Gli jugoslavi lasciavano il campo coi volti cupi, ancora chiedendosi cosa fosse successo. La Stella Rossa era uno squadrone, tra i pali vantava uno come Ratomir Dujković, a centrocampo Jovan Aćimović, in attacco il veterano Stevan Ostojić accanto all’astro nascente Zoran Filipović, in panchina il maestro Miljan Miljanić. Quella semifinale doveva essere una pura formalità, contro una squadra sconosciuta, il Panathinaikos di Atene, che infatti era stato regolato a Belgrado per 4-1. Ma in Grecia la Stella Rossa era inspiegabilmente franata, perdendo 3-0, travolta da un incontenibile centravanti di nome Antōnīs Antōniadīs, signor Nessuno fino a pochi mesi prima e ora capocannoniere della Coppa dei Campioni con 10 reti: erano otto anni, dai tempi di José Altafini nel 1963, che un giocatore non segnava così tanti gol nella competizione. Un ulteriore motivo di vanto, in un paese stretto nella morsa di una feroce dittatura fascista, che aveva avuto la meglio sui rivali balcanici comunisti.
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