Era un momento solenne per il calcio francese, forse il più solenne dell’anno: era la finale della Coppa di Francia, che si disputava di fronte addirittura agli occhi del Presidente della Repubblica Albert Lebrun e che celebrava simbolicamente i successi raggiunti in quei primi quattro anni di professionismo del calcio transalpino: tre mesi dopo, al termine delle Olimpiadi di Berlino, la Federcalcio puntava a ottenere l’assegnazione dei Mondiali previsti per il 1938. Ma a un certo punto, mentre le due squadre erano ancora sullo 0-0, da un settore dello Stade de Colombes si levarono improvvisamente al cielo un nugolo di palloncini rossi, che attirarono l’attenzione di tutti gli oltre 39.000 spettatori. Non era una coreografia, ma una protesta, e proveniva da una gradinata occupata da un gruppo di donne.
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Raoul Diagne, il primo campione afro-europeo
Il dibattito in Francia era particolarmente acceso: da un lato, c’era chi riteneva il passaggio al professionismo economicamente insostenibile per i club, col rischio che avrebbe potuto essere non il rilancio, ma addirittura il capolinea del calcio nazionale. Dall’altro, il fronte favorevole rivendicava la necessità di riconoscere contratti e stipendi regolari ai giocatori, mettendo la Francia in linea con la modernità, con un provvedimento che era già stato preso non solo nel Regno Unito o in Nord America, ma addirittura in Austria, in Ungheria, in Italia, in Spagna e in vari Paesi del Sudamerica. Di questa fazione, tra tanti stimati calciatori bianchi, c’era anche un nero, Raoul Diagne, e – incredibile ma vero – era forse il più influente di tutto il gruppo. Fu in buona parte merito suo, se nel 1932 la Francia accettò il professionismo dei calciatori.
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