L’Europeo che cambiò la Grecia

Dieci anni dopo essere stato premiato come miglior giocatore degli Europei, ed essere poi arrivato addirittura quinto nella classifica del Pallone d’Oro – davanti ad Adriano, Nedvěd, Rooney, Cristiano Ronaldo, Kaká e altri ancora – Theodoros Zagorakis era di nuovo sulla bocca di tutti, ma in una situazione del tutto diversa rispetto alla prima volta. Era infatti stato eletto deputato alle elezioni europee con Nea Dimokratia, il partito conservatore greco, in un momento in cui il paese intero era allo sbando. In appena dieci anni, la Grecia era divenuta irriconoscibile rispetto allo stato sorprendente e ambizioso che era stato quando Zagorakis aveva alzato al cielo la coppa intitolata ad Henri Delaunay. Paradossalmente, proprio l’ex-centrocampista e il suo partito erano le uniche cose in cui buona parte dei cittadini sembravano ancora poter riporre la propria fiducia.

La Grecia s’era qualificata per gli Europei portoghesi nell’ottobre 2003, peraltro in maniera del tutto inaspettata. Non partecipava alla fase finale di un grande torneo dai Mondiali del 1994, e a quella degli Europei dall’edizione del 1980; ma soprattutto era riuscita a staccare il pass per Lisbona addirittura vincendo un girone in cui figuravano pure l’Ucraina di Shevchenko e la Spagna, sconfitta a Saragozza a giugno grazie a una rete di Stelios Giannakopoulos del Bolton. Il merito era stato non solo di una delle migliori generazioni di giocatori che il paese ellenico avesse mai sfornato – Dabizas, Dellas, Charisteas, Nikolaidis, Vryzas, Tsiartas, Karagounis – ma anche della scelta in panchina del pragmatico Otto Rehhagel, ex-tecnico del Werder Brema dei primi anni Novanta, con cui vinse anche una Coppa delle Coppe, e soprattutto del miracolo Kaiserslautern, con cui nel 1998 vinse uno scudetto da neopromossa. L’entusiasimo per il ritorno in un grande torneo andava di pari passo con l’imminente organizzazione delle Olimpiadi ad Atene, ottenuta nel 1997 e che aveva già radicalmente cambiato il volto della capitale ellenica.

Era un Grecia che sognava in grande: le Olimpiadi erano il principale lascito del PASOK, il partito socialista locale che era stato al potere ininterrottamente dal 1990 e aveva investito sulla trasformazione della Grecia in un paese moderno e dall’economia solida e strutturata. Il calcio, con la sua storica qualificazione agli Europei, sembrava poter dare ulteriore seguito alle ambizioni dei socialisti ellenici. Nel frattempo, però, quest’aria di cambiamento aveva contagiato gli elettori in maniera inattesa, che adesso sembravano voler rompere con la tradizione del PASOK, dove nel frattempo l’ex-Primo Ministro Costas Simitis aveva lasciato la guida del partito a George Papandreou, l’ultimo rampollo della famiglia che da sempre aveva avuto in mano l’ala più progressista della politica greca. Così, il 7 marzo 2004 fu Kostas Karamanlis – anche lui discendente da una stirpe di politici, in questo caso legati a Nea Dimokratia – a venire eletto, per giunta con ampio margine. Un risultato confermato, in maniera anche più netta, alle elezioni europee di giugno.

Il calcio aveva indirettamente influenzato molto quest’ultima vittoria, almeno a livello psicologico. Proprio la sera prima del voto, gli Europei erano iniziati a Porto nella maniera più sorprendente, con la Grecia che si era imposta per 2-1 sui padroni di casa, grazie alle reti di Karagounis e Basinas. “Con questa storia vittoria, la Grecia si è guadagnata il rispetto dell’Europa” aveva commentato, subito dopo il fischio finale e a poche ore dall’apertura delle urne, il Primo Ministro Karamanlis. L’eccezionale concomitanza tra Europei ed europee non aveva fatto che confermare che il paese ellenico stava entrando in una nuova emozionante fase storica. Il 4 luglio, la squadra di calcio batteva di nuovo il Portogallo, questa volta grazie al gol di Charisteas e in finale, conquistando il suo primo titolo in assoluto. Ad agosto, tutto il mondo guardava ad Atene, con gli atleti e le atlete di casa che riuscivano a ben figurare, raccogliendo in tutto 16 medaglie, di cui 6 d’oro. A quel tempo, nessuno si era ancora posto il problema di come sarebbero state utilizzate, dopo la fine dei Giochi, le molte strutture costruite per l’evento e che erano costate più di 7 miliardi di euro. Una soluzione – si pensava – sarebbe stata trovata, grazie ai tanti nuovi introiti dovuti al turismo, come era avvenuto con Barcellona nel 1992. Iniziava invece il disastro.

Il trionfo europeo della Grecia del 2004.

I governi del PASOK avevano sottovalutato l’impegno per ospitare le Olimpiadi: presto ci si era accorti che il paese non era in grado di completare i lavori nei tempi prestabiliti, almeno con le sue sole risorse. Erano stati chiesti diversi prestiti per coprire le spese e arrivare pronti per il via dei Giochi, convinti che poi l’economia sarebbe cresciuta abbastanza da riuscire a ripagare tutto senza grosse difficoltà. Il 12 ottobre 2005 era arrivata la prima brutta notizia: i campioni d’Europa in carica mancavano clamorosamente la qualificazione ai Mondiali, chiudendo addirittura al quarto posto nel loro girone. Rehhagel, con cui la Grecia aveva un enorme debito – solo di riconoscenza, almeno in questo caso – rimase alla guida della Nazionale, portandola poi a qualificarsi agli Europei del 2008 e ai Mondiali del 2010, scrivendo così la storia di un periodo tutto sommato d’oro della squadra ellenica, sebbene ormai il ciclo dei campioni d’Europa fosse svanito per ovvi limiti anagrafici. Nel 2007, nel frattempo, Zagorakis aveva appeso gli scarpini al chiodo, per diventare presidente del PAOK Salonicco, che allora versava in cattive acque in termini economici. Un problema che sarebbe presto diventato drammaticamente comune in tutta la Grecia.

La crisi finanziaria del 2008 si trasmise, tempo un anno, all’Europa, e quello ellenico si rivelò subito l’anello più debole dell’Eurozona. Nel frattempo, la politica locale aveva subito un nuovo ribaltamento: il governo di Karamanlis si era trovato subito in difficoltà, dopo la sua luna di miele, e nel 2007 aveva dovuto difendersi nelle elezioni anticipate. Nell’ottobre del 2009, Nea Dimokratia aveva deciso di tornare alle urne per consolidare la propria maggioranza e rilanciare l’economia greca, che stava iniziando a rallentare, e invece le nuove elezioni si erano tradotte in un crollo del partito e nel ritorno al potere del PASOK di Papandreou. Era stato proprio il nuovo Primo Ministro, però, a rendere finalmente pubblica la verità che fino a quel momento la politica aveva taciuto: la Grecia stava annegando nei debiti, che ammontavano già a 300 miliardi di euro; i veri numeri della crisi greca erano stati tenuti segreti dai governi precedenti e addirittura falsificati, così da permettere al paese di entrare nell’euro nel 2000. Il piccolo miracolo greco, che aveva portato alle Olimpiadi di Atene e che era stato simbolicamente incarnato dalla vittoria degli Europei, era stato una colossale truffa.

Una nuova parola – stranamente di origine russa – divenne famigerata in tutto il continente: troika, per indicare i tre soggetti chiamati a gestire la crisi economica greca, ovvero Commissione europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Toccò varare due differenti piani di ristrutturazione del debito pubblico ellenico, tra il 2010 e il 2012, per provare a salvare il paese, ma in entrambi i casi i sacrifici richiesti alla già provata popolazione greca furono enormi. Un secondo nome iniziò a circolare , in quegli anni: Chrysí̱ Av̱gí̱, o più semplicemente Alba Dorata. Un partito neonazista che, alle elezioni di giugno del 2012 (tenutesi appena un mese dopo un altro inconcludente voto) arrivò a conquistare 21 seggi al parlamento, in cui entrava per la prima volta. Alba Dorata era nata come movimento politico attorno a una rivista di nostalgici della dittatura militare, poi aveva avuto una breve infelice esperienza come partito politico, quindi si era sciolto riformandosi come Galazia Stratia, un gruppo di ultras della nazionale ellenica. Pochi mesi dopo la vittoria degli Europei lusitani, la Grecia aveva perso una delicata partita a Tirana, e i membri di Galazia Stratia avevano fatto partire delle ronde per Atene, aggredendo vari immigrati albanesi.

Dagli spalti degli stadi di calcio, Alba Dorata era risorta, cavalcando proprio le fortune della Nazionale dei primi anni Duemila e diventando anche una sorta di “palestra di militanza”, per poi tornare attiva anche come partito. Nel marzo 2013, il giovane centrocampista dell’AEK Atene Georgios Katidis decideva di arringare il suo pubblico dopo un gol facendo un saluto fascista, che aveva visto in un video di un comizio di Alba Dorata. Purtroppo per lui, il tifo dell’AEK è di tutt’altra tendenza politica, e quel gesto segnò la fine non solo della sua esperienza nel club, ma di fatto anche nel calcio greco di alto livello, perché la Federcalcio decise di bandirlo a vita dalle selezioni elleniche. Nel frattempo, l’estrema destra non era l’unica novità della politica greca: il PASOK era stato praticamente annientato in termini elettorali, additato come principale responsabile della crisi. Nea Dimokratia strenuamente resisteva come principale forza conservatrice moderata del paese, mentre a sinistra era emersa la coalizione Syriza di Alexis Tsipras, abbastanza marginale prima della crisi ma che, in seguito ad essa, aveva saputo addirittura scavalcare il Partito Comunista KKE e, durante le europee del 2014, diventare la prima forza politica in Grecia.

Zagorakis oggi, nella sua carriera da politico europeo.

In tutto questo, Zagorakis venne eletto al parlamento europeo nelle fila di Nea Dimokratia. Il partito del centrodestra ellenico era stato ancora il più votato nel 2012, grazie anche alla nuova leadership di Antonis Samaris: chi meglio di un ex-Ministro delle Finanze (tra il 1989 e il 1992, prima che il debito pubblico sfuggisse di mano) per salvare la Grecia? E chi, pensò poi Samaris, meglio dell’eroe che ha vinto gli Europei del 2004 per raccogliere il sentimento di speranza dei cittadini per il futuro? Erano entrambi due simboli di un paese incredibilmente distante nel tempo, due rappresentanti di un’età dell’oro che tutti si ricordavano di aver vissuto e a cui si voleva disperatamente fare ritorno. Un ritorno a un passato conosciuto, contrapposto al salto nel vuoto, a sinistra o a destra, sbandierato rispettivamente da Syriza e da Alba Dorata.

In realtà, Samaris e Zagorakis insieme non hanno fatto molta strada. La vittoria elettorale di Syriza nel 2015 ha segnato il tramonto del nuovo leader di Nea Dimokratia: il suo erede, Kyriakos Mitsotakis, nel 2019 ha riportato i conservatori al governo, dopo il fallimento delle promesse di riforme di Tsipras. Nello stesso anno, Zagorakis ha visto confermare il suo mandato da parlamentare europeo, per poi entrare in conflitto con Mitsotakis per via del tentativo del governo di far retrocedere d’ufficio il PAOK Salonicco per delle gravi irregolarità. L’accusa era che Ivan Savvidis, il proprietario del club a cui Zagorakis ha legato gran parte della sua carriera da calciatore e poi da dirigente, sarebbe stato segretamente proprietario anche di una seconda società della massima divisione, lo Xhanti. Per protesta contro il suo partito, l’ex-campione d’Europa ha deciso infine di abbandonare Nea Dimokratia, e dopo un breve periodo da indipendente ha deciso di aderire al PASOK (che nel frattempo sta rinascendo: alle ultime legislative è tornato a essere il terzo partito del paese). Nel 2024, a vent’anni dall’Europeo vinto in Portogallo e a dieci dalla sua prima elezione a Strasburgo, Zagorakis ci ha provato di nuovo, ma questa volta non è gli è andata bene. Il dominio politico del centrodestra ellenico sembra sempre più solido, ma il vero problema è che l’elettorato pare ormai ampiamente disilluso, specialmente quando si parla di Europa: nel 2004 andò a votare il 63% dei greci; vent’anni dopo, è stato appena il 41%. Non batsa l’appeal di una leggenda del calcio per cambiare le cose.

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Fonti

Grecia, le tappe della crisi del debito, Euronews

PIETRELLA Francesco, TAGLIAGAMBE Carlo, Zagorakis: “Vent’anni fa nessuno ci credeva e vincemmo l’Europeo. Ora ci riprovo in Parlamento”, La Gazzetta dello Sport

SMITH Helena, Athens 2004 Olympics: what happened after the athletes went home?, The Guardian

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