La protesta femminista alla Coppa di Francia del 1936

Era un momento solenne per il calcio francese, forse il più solenne dell’anno: era la finale della Coppa di Francia, che si disputava di fronte addirittura agli occhi del Presidente della Repubblica Albert Lebrun e che celebrava simbolicamente i successi raggiunti in quei primi quattro anni di professionismo del calcio transalpino: tre mesi dopo, al termine delle Olimpiadi di Berlino, la Federcalcio puntava a ottenere l’assegnazione dei Mondiali previsti per il 1938. Ma a un certo punto, mentre le due squadre erano ancora sullo 0-0, da un settore dello Stade de Colombes si levarono improvvisamente al cielo un nugolo di palloncini rossi, che attirarono l’attenzione di tutti gli oltre 39.000 spettatori. Non era una coreografia, ma una protesta, e proveniva da una gradinata occupata da un gruppo di donne.

A guidarle era una 46enne giornalista alsaziana di nome Louise Weiss, una delle figure politiche più note e influenti del Paese. Era stata un’infermiera durante la Grande Guerra, e quell’esperienza aveva forgiato il suo animo profondamente pacifista, che era stato uno dei fulcri della sua attività da scrittrice negli anni successivi, accanto al femminismo. Agli inizi degli anni Trenta, era stata una delle primissime persone in Francia a esprimere serie preoccupazioni in merito all’ascesa politica di Hitler in Germania, scrivendo sulle pagine di L’Europe Nouvelle. Aveva poi fondato un’associazione, La Femme Nouvelle, per lottare per i diritti delle donne: uno su tutti, quello di votare e di candidarsi alle elezioni. Nel maggio del 1935 aveva dato il via alla sua campagna radicale e provocatoria candidandosi simbolicamente alle comunali a Montmartre: aveva usato una cappelliera come urna improvvisata in cui potevano essere depositati i voti in suo favore, e ne aveva raccolti 18.000.

Il motto di Weiss era “Intrattenere invece di predicare”, un approccio innovativo all’azione politica che non poteva non condurre all’idea d’inscenare una protesta mai vista, invadendo il tempio per eccellenza della società maschile: uno stadio di calcio. Dall’inizio del secolo, le prime femministe francesi avevano individuato nella pratica sportiva uno dei loro campi d’azione favoriti: la parità tra maschi e femmine andava rivendicata innanzitutto nell’accesso all’attività fisica, come punto di partenza delle future lotte sul piano politico. Così, nel 1917, sulla spinta dell’ingresso delle donne nelle fabbriche per supplire all’assenza degli uomini mandati al fronte – e quindi del loro nuovo ruolo sociale – era nata la Fédération des Sociétés Féminines Sportives de France (FSFSF), che accoglieva al suo interno anche le prime società di calcio femminile. Nel novembre del 1933, a Parigi era nata una lega di calcio femminile comprendente dieci squadre, ma in generale il suo successo era stato limitato, e quello del football restava un mondo prettamente maschile.

Ma il vento in Francia stava cambiando, a livello politico. Il 26 aprile 1936 si erano tenute le elezioni legislative, che avevano confermato la grande crescita della sinistra, che ora poteva affrontare il secondo turno con la concreta possibilità di ottenere una larga maggioranza, prendendo di fatto il controllo dell’esecutivo nonostante la Presidenza della Repubblica fosse ancora nelle mani del conservatore Lebrun. La sinistra era quella del Front Populaire guidato da Léon Blum, che era stato in precedenza un collaboratore di Weiss a L’Europe nouvelle: era per tanto legittimo, da parte del movimento femminista, pensare che a breve l’apertura al voto alle donne sarebbe potuta diventare realtà. Ma, per assicurarsene, Weiss pensò fosse necessario premere sull’acceleratore e organizzare altre proteste, ora che era più facile essere ascoltate.

“Le donne francesi vogliono votare” recita un manifesto politico del Comitato nazionale delle donne contro la guerra e il fascismo, dell’aprile 1936.

Soprattutto a livello di tifo sugli spalti, il calcio difendeva ancora strenuamente la sua vocazione maschile, ancor di più ora che era diventato da pochi anni uno sport professionistico. La riforma del 1932 aveva rappresentato un salto di qualità a livello economico per il gioco, oltre che tecnico: il campionato si era impreziosito con tante stelle internazionali, soprattutto dall’Europa centrale (Rudolf Hiden, István Lukács, Vilmos Kohut, Josef Silný, Franz Weselik, Oskar Rohr, André Abegglen), e con allenatori moderni e competenti, come Jimmy Hogan, Guillermo Stabile e József Eisenhoffer. L’attenzione sul calcio, in Francia, era altissima e stava forse vivendo il suo momento di maggior interesse: la Division 1 contendeva alla Serie A dell’Italia fascista il prestigio di miglior campionato dell’Europa continentale.

Ma era la Coppa di Francia il torneo più sentito, anche per la sua struttura a eliminazione diretta che permetteva di disputare una finale, che diventava così il grande evento della stagione, alla quale anche i politici – nonostante il generale disinteresse degli esponenti del Front Populaire per lo sport capitalista – dovevano essere presenti. Quell’anno, il torneo proponeva una sfida particolarmente suggestiva: da un lato c’era il Racing Club de Paris del famossisimo Raoul Diagne, che stava andando a vincere il suo primo scudetto; dall’altro la Cenerentola Olympique Charleville, che giocava in seconda divisione ma era riuscito a inerpicarsi fino a quella storica finale grazie a un gioco arcignamente difensivo e ad alcuni ottimi elementi, come il giovanissimo portiere Julien Darui e il difensore marocchino-argentino Helenio Herrera.

L’occasione era dunque perfetta per una nuova protesta del gruppo La Femme Nouvelle, la più spettacolare mai inscenata fino a quel momento. Anche la data era simbolicamente perfetta: il 3 maggio, mentre allo Stade des Colombes si giocava la finale di Coppa di Francia, era stato fissato anche il secondo turno delle elezioni legislative. Così, mentre la sinistra francese andava conquistando il governo, i palloncini rossi portati allo stadio dalle femministe spiccavano il volo. Louise Weiss – che, tanto per cambiare, si era candidata simbolicamente anche a quelle elezioni – aveva studiato bene le previsioni del tempo e in particolare la direzione del vento, che soffiava dai loro spalti verso la tribuna in cui sedeva il Presidente della Repubblica, assieme ad altre autorità. La squadriglia di palloncini rossi raggiunse così i più illustri politici di Francia, portando in dono vari volantini in cui si rivendicava il diritto di voto per le donne.

A metà del secondo tempo, il centravanti del Racing Club Roger Couard mise a segno la rete che avrebbe deciso la partita, permettendo al club capitolino di mettere in bacheca il primo trofeo dello storico double che sarebbe stato concluso poche settimane dopo. Ma di quel risultato, a Weiss e alle sue compagne, importava ovviamente fino a un certo punto. Il Front Populaire aveva raggiunto il 57,8% dei voti, e Léon Blum diventava così il nuovo Presidente del Consiglio, promettendo un governo moderno e progressista, anche di fronte al tema dei diritti delle donne. Scelse di chiamare all’esecutivo, in qualità di sottosegretarie, ben tre donne, per la prima volta nella storia: Cécile Brunschvicg all’Educazione, Suzanne Lacore alla Sanità, e Irène Joliot-Curie alla Ricerca scientifica. Blum aveva anche offerto un ministero a Louise Weiss, che però aveva rifiutato, dicendo: “Io lotto per essere eletta, non nominata”.

Le immagini della finale della Coppa di Francia del 1936. Purtroppo, il lancio dei palloncini da parte delle femministe non venne ripreso: di quell’evento abbiamo solo testimonianze scritte.

E andò avanti a lottare, Weiss. Meno di un mese dopo quella partita, il 1° giugno, lei e le sue compagne si presentarono davanti al parlamento per distribuire ai deputati dei nontiscordardimé, come invito a non dimenticarsi delle donne. Il giorno seguente, andarono dai senatori a consegnare dei calzini con sopra scritto “Anche se ci darete il diritto di voto, i vostri calzini continueranno a essere rammendati”. A fine mese, un’altra manifestazione nel mondo dello sport, davanti all’ippodromo di Longchamp. Il 10 luglio, le femministe s’incatenarono lungo la rue Royale di Parigi, bloccando il traffico. Ma il governo non rispondeva: Blum e il suo esecutivo avevano fatto scivolare il suffragio femminile in fondo alle loro priorità, concentrandosi su riforme sociali per i lavoratori e sull’opposizione al montare dei fascismi in Europa.

Nel 1938 arrivarono i Mondiali di calcio, nel 1940 le truppe tedesche: per un po’, dei diritti delle donne non c’era più da parlarne. O forse sì, invece, perché non dev’essere un caso che nel 1944, appena dopo la Liberazione, il governo provvisorio francese decida come uno dei suoi primi atti di estendere il suffragio anche alle donne. Fu l’atto conclusivo di una lunga battaglia, iniziata eccezionalmente dove meno ce lo si aspetterebbe, su un campo di calcio. Non si sa se Louise Weiss assistette mai ad un’altra partita, ma di sicuro nel 1979, all’età di 86 anni, volle prendere parte a un altro evento storico, candidandosi e venendo infine eletta alle prime elezioni europee. Tutta questa storia, così poco nota e poco trattata, ci ricorda che anche il calcio può raccontare qualcosa sui diritti delle donne, anche solo un lancio di palloncini.

Fonti

Des manifestations féministes aux premières femmes sous-secrétaires d’Etat (1932-1936), Sénat

ROSOL Nathalie, «Le sport vers le féminisme». L’engagement du milieu athlétique féminin français au temps de la FSFSF (1917-1936), Staps

SUMPF Alexandre, 1937: Les «actions» féministes, L’Histoire par l’Image

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