Sandro Puppo, l’italiano giramondo

“Sono come il torrente che irrompe nel mare / Somiglio alla rosa dischiusa anzi tempo.” – Pir Sultan Abdal

Bepi Girani lo considerava il direttore dell’orchestra della squadra. Era rimasto stupefatto per come, dopo una carriera passata a tirare le fila del centrocampo come centromediano nel Metodo fosse riuscito con naturalezza ad adattarsi al Sistema, una mutazione che aveva mietuto tante vittime tra i colleghi di reparto. L’adattamento, nella tattica del calcio come nella vita, era la qualità principale di Sandro Puppo: da ragazzo aveva dovuto seguire il padre, ottimo violinista, a Shanghai, ed era stato lì che aveva iniziato a giocare a calcio; al ritorno a casa, a sedici anni era già nella prima squadra del Piacenza, a diciotto indossava la medaglia d’oro olimpica, a diciannove firmava per l’Ambrosiana-Inter. Più tardi, a Venezia con Girani in panchina, aveva scritto le pagine più belle del calcio lagunare: la prima promozione in Serie A nel 1939, la storia conquista della Coppa Italia nel 1941, il terzo posto nel massimo campionato nel 1943, nella squadra che rivelò il talento di Ezio Loik e Valentino Mazzola, dalla stagione seguente andati a fare Grande il Torino.

Pochi calciatori avevano una comprensione della tattica pari a quella di Puppo, perfino pochi allenatori. Era logico che, una volta ritiratosi dal calcio giocato, si sarebbe spostato in panchina; ma Puppo era anche un viaggiatore, un raro caso di calciatore laureato (anzi, plurilaureato), intellettuale amante della musica classica e capace di parlare ben sei lingue, ossessivamente interessato all’evoluzione del gioco del calcio. Dopo alcune esperienze con Piacenza, Venezia e Rovereto, nei primi anni Cinquanta prese una decisione destinata a cambiare per sempre la sua vita: accettò la chiamata sulla panchina della Turchia.

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Il Venezia posa con la Coppa Italia nel 1941: Sandro Puppo è il terzo in piedi da destra; il secondo accosciato da sinistra è Ezio Loik, il quarto Valentino Mazzola.

Il calcio, in Turchia, era divenuto un simbolo del rinnovamento politico e culturale seguito allo smembramento dell’Impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale; nel 1923, all’indomani della rivoluzione kemalista, veniva fondata la federazione calcistica locale, i cui primi risultati si sarebbero notati solo nel secondo dopoguerra, con l’ulteriore avvicinamento del paese alle nazioni occidentali: nel 1950, la Turchia otteneva il suo primo pass per i Mondiali, ma doveva rinunciarci a causa dei costi troppo elevati della trasferta in Brasile. Con un’Europa ancora devastata dalla guerra, la Fifa aveva ridotto il numero di partecipanti rispetto al 1938, e alcune potenze come Argentina, Francia, Germania e tutto i blocco dell’Europa dell’Est (ad eccezione della Jugoslavia) aveva dato forfait, aprendo le porte a nuove candidate; aver mancato l’occasione del 1950 costringeva il calcio turco a un salto di qualità per ottenere una qualificazione ben più complicata quattro anni dopo in Svizzera. Nel 1952, Puppo riusciva a portare i suoi a Helsinki per le prime Olimpiadi della storia del football turco, e un anno dopo affiancava al ruolo di commissario tecnico della nazionale quello di allenatore del Besiktas (secondo italiano dopo Giuseppe Meazza, che passò una stagione a Istanbul alla fine degli anni Quaranta), con cui vinse lo scudetto nel primo campionato professionistico turco, ponendo le basi per la crescita del club, che nel 1958 fu la prima squadra turca a giocare in Coppa dei Campioni (allenata da un altro italiano, Leandro Remondini).

Contro ogni pronostico, Puppo e i suoi giovani turchi compirono il miracolo nel marzo del 1954. Lo spareggio per i Mondiali svizzeri – partito con un pesante rovescio per 4-1 subito in trasferta contro la Spagna di Antoni Ramallets, Miguel Muñoz e Laszlo Kubala – venne ribaltato in casa con un 1-0, in un’epoca in cui non contavano ancora i gol in trasferta; tre giorni dopo, nella bella, la Turchia bloccò la ben più quotata nazionale iberica sul 2-2 e, dopo un nulla di fatto ai tempi supplementari, vinse fortunosamente il sorteggio e si guadagnò l’accesso ai suoi primi Mondiali di calcio. In Svizzera, inserita in un girone di ferro con le due future finaliste Ungheria e Germania Ovest, più l’esordiente Corea del Sud, la nazionale di Sandro Puppo contese fino all’ultimo la qualificazione ai tedeschi, costringendoli a uno spareggio. Nel suo biennio alla guida della Turchia, a cui faranno seguito altre due parentesi negli anni Sessanta, il tecnico italiano lanciò la carriera di alcune future glorie del calcio anatolico come il portiere Turgay Seren e il centravanti Feridun Bugeker, in seguito passato ai Kickers Stoccarda, e consacrò giocatori come il difesore ex-Salernitana e Palermo Bulent Eken o l’ala sinistra Lefter Kuçukandonyadis, ex-Fiorentina e dopo i Mondiali prima al Nizza e poi all’AEK Atene.

Si trattò di un esperimento, nel suo piccolo. Con la Turchia, Puppo stava iniziando a testare le sue teorie su una nuova strategia difensiva basata sulla marcatura a zona e non a uomo, in un’epoca ancora legata al Sistema inglese e al catenaccio ideato da Gipo Viani: la zona, in Italia, sarebbe stata sperimentata solamente negli anni Settanta, e senza iniziale successo, da Niels Liedholm alla Roma, per poi esplodere negli anni Ottanta con il Pescara di Giovanni Galeone e il Milan di Arrigo Sacchi. Ma all’epoca era il 1954, e le idee di Puppo non convincevano quasi nessuno; “quasi”, perché in Spagna ci si ricordava ancora della clamorosa Turchia, e il presidente del Barcellona Francesc Miró-Sans lo volle sulla panchina blaugrana per rilanciare il club dopo il fortunato periodo del cecoslovacco Ferdinand Daucik, appena passato all’Athletic Bilbao. Una sola stagione – conclusasi con un secondo posto alle spalle del Real Madrid, che contemporaneamente sollevava la prima Coppa dei Campioni della storia, ma davanti ai baschi di Daucik – non bastò a lasciare un segno nei cuori dei tifosi catalani, ma lo lasciò nella storia del club: per rinnovare la rosa, Puppo portò in squadra due pedine fondamentali del sorpredente Deportivo la Coruña dell’anno prima, il mediano uruguayano Dagoberto Moll e il diciannovenne regista Luis Suarez, che in blaugrana conquistò negli anni seguenti due campionati, due Coppe di Spagna, due Coppe delle Fiere e un Pallone d’Oro.

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Sandro Puppo accompagna i calciatori del Barcellona sul campo, prima dell’inizio di una partita.

La nuova avventura lo riportava, finalmente, in Italia. Il nome sul nuovo contratto era altisonante, ma la realtà era ben differente: la Juventus, regina del calcio italiano, si trovava in una fase di profondo rinnovamento, con Gianni Agnelli che aveva lasciato la presidenza nelle mani del triumvirato composto da Enrico Craveri, Luigi Cravetto e Marcello Giustiniani, che aveva condotto a un deludente settimo posto in Serie A. La dirigenza aveva allontanato dal club alcune delle sue glorie e voleva ricostruire la squadra sui giovani e, soprattutto, contenendo i costi: l’ingaggio di un allenatore di profilo tutto sommato basso ma competente fu concepita in quest’ottica. Li chiamavano “i Puppanti”, poiché accanto alla stella Giampiero Boniperti figuravano ragazzi poco più che ventenni come il portiere Giuseppe Vavassori, il difensore Enzo Robotti, i terzini Giuseppe Corradi e Bruno Garzena, i centrocampisti Umberto Colombo, Flavio Emoli e Antonio Montico, e addirittura il diciassettenne Gino Stacchini, destinato a diventare un elemento cardine delle stagioni a venire. A questi, si aggiungevano acquisti ben poco azzeccati, come la mezzala argentina Juan Vairo e il centravanti brasiliano Leonardo Colella.

Riguardandola oggi, la Juventus di Sandro Puppo appare una modesta squadra di transizione. Due stagioni da metà classifica, con l’esonero a cinque giornate dalla fine della seconda, nell’aprile del 1957, dopo essere finiti a rischio retrocessione. Nessuno, a Torino, credette mai veramente in Puppo e nei suoi ragazzi: erano tutti lì solo a prendere tempo, in attesa che si completasse la transizione dirigenziale che, pochi mesi più tardi, avrebbe portato Umberto Agnelli alla presidenza del club, e due fuoriclasse come John Charles e Omar Sivori in squadra. Sotto la guida dell’allenatore serbo ex-PSV Eindhoven Ljubisa Brocic, nella primavera del 1958 la Juventus vinceva il suo decimo scudetto, guadagnandosi la sua prima stella. Nel frattempo, Sandro Puppo tornò a occuparsi del calcio che preferiva, quello lontano dai riflettori: scese in Serie C per allenare la Mestrina, e intanto collaborava con il settore tecnico della Federazione, dove molti ancora gli riconoscevano un’incredibile conoscenza del gioco. Passò ancora dalla Turchia, e poi da Siracusa, Venezia, Triestina e Piacenza; in occasione dei Mondiali messicani del 1970, fu inserito dalla Fifa nel gruppo di studio tecnico della Federazione internazionale, assieme ad altri tre maestri del calcio mondiale come Dettmar Cramer, Ron Greenwood e Walter Winterbottom. Al mondo, pochi altri avevano una comprensione della tattica pari alla sua.

 

Fonti

BIANCHI S., La Juve dei “Puppanti”, Giù le mani dalla Juve

CUESTA FERNANDEZ Fernando, Sandro Puppo, el único técnico italiano del Barça (1954-1955), Cuadernos de Futbol

Sandro Puppo, gentiluomo del calcio, Libertà

Sandro Puppo, l’unico allenatore italiano nella storia del Barcellona, Barcalcio

6 pensieri riguardo “Sandro Puppo, l’italiano giramondo”

  1. La ringrazio per questo bel pezzo su mio nonno, che ho trovato solo ora durante le mie ricerche periodiche in rete su quanto lo riguarda.
    Un saluto
    Lorenzo Puppo

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