Il dibattito in Francia era particolarmente acceso: da un lato, c’era chi riteneva il passaggio al professionismo economicamente insostenibile per i club, col rischio che avrebbe potuto essere non il rilancio, ma addirittura il capolinea del calcio nazionale. Dall’altro, il fronte favorevole rivendicava la necessità di riconoscere contratti e stipendi regolari ai giocatori, mettendo la Francia in linea con la modernità, con un provvedimento che era già stato preso non solo nel Regno Unito o in Nord America, ma addirittura in Austria, in Ungheria, in Italia, in Spagna e in vari Paesi del Sudamerica. Di questa fazione, tra tanti stimati calciatori bianchi, c’era anche un nero, Raoul Diagne, e – incredibile ma vero – era forse il più influente di tutto il gruppo. Fu in buona parte merito suo, se nel 1932 la Francia accettò il professionismo dei calciatori.
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Noi siamo la Francia
Il 6 maggio la Francia sceglierà il suo nuovo presidente, e per la seconda volta nella storia al ballottaggio concorrerà un candidato di estrema destra: l’ascesa di Marine Le Pen è il segno di un paese (e di un’Europa intera) che sta virando verso il razzismo, laddove la coesione sociale tra bianchi e neri vige da sempre e la sfida dell’integrazione sembrava essere stata vinta. La Francia che ha ottenuto grandi successi nel calcio (e non solo, ovviamente: ma questo è soprattutto un blog sul calcio) grazie a “compatrioti acquisiti” è stata dimenticata in favore di una retorica razzista: niente scuole pubbliche per gli stranieri, nuove tasse sui lavoratori non francesi, chiusura dei confini nazionali, e tutto il resto del copione. Continua a leggere “Noi siamo la Francia”