Non c’è estate senza calciomercato. In queste settimane è tutto un fiorire di analisi, indiscrezioni, colpi di scena e opinioni tattiche; eppure paradossalmente il calciomercato in sé è uno dei fenomeni meno studiati e analizzati del calcio contemporaneo. Chi ha provato a fare qualche lavoro più approfondito su questo tema, ha finito sempre per fermarsi sulla superficie: la storia del calciomercato come la storia dei trasferimenti dei giocatori, delle cifre di cartellini e stipendi, dei metodi di contrattazione, dei club e dei campionati dominanti. Mentre invece la parte più interessante e suggestiva è un’altra: il calciomercato come storia di chi i trasferimenti di giocatori li racconta, dei metodi e dei canali che i giornalisti hanno usato e usano per parlarne. Perché acquisti e cessioni esistono da quando esiste il calcio (prima ancora del professionismo), ma solo di recente il calciomercato è diventato davvero un fenomeno culturale pervasivo.
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5 canzoni su calcio e politica
Di canzoni sul calcio ce ne sono parecchie, diverse riescono anche ad affrontare il pallone da una prospettiva più culturale, forse anche filosofica. La leva calcistica della classe ’68 di Francesco De Gregori (1982), per esempio, non è solo un racconto dai campi giovanili, ma pure un piccolo incoraggiamento a un ragazzo: non aver paura di compiere quei piccoli gesti della vita, perché non è da essi – e dal loro risultato – che si giudica una persona. A suo modo, sebbene molto sottovalutata, La dura legge del gol degli 883 (1997) fa qualcosa di simile: un inno al gioco d’attacco, nella vita oltre che in campo, alla ricerca dello spettacolo e della fantasia anche a discapito del risultato. Possiamo avere successo o meno, l’importante è divertirsi e dare il massimo. Di nuovo, Una vita da mediano di Luciano Ligabue (1999) parla degli outsider, di chi nella vita fatica per gli altri ma non riceve alcun credito.
Continua a leggere “5 canzoni su calcio e politica”Coloro che restano: le famiglie dei lavoratori migranti uccisi in Arabia Saudita
Non sappiamo ancora esattamente quanti lavoratori migranti siano morti in Arabia Saudita, mentre lavoravano per i Mondiali del 2034, ma i numeri potrebbero rivelarsi tragicamente molto elevati. Le orribili violazioni dei diritti umani sono responsabilità delle autorità saudite e della FIFA, che sta violando i propri regolamenti e principi in materia di diritti umani, come recentemente affermato da un gruppo di avvocati internazionali.
Continua a leggere “Coloro che restano: le famiglie dei lavoratori migranti uccisi in Arabia Saudita”Ruanda, lo sport come strumento di guerra e di regime
Nel gennaio del 2025 la milizia M23 ha preso il controllo di Goma, la principale città del Nord Kivu, una provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo. Solo in quei giorni si è iniziato timidamente a parlare anche qui in Europa di un conflitto che va avanti ufficialmente dal 2022, ma che in realtà è in corso almeno dal 2004. Non è un segreto per nessuno che il M23, che è composto principalmente da congolesi di etnia tutsi, sia direttamente appoggiato dal vicino Ruanda, che è interessato dalle ingenti risorse minerarie della regione. Nonostante le accuse del governo di Kinshasa e le conferme del coinvolgimento ruandese da parte dell’ONU, la comunità internazionale non sembra avere alcun concreto interesse ad agire contro Kigali. Questo perché negli ultimi vent’anni il suo governo è riuscito a stabilire solidi rapporti diplomatici e commerciali in tutto il mondo, dall’Europa al Medio Oriente, usando in particolare lo sport come strumento di soft power.
Continua a leggere “Ruanda, lo sport come strumento di guerra e di regime”Come il calcio è diventato il campo di battaglia delle donne in Iran
Il 2 settembre 2019, una donna di quasi 30 anni lascia il tribunale di Teheran dove sta subendo un processo per essere apparsa in pubblico senza indossare l’hijab. Il suo nome è Sahar Khodayari, laureata in lingua inglese e in informatica, tifosa dell’Esteghlal e per questo conosciuta online come Blue Girl, per via dei colori del club. Il marzo precedente si è mascherata da uomo per riuscire ad entrare allo stadio Azadi di Teheran per assistere alla partita di Champions League tra l’Esteghlal e l’Al-Ain, ma è stata scoperta e arrestata. È stata incarcerata nella prigione di Shahr-e Rey, che ospita centinaia di donne in condizioni di sovraffollamento e scarsa igiene, per poi essere rilasciata su cauzione dopo due giorni. In tribunale le hanno detto che rischia sei mesi di prigione. Quel giorno di settembre, appena fuori dall’edificio, Sahar Khodayari si cosparge di petrolio e si dà fuoco: morirà in ospedale sette giorni dopo.
Continua a leggere “Come il calcio è diventato il campo di battaglia delle donne in Iran”Perché dovremmo smettere di usare la parola “sportwashing”
Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese nella newsletter The Beautiful Shame, il 25 dicembre 2024.
Nel mondo del calcio, poche espressioni hanno avuto la stessa diffusione di sportwashing in questi anni. I Mondiali in Russia e in Qatar gli hanno dato grande rilevanza, e il torneo del 2034 in Arabia Saudita alimenterà nuovamente la sua fama. Tuttavia, in ambito accademico, questo termine è stato messo sempre più in discussione, venendo considerato troppo vago e con connotazioni etnocentriche. La sua fortuna, però, resta grande nel contesto mediatico: i giornalisti usano frequentemente il termine sportwashing perché è chiaramente comodo e di facile comprensione.
Continua a leggere “Perché dovremmo smettere di usare la parola “sportwashing””Cosa significa giocare a calcio da arabi in Israele
Proprio nei minuti finali della gara contro l’Italia, con un tiro preciso e inaspettato il centrocampista Mohammad Abu Fani ha trovato il gol della bandiera per Israele, nella seconda gara del girone di Nations League. Al di là dell’aspetto puramente sportivo – e scarsamente rilevante in termini di risultato – questo gol ha avuto un peso soprattutto per via del suo autore, un mediano di 26 anni di origini arabe. Abu Fani è solo l’ultimo esempio di calciatore arabo nato e cresciuto in Israele e che ha deciso di rappresentare la selezione di Tel Aviv, con una scelta che a molti può risultare incomprensibile – se non proprio criticabile – visto ciò che da un anno sta accadendo nella Striscia di Gaza, e in generale visti i rapporti storici tra Israele e Palestina. Eppure le storie dei calciatori arabi-israeliani meritano di essere riportate nella loro interezza, perché raccontano molti aspetti di questo confitto etnico: a volte celebrati in quanto simboli di integrazione, ma in buona sostanza ignorati quando denunciano il razzismo subito; idoli dei tifosi arabi che vivono in Israele, ma allo stesso tempo anche guardati con sospetto dai palestinesi d’oltre confine e da chi ne sostiene la causa.
Continua a leggere “Cosa significa giocare a calcio da arabi in Israele”Parigi, 100 anni fa: le Olimpiadi che cambiarono il calcio
In questi 100 anni molte cose sono cambiate, ai Giochi Olimpici. Il torneo di calcio è probabilmente quello che lo ha fatto maggiormente: giusto per fare un esempio, oggi possono partecipare al torneo olimpico i professionistici, purché non più vecchi di 23 anni (salvo fuori quota), mentre all’epoca il torneo era aperto solo ai dilettanti. Eppure – eccezionale paradosso – a Parigi 1924 parteciparono molte più stelle del pallone rispetto a Parigi 2024, dato che all’epoca solo Inghilterra, Scozia, Stati Uniti e Austria avevano approvato il professionismo tra i giocatori. Al di là di questi dati curiosi, il torneo di Parigi cambiò per sempre il modo in cui il mondo guardava al football: da quel momento in avanti, il calcio sarebbe iniziato a diventare un vero fenomeno globale e di massa. In un certo senso – e almeno in parte – il calcio che conosciamo oggi nacque allora.
Continua a leggere “Parigi, 100 anni fa: le Olimpiadi che cambiarono il calcio”“Football is Coming Home”: ma l’Inghilterra è davvero la patria del calcio?
Ogni volta può essere la volta buona per vedere il calcio tornare a casa. L’Inghilterra insegue questo sogno dal 1966 – anche se lo slogan Football comes home, con tutte le sue possibili varianti, risale appena al 1996 – quello di tornare a vincere un torneo internazionale dopo il Mondiale casalingo di Banks, Moore e Charlton (almeno a livello maschile: le donne sono campionesse d’Europa in carica). Come una sorta di “destino manifesto” britannico in salsa sportiva: qui è nato e qui ne siamo proprietari di diritto; gli altri ne possono essere al massimo dei gestori. Nazionalismo sportivo, se vogliamo proprio vogliamo dirla tutta. Un’Inghilterra ormai decadente, privata di quell’impero (convenzionalmente detto “britannico”, ma in realtà sempre inglese) che per quasi quattro secoli ne è stato l’immagine e il vanto, a cui oggi non resta che il pallone a cui aggrapparsi come simbolo identitario e mito fondante della Englishness. Ma quanto c’è di vero sotto tutta questa retorica? In realtà, meno di quanto si pensi.
Continua a leggere ““Football is Coming Home”: ma l’Inghilterra è davvero la patria del calcio?”Storia dei cori da scimmia nel calcio
È brutto da dire, ma oggi questo è probabilmente il coro da stadio più diffuso al mondo, l’unico che ritroviamo in paesi diversi (principalmente in Europa) e che mantiene inalterate espressioni e ritmo a prescindere dal contesto. La stragrande maggioranza degli episodi di razzismo nel calcio lo vede come protagonista, ma una delle sue particolarità è che ancora oggi i media faticano a identificarlo con un termine preciso e calzante. Di recente, anche in Italia si è diffusa la definizione di “cori da scimmia”, ripresa dall’inglese monkey chants, che è quella che più si avvicina al significato di questi canti. Si tratta della replica dei versi di una grossa scimmia – pensiamo al verso baritonale di un gorilla, piuttosto che a quello più acuto di uno scimpanzè – urlati da un gruppo più o meno numeroso di tifosi quando un giocatore nero tocca palla. Il paragone razzista tra l’uomo nero e la scimmia, che gioca sul presunto “sottosviluppo” evolutivo dell’africano rispetto al bianco europeo, ha una lunga storia, eppure questo tipo di cori è divenuto popolare solo molto di recente nel mondo del calcio.
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