qualcuno per parlare d’altro che non sia un argomento “usato sicuro”, o un acchiappaclic. D’altronde, è proprio questo “cono d’ombra” ciò che permette al calcio femminile di essere anche un ambito del calcio in cui le implicazioni sociali e politiche non sono state del tutto fagocitate dagli sponsor e dai diritti televisivi. Ma ovviamente sono d’accordo con le tue considerazioni: le calciatrici dovrebbero essere considerate anzitutto delle atlete, perché il fatto stesso che non lo siano è un problema politico.

    "Mi piace"

Lascia un commento