“Vi scrivo per invitarvi formalmente a una partita di calcio fra la vostra squadra e la nazionale dell’EZLN in luogo, data e ora da definire. Visto l’affetto che abbiamo per voi, siamo disposti a non sommergervi di gol”. Con queste parole, il 10 maggio 2005, un rivoluzionario conosciuto come Subcomandante Marcos invitava l’Inter di Milano a una storica amichevole nel Chiapas, una delle regioni più povere e remote del Messico. Il tono, volutamente provocatorio, era ormai noto a tutto il mondo: i comunicati di Marcos erano brevi pezzi di letteratura, coscienza politica e auto-ironia che lo avevano reso celebre in ogni angolo del globo, sebbene nessuno sapesse quale che faccia avesse né quale fosse il suo vero volto. Pochi giorni dopo, il presidente dell’Inter Massimo Moratti rispondeva a quella lettera: “Stimato Subcomandante, giocheremo e sarà una gran partita. Su un prato, come facevamo da bambini. O su un rettangolo disegnato col gesso sopra la terra, con la polvere che si alza fino a farti tossire. Di stanchezza, ma felici”.
Continua a leggere “L’Inter, l’EZLN e il sogno della rivoluzione intergalattica del calcio”Tag: Italia
1980: il Mundialito della Vergogna, della P2 e di Berlusconi
Davanti a una folla di 65.000 spettatori, nell’appena rinnovato Estadio Centenario di Montevideo, l’Uruguay scendeva in campo contro i due volte vice-campioni del mondo dell’Olanda, in quello che era il grande evento dell’estate sudamericana. Si trattava di un torneo mai visto prima, una competizione strana che i tifosi di tutto il mondo si erano visti recapitare sotto il naso senza aspettarselo, ma che era stata accompagnata da una tambureggiante campagna promozionale, soprattutto in Italia. Era la Copa de Oro de Campeones Mundiales, ma generalmente se ne parlava come del Mundialito, il “piccolo Mondiale”, che si giocava a metà strada tra Argentina 1978 e Spagna 1982. Le autorità uruguayane lo avevano voluto per celebrare i 50 anni trascorsi dalla prima storica edizione della Coppa del Mondo, tenutasi proprio nel paese rioplatense nel 1930. Ma, anche se pochi ne parlavano, era il torneo che doveva celebrare la dittatura fascista al potere ormai da sette anni.
Continua a leggere “1980: il Mundialito della Vergogna, della P2 e di Berlusconi”No, Mussolini non odiava l’Inter
Sarà la trascinante campagna promozionale della nuova serie di Sky M- Il figlio del secolo, ma nelle ultime settimane è tornata a circolare online una vecchia storia, secondo cui Benito Mussolini “odiava” l’Inter. La riprova sarebbe data da vari episodi avvenuti ai tempi del regime fascista: il cambio di nome in Ambrosiana, l’addio agli storici colori nerazzurri e, secondo alcuni, addirittura l’opposizione dei dirigenti interisti al Fascismo. È però bene fugare subito ogni dubbio: in questa storia non c’è praticamente nulla di vero. E non potrebbe essere altrimenti, dato che soprattutto nel mondo del calcio di alto livello – che era poi il mondo dell’imprenditoria italiana, specialmente nel Nord – il sostegno al governo di Mussolini era pressoché totale. Ma spieghiamo meglio.
Continua a leggere “No, Mussolini non odiava l’Inter”Come sarebbe un Black History Month del calcio italiano
Ottobre, nel Regno Unito, è il mese dedicato alla celebrazione dell’eredità nera nel paese, il cosiddetto Black History Month. Anche il mondo del calcio partecipa tradizionalmente all’evento, con i club che ricordano i loro grandi campioni afrobritannici del passato. La stessa iniziativa è presente negli Stati Uniti e in Canada, anche se si svolge a febbraio e, ovviamente, vede altri sport in primo piano. Non c’è invece nulla di simile in Italia (ma neppure in altri paesi non anglosassoni, come la Francia), sebbene le persone nere siano presenti nella Penisola fin dall’epoca romana, e alcune hanno anche avuto un ruolo determinante nella storia del nostro paese (si pensi all’eroe risorgimentale Andrea Aguyar). Questo non impedisce di poter provare a tracciare una bozza della black history almeno del calcio italiano (per una storia nera italiana più ampia, la responsabilità la lasciamo ad altri esperti). Difficilmente qualcosa del genere si realizzerà mai, ma questo articolo vuole essere soprattutto uno spunto di ricerca, perché le storie dei primi calciatori neri in Italia sono quasi sconosciute e largamente ignorate, quando non avvolte nel mistero.
Continua a leggere “Come sarebbe un Black History Month del calcio italiano”AHN. Una storia di calcio, xenofobia e populismo
Mancano tre minuti ai calci di rigore quando Ahn Jung-hwan segna il gol più importante della sua carriera: un cross dal centrosinistra, e lui – misconosciuto attaccante di 1 metro e 77 – stacca benissimo, prendendo il tempo addirittura a Paolo Maldini – che gli darebbe 9 cm piedi a terra – e insacca il gol del 2-1. Per le regole del 2002, è golden goal: la Corea del Sud elimina l’Italia agli ottavi di finale dei Mondiali. E dire che la partita, per Ahn, era iniziata malissimo, sbagliando un rigore dopo pochi minuti che avrebbe potuto portare avanti i suoi. Invece aveva poi segnato Vieri, e gli Azzurri avevano più di una volta sfiorato il raddoppio, prima di venire riacciuffati quasi nel recupero da un tiro di Seol Ki-hyeon, liberato da un goffo intervento di Panucci. Poi ancora vari errori dell’Italia ai supplementari, tensioni con l’arbitro Byron Moreno – che espelle inspiegabilmente Totti, il quale invece sostiene d’aver subito un fallo da rigore – e alla fine l’insperata occasione del riscatto. Un gol che cambierà la sua vita, ma non in meglio.
Continua a leggere “AHN. Una storia di calcio, xenofobia e populismo”Una partita che non si sarebbe dovuta giocare
La prima reazione è stata quella di scherzarci su. Perché, a ben vedere, non può non far ridere l’idea di gente che se ne dice di cotte e di crude in parlamento e che improvvisamente è costretta a far squadra per vincere una partita di pallone. Viene da chiedersi se non sia più sensata – e nell’interesse collettivo – una sana collaborazione a Montecitorio e una più accesa rivalità sul campo sportivo. Certo, era per una buona causa: i proventi della Partita del Cuore di martedì scorso tra Nazionale Cantanti e Nazionale Politici sono stati destinati all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e all’Ospedale San Salvatore dell’Aquila. Ma al di là di questo, qualche dubbio sul fare giocare una sfida per beneficienza a dei politici che passano il resto del tempo a odiarsi e insultarsi – e che, almeno in parte, avrebbero il potere di agire concretamente sulla Sanità – qualche dubbio sull’iniziativa dovrebbe lasciarlo.
Continua a leggere “Una partita che non si sarebbe dovuta giocare”Come l’Italia sta diventando una periferia del calcio
Rieccoci qui, circa due anni e tre mesi dopo la Macedonia del Nord. L’Italia del pallone sembra bloccata in un perverso loop temporale in cui il tempo passa, i nomi cambiano ma tutto resta più o meno sempre uguale. Sui media già tornano a vorticare tutte le retoriche che già conosciamo: ci sono troppi stranieri in Serie A; non si crede abbastanza nei giovani; c’è una grave crisi tecnica; i giovani non giocano più per strada… I discorsi sono sempre gli stessi da tempo, e la sensazione è che anche questa volta si parlerà molto prima di trovare l’alibi giusto che permetterà al calcio italiano di rinviare ancora una volta una riforma radicale, che vada dai vertici della FIGC al modo in cui vengono allenati i settori giovanili a livelli più bassi della piramide. Perché la verità è che la crisi dell’Italia non è un problema del 2024, nemmeno del 2018, ma almeno del 2014. Solo che in questi anni abbiamo avuto la sventura di riuscire a nasconderla in almeno due occasioni (l’Europeo di Conte e quello di Mancini), credendo che bastasse cambiare allenatore e stile di gioco per risolvere ogni guaio senza dover rimettere in discussione certezze consolidate da decenni e ormai vecchie.
Continua a leggere “Come l’Italia sta diventando una periferia del calcio”Una storia di giornalisti sportivi, partigiani, rivoluzionari e idealisti
Per essere un lunedì mattina, il giornalista G. B. aveva ancora un’insana voglia di dormire. Nel momento in cui squillò il telefonò, pensò che era troppo presto per svegliare un pover’uomo. Erano le 11.00. “Chi parla?” domandò, lasciando trasparire un briciolo d’irritazione. “Nino”. G. B. pensò immediatamente all’unica persona che avrebbe potuto presentarsi a lui al telefono dicendo quella sola parola. Ma, per prudenza, domandò: “Nino dell’Ossola?”. “Proprio” rispose quell’altro, incartando quella ‘r’ tra le tonsille e le labbra, che valeva da conferma più della parola stessa che aveva pronunciato. Il giornalista G. B. scordò l’indignazione per la sveglia, e lo salutò calorosamente: d’altronde, erano nove anni che non si vedevano né sentivano. Ma il Nino tagliò corto, col tono di chi stava correndo una maratona. “Senti, G. B., quando ci siamo lasciati, nell’aprile del ’45, tu mi hai detto che se la mia vita fosse stata in pericolo avrei potuto rivolgermi a te. Bene: ti telefono per questo.”
Continua a leggere “Una storia di giornalisti sportivi, partigiani, rivoluzionari e idealisti”Il calcio e la guerra: l’Italia a Sarajevo
Sarajevo è l’esatto opposto di un guscio vuoto: quasi nulla è rimasto in piedi, eppure è piena, ricolma. Qualcosa sta lentamente iniziando a riemergere dalle macerie di quattro anni di brutale assedio, che si sono conclusi appena una manciata di mesi prima. Non è proprio il posto in cui ci si aspetta di vedere giocare una partita di calcio, ma si sa che lo sport, in contesti come questo, può avere un potere simbolico unico e ineguagliabile. Di certo, non è il luogo dove ci si attenderebbe di vedere dei vicecampioni del mondo. È il 6 novembre del 1996, e l’Italia di Arrigo Sacchi diventa la prima squadra internazionale a essere ospitata nell’appena ricostruito stadio Koševo, che appena dodici anni prima era stato lo spettacolare cuore pulsante delle Olimpiadi invernali. Un evento straniante, ma che sa di rinascita per tutta una regione, la Bosnia ed Erzegovina, che ha appena ottenuto una dolorosa indipendenza.
Continua a leggere “Il calcio e la guerra: l’Italia a Sarajevo”Da Rovigo all’Europa: la dimenticata storia della riapertura delle frontiere in Serie A
Nel 1973, un’avvocata di nome Wilma Viscardini presenta alle autorità competenti di Rovigo, una cittadina di 50.000 abitanti nel Veneto, una denuncia contro Mario Mantero, imprenditore locale e presidente della squadra di calcio cittadina, all’epoca militante in Serie D. Mantero deve dei soldi a Gaetano Donà, un signore padovano – peraltro marito di Viscardini – che lavora a Bruxelles presso il Segretariato generale della Comunità Economica Europea. È una faccenda di poco conto, ovviamente, ma quando tre anni dopo il giudice si ritroverà a dover prendere una decisione, si renderà conto che la questione è ben più grande delle sue competenze, e dovrà chiedere l’intervento della Corte di Giustizia Europea. Da questa quisquilia, si innescherà un effetto domino che cambierà per sempre la storia del calcio in Italia.
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