Storia di uno stadio a Gaza

Pochi edifici raccontano l’epoca contemporanea quanto gli stadi di calcio. Luoghi di culto moderni, per dirla come avrebbe fatto Marc Augé, in cui la comunità si riunisce in un rito collettivo, che a sua volta si lega a uno dei grandi fenomeni culturali dell’ultimo secolo, lo sport di massa. Più dei templi religiosi, più dei parlamenti e delle scuole, gli stadi incarnano lo spirito, i pensieri, le passioni, le ambizioni e i desideri delle comunità che li circondano. Lo stadio Yarmouk di Gaza, oggi, abbraccia la sua comunità, spaventata e infreddolita, sfregiata e violentata come l’impianto stesso. Non si gioca più a calcio, dentro lo Yarmouk: è ridotto a una rovina, ricolmo di tende e di fame, vano baluardo contro la violenza genocida di Israele.

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Coloro che restano: le famiglie dei lavoratori migranti uccisi in Arabia Saudita

Non sappiamo ancora esattamente quanti lavoratori migranti siano morti in Arabia Saudita, mentre lavoravano per i Mondiali del 2034, ma i numeri potrebbero rivelarsi tragicamente molto elevati. Le orribili violazioni dei diritti umani sono responsabilità delle autorità saudite e della FIFA, che sta violando i propri regolamenti e principi in materia di diritti umani, come recentemente affermato da un gruppo di avvocati internazionali.

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Come il calcio è diventato il campo di battaglia delle donne in Iran

Il 2 settembre 2019, una donna di quasi 30 anni lascia il tribunale di Teheran dove sta subendo un processo per essere apparsa in pubblico senza indossare l’hijab. Il suo nome è Sahar Khodayari, laureata in lingua inglese e in informatica, tifosa dell’Esteghlal e per questo conosciuta online come Blue Girl, per via dei colori del club. Il marzo precedente si è mascherata da uomo per riuscire ad entrare allo stadio Azadi di Teheran per assistere alla partita di Champions League tra l’Esteghlal e l’Al-Ain, ma è stata scoperta e arrestata. È stata incarcerata nella prigione di Shahr-e Rey, che ospita centinaia di donne in condizioni di sovraffollamento e scarsa igiene, per poi essere rilasciata su cauzione dopo due giorni. In tribunale le hanno detto che rischia sei mesi di prigione. Quel giorno di settembre, appena fuori dall’edificio, Sahar Khodayari si cosparge di petrolio e si dà fuoco: morirà in ospedale sette giorni dopo.

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Un anno di calcio e guerra in Palestina

Il 13 ottobre 2023, sei giorni dopo gli attacchi di Hamas e l’immediato inizio dei bombardamenti israeliani, l’IDF iniziava l’invasione della Striscia di Gaza. Nei dodici mesi successivi abbiamo assistito al contatore dei morti che saliva, a quello dell’umanità che scendeva, a parole dei governi internazionali che quasi mai sono andate a combaciare coi fatti. E, in tutto questo, il calcio non è potuto restare indifferente a quello che è solamente l’ultimo capitolo di una delle più lunghe tragedie della storia contemporanea, con buona pace di chi crede che lo sport e la politica debbano restare separati. Quello che segue è un tentativo di razionalizzare i fatti principali di quest’anno dal punto di vista calcistico, il giorno prima della discussa trasferta di Israele a Udine contro l’Italia, prima della quale nella città friulana si terrà un corteo di protesta (dopo che il 5 ottobre una manifestazione per la Palestina a Roma è stata teatro di repressione e di scontri con la polizia).

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Cosa significa giocare a calcio da arabi in Israele

Proprio nei minuti finali della gara contro l’Italia, con un tiro preciso e inaspettato il centrocampista Mohammad Abu Fani ha trovato il gol della bandiera per Israele, nella seconda gara del girone di Nations League. Al di là dell’aspetto puramente sportivo – e scarsamente rilevante in termini di risultato – questo gol ha avuto un peso soprattutto per via del suo autore, un mediano di 26 anni di origini arabe. Abu Fani è solo l’ultimo esempio di calciatore arabo nato e cresciuto in Israele e che ha deciso di rappresentare la selezione di Tel Aviv, con una scelta che a molti può risultare incomprensibile – se non proprio criticabile – visto ciò che da un anno sta accadendo nella Striscia di Gaza, e in generale visti i rapporti storici tra Israele e Palestina. Eppure le storie dei calciatori arabi-israeliani meritano di essere riportate nella loro interezza, perché raccontano molti aspetti di questo confitto etnico: a volte celebrati in quanto simboli di integrazione, ma in buona sostanza ignorati quando denunciano il razzismo subito; idoli dei tifosi arabi che vivono in Israele, ma allo stesso tempo anche guardati con sospetto dai palestinesi d’oltre confine e da chi ne sostiene la causa.

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Al-Jaber, il primo saudita del calcio europeo

L’Arabia Saudita, per i tifosi di calcio europei, era una galoppata, gesto tecnico ideale in un paese rinomato da secoli per i suoi eleganti cavalieri beduini. La galoppata era quella di Saeed Al-Owairan dentro la metà campo del Belgio ai Mondiali del 1994, che era valsa al trequartista dell’Al-Shabab il nomignolo di Maradona del deserto, e che aveva condotto la Nazionale araba a un’incredibile qualificazione agli ottavi di finale del torneo. Ma all’epoca il calcio europeo non era ancora pronto ad accogliere un calciatore arabo, e comunque la legge in Arabia Saudita impediva il trasferimento all’estero dei calciatori, una misura protezionistica che aveva permesso però una forte crescita del calcio locale nei dieci anni precedenti. Qualche anno dopo il regolamento fu derogato, per internazionalizzare il football saudita, ma per l’ultratrentenne Al-Owairan – che nel frattempo non aveva proprio brillato ai Mondiali del 1998 – era troppo tardi. La strada dell’Europa sarebbe allora stata imboccata dal suo erede, Sami Al-Jaber.

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AHN. Una storia di calcio, xenofobia e populismo

Mancano tre minuti ai calci di rigore quando Ahn Jung-hwan segna il gol più importante della sua carriera: un cross dal centrosinistra, e lui – misconosciuto attaccante di 1 metro e 77 – stacca benissimo, prendendo il tempo addirittura a Paolo Maldini – che gli darebbe 9 cm piedi a terra – e insacca il gol del 2-1. Per le regole del 2002, è golden goal: la Corea del Sud elimina l’Italia agli ottavi di finale dei Mondiali. E dire che la partita, per Ahn, era iniziata malissimo, sbagliando un rigore dopo pochi minuti che avrebbe potuto portare avanti i suoi. Invece aveva poi segnato Vieri, e gli Azzurri avevano più di una volta sfiorato il raddoppio, prima di venire riacciuffati quasi nel recupero da un tiro di Seol Ki-hyeon, liberato da un goffo intervento di Panucci. Poi ancora vari errori dell’Italia ai supplementari, tensioni con l’arbitro Byron Moreno – che espelle inspiegabilmente Totti, il quale invece sostiene d’aver subito un fallo da rigore – e alla fine l’insperata occasione del riscatto. Un gol che cambierà la sua vita, ma non in meglio.

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Il Giappone alla Copa América

Al sesto minuto della prima gara allo stadio Defensores del Chaco di Asunción, Wagner Lopes segnava un gol storico, bucando la porta di Óscar Ibáñez, estremo difensore del Perù. Era la prima rete segnata nella Copa América del 1999, e l’aveva firmata un brasiliano: Wagner Lopes aveva 30 anni, faceva l’attaccante ed era nato a Franca, nello stato di São Paulo, ma in Brasile non lo conosceva praticamente nessuno. Cresciuto nei bianco-rosso-neri paulisti nella seconda metà degli anni Ottanta, era presto emigrato per giocare all’estero, e non aveva più fatto ritorno nel suo paese natale. Quella rete, infatti, Lopez non l’aveva segnata vestendo la maglia del Brasile, e neppure di una squadra sudamericana: era l’attaccante del Giappone. Il primo gol asiatico della storia della Copa América l’aveva segnato, ironicamente, un brasiliano.

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Israele verrà davvero sospeso dalla FIFA?

Lo scorso 17 maggio, Gianni Infantino è riuscito a mettere la palla in corner. Sappiamo tutti che evitare un gol, però, non significa automaticamente non subire gol nel prosieguo della partita, né tantomeno uscire vincitori dall’incontro. Nonostante questa grande giocata, il momento della verità è solo rimandato. Stiamo parlando del voto sulle sanzioni alla Federcalcio israeliana IFA, richieste da tempo dalla PFA, cioè l’omologa palestinese, e appoggiate dai vertici della AFC, la confederazione asiatica. Al Congresso della FIFA di metà maggio si sarebbe dovuto votare a questo proposito, ma Infantino è riuscito a prendere tempo, annunciando che la questione verrà affidata a un comitato di esperti legali e discussa nuovamente in un Congresso straordinario fissato per il prossimo 20 luglio. La decisione, dunque, è solo rimandata di pochi mesi, comprensibilmente dopo gli Europei.

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Una mappa del tifo politico del calcio in Israele

Giovedì sera un gruppo di tifosi del Maccabi Tel Aviv, in trasferta ad Atene per una gara di Conference League contro l’Olympiakos, ha aggredito una persona che sembra portasse con sé una bandiera palestinese. Il fatto ha riportato l’attenzione sulla politicizzazione del calcio in Israele, un argomento generalmente poco conisciuto in Europa se non per alcuni casi eclatanti, come quello dell’Hapoel Tel Aviv (per via del noto gemellaggio col St. Pauli) e quello, di segno ideologico totalmente opposto, del Beitar Gerusalemme. In realtà la mappa del tifo politico in Israele è ben più variegata, e per certi versi anche molto distante dallo stesso fenomeno in Italia e in buona parte dell’Europa, dove di solito i club di primo piano sono quelli coi tifosi ufficialmente meno schierati. In Israele, invece, sono proprio le squadre più seguite quelle che hanno le caratterizzazioni politiche più evidenti.

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